15 aprile 1872. Il Cile e l’immigrazione agricola dall’Italia
Gran parte degli storici dell’emigrazione italiana nel mondo sono concordi nell’affermare che il primo grande afflusso migratorio dall’Italia verso le Americhe si verificò nei primi anni ’70 dell’Ottocento, all’indomani della liberazione di Roma e del trasferimento in essa della Capitale (dal 1865 si trovava in Firenze). Un fattore comune vuole che a spingere migliaia di Italiani oltre gli Oceani fosse stata la grande povertà, registratasi nel nostro Paese all’indomani della conclusione del processo unitario, culminato con la proclamazione del Regno d’Italia, il 17 marzo 1861. La trasformazione, seppure graduale, dell’economia nazionale da agricola a industriale aveva prodotto effetti disastrosi, soprattutto in quelle aree del Meridione ove la “cruenta” guerra contro l’insorgenza legittimista filo-borbonica (da molti tacciata col nome di brigantaggio post unitario) aveva prodotto già di per sé non poche fughe verso gli Stati dell’America Latina, così come negli Stati Uniti d’America. Al di là di tali considerazioni, di ovvia natura socio-politica, non va dimenticato – ed è questo lo scopo del presente articolo – che fu proprio in quei primi anni ’70 che Paesi come il Cile promozionalizzarono essi stessi l’emigrazione dall’Europa, soprattutto quella di mano d’opera da impiegare nel settore agricolo, principalmente in quelle aree geografiche che via via erano state per così dire “colonizzate”.
La nuova “politica migratoria” scaturì in Cile attorno al 1871, allorquando, dopo circa quaranta anni di Governo conservatore ebbe inizio un periodo di Governo liberale, caratterizzato da una crescita economica, anche se essenzialmente dovuta all’estrazione mineraria del nitrato di potassio, del quale era ricca la zona di Antofagasta[1]. Alla Presidenza della Repubblica era assurto, nel frattempo, l’Avv. Federico Errázuriz Zañartu (Santiago, 1825-1877), un uomo di vasta esperienza politica e Parlamentare, il quale avrebbe vissuto nel celebre Palazzo “La Moneda” dal 18 settembre 1871 al 18 settembre del 1876. Il Presidente Errázuriz Zañartu formò un Governo liberale e, soprattutto, laico, cercando in tutti i modi di allargare gli orizzonti del Cile (sia politici che commerciali) verso le grandi potenze dell’epoca. In tale ambito istituì il Ministero delle Relazioni Estere, organizzandolo sul modello delle Cancellerie Europee. E fu proprio grazie all’ottima rete che il Ministero riuscì a tessere con le Diplomazie Europee che il Cile varò una fra le più importanti leggi che avrebbero finalmente disciplinato la c.d. “immigrazione agricola”, la quale presentava obiettivamente aspetti alquanto diversi rispetto a quella “generalizzata” che aveva sin lì caratterizzato l’indiscriminato trasferimento migratorio dalla vecchia Europa. La necessità di disporre di una massiccia mano d’opera specializzata in tale settore si sarebbe resa ulteriormente impellente all’indomani del trattato che il Cile concluse con l’Argentina per il possesso della Patagonia, terra fertilissima per le coltivazioni, prim’ancora che per i rinomati allevamenti di bestiame. Fu così che il 15 aprile 1872 – esattamente 150 anni orsono – il Presidente Errázuriz Zañartu firmò una Legge speciale che ebbe per titolo “Stablecimiento de una oficina jeneral de inmigracion”, composta da appena 5 articoli, ma stupendamente innovativa, sia per i tempi nel quale fu partorita, sia per gli stessi contenuti. Fu, quello, in buona sostanza uno dei primi provvedimenti che avrebbe finalmente favorito la c.d. “emigrazione assistita”, la quale s’inseriva a chiare lettere nei progetti di colonizzazione agricola intrapresi dal Governo Cileno.
L’articolo 1 ne precisò l’estrema importanza, ricordando che l’istituzione dello speciale Ufficio, che avrebbe trovato collocazione nell’ambito della “Società Nazionale d’Agricoltura”, aveva ragion d’essere onde meglio disciplinare il fenomeno dell’immigrazione conseguente alla <<Colonizacion en Chile>>. A tale Legge sarebbero seguiti altri Decreti, che rispondevano sia allo scopo di emanare il relativo “Regolamento” che per disciplinare l’istituzione e le attività delle varie “Agenzie per l’Immigrazione” che il Cile avrebbe dovuto aprire presso i principali Stati Europei interessati dal fenomeno socio-economico, Agenzie che sarebbero dipese da un Agente Generale per l’Europa, residente a Parigi. Compito dell’Officina fu quello di pianificare la distribuzione della mano d’opera nelle varie Colonie agricole già esistenti nel Paese, ovvero in quelle che sarebbero sorte negli anni seguenti, così come di stabilire e attuare le regole per la distribuzione dei lotti di terreno da coltivare. Molto importante fu, infine, l’art. 5, secondo il quale: <<L’ufficio generale dell’immigrazione avrà il compito di portare dall’estero le persone i cui servizi gli agricoltori del Paese desiderano contrarre, sottoponendosi alle condizioni che saranno stabilite>>. La legge del 15 aprile 1872 non tardò a produrre effetti positivi anche nel nostro Paese e ciò soprattutto grazie alla pubblicità che ne fece la stessa rete diplomatica Cilena, allora rappresentata dai Consolati di Firenze, Carrara, Genova e Livorno (quello di Roma verrà aperto solo nel 1873). L’emigrazione agricola verso le ricche terre del Cile – che obiettivamente non avrebbe mai raggiunto le cifre astronomiche registratesi per l’Argentina, il Brasile e l’Uruguay – interessò maggiormente quelle aree geografiche Italiane ove maggiore era la presenza di mano d’opera in esubero, vale a dire le campagne del Meridione e quelle del Veneto, terre di grande e sperimentata tradizione agricola. Se dal censimento relativo all’anno 1871 gli italiani residenti in Cile erano male appena 957[2], una decina di anni dopo (nel 1882) avevano raggiunto la quota di 2600, certamente non ragguardevole se consideriamo che una buona quota parte di emigranti era stata costretta a far ritorno in Italia a causa della durissima “Guerra del Pacifico”[3], che contrappose il Cile a Bolivia e Perù dal 1879 al 1883. Si pensi, tanto per citare un esempio calzante, che proprio nel 1879 furono solo 310 i coraggiosi italiani entrati in Cile, gran parte dei quali per via mare, attraverso i vapori della “Compagnia Inglese del Pacifico”, mentre altri via terra, provenienti dal Perù e dall’Argentina[4]. Con la fine del conflitto, l’emigrazione dall’Italia verso il Cile riprese, e con maggior fulgore dobbiamo ammettere, anche grazie all’intensificarsi della nuova fase di colonizzazione che Santiago aveva varato nella ex regione costiera boliviana di Antofagasta, così come nelle ex province peruviane di Tarapaca, Arica e Tacna, dove ancora oggi non pochi sono i Cileni di origine Italiana. In tale contesto il Governo Cileno decise di concedere ad ogni capo famiglia proveniente dall’Europa ben 40 ettari di terreno, che sarebbero aumentati di 20 ettari per ogni figlio maschio superiore ai 12 anni[5]. L’aumento delle migrazioni dall’Italia indusse il nostro Paese ad autorizzare, con il beneplacito della “Legazione” Cilena di Roma, la nomina (il 1° marzo del 1889) della Ditta “Fratelli Gondrand” alla funzione di “Agenti Generali in Italia per l’Emigrazione in Cile”.
La nota società Marittima iniziò ad operare attorno alla primavera-estate dello stesso 1889, ma lo fece – e questo la verità storica lo esige – con grande spregiudicatezza, tanto che anche in Cile, così come accadde negli altri Paesi del Sudamerica e negli stessi Stati Uniti si riversò anche la c.d. “feccia umana”, che altro non fece che guastare il buon nome della nostra Nazione. Di ciò si diede dimostrazione ufficiale anche in atti prodotti dallo stesso Ministero degli Affari Esteri, laddove si accusò apertamente la ditta “Fratelli Gondrand”[6]. Ovviamente non furono tutte “rose e fiori”, come si suole dire in questi casi. Le difficoltà furono enormi, così come per moltissimi italiani non fu facile adattarsi sia al clima che alle abitudini locali, ma soprattutto al dover “pagare” sulla propria pelle le colpe di alcuni connazionali che si erano dati al crimine. Ci furono, quindi, casi di omofobia nei nostri riguardi, così come non poche furono le violenze. Occorsero alcuni anni prima che i Cileni mutassero parere sugli italiani, tanto da dargli fiducia e aprendo loro le porte nei vari settori della vita socio-economica e politica di quel grande Paese. Di tali difficoltà se ne fece interprete il Dottor Teodoro Ansermino, medico di bordo del vapore “Cachar”, adibito al trasporto degli emigrati italiani diretti in Cile, il quale nel 1891 diede alle stampe uno struggente testo di ricordi[7]. Non pochi furono, anche da parte Cilena, i condizionamenti imposti dalle frodi perpetrate ai nostri danni dalle varie “Compagnie di Colonizzazione Agricola”, peraltro combattuti con fermezza dalle stesse autorità Cilene. Agli inizi del Novecento la “emigrazione assistita” era stata, infatti, organizzata anche da parte di Compagnie di privati, la maggior parte delle quali operanti nel Sud del Cile, per poi ritornare in capo allo Stato qualche tempo dopo.
L’afflusso degli italiani in Cile proseguì, quindi, anche nel primo decennio del Novecento, tanto che nel 1907, la popolazione italiana della provincia di Tarapacá – tanto per citare un esempio calzante – aveva ormai raggiunto il migliaio di unità (nel 1885 era di 521 unità). La comunità italiana era, nel frattempo assurta al ruolo di pioniera nel campo agricolo, tanto da specializzarsi nell’irrigazione e nella coltivazione delle oasi, come in quella della Valle de Azapa, ove fu introdotta la coltivazione della vite, dell’olivo, degli agrumi e degli ortaggi. Si deve in parte anche agli agricoltori italiani (oltre a quelli francesi, s’intende) se oggi il Cile è fra i produttori di vini fra i più famosi al mondo. Alla coltivazione agricola subentrò, poi, sia la distribuzione dei prodotti della terra sul mercato, sia l’introduzione dell’allevamento delle mucche da latte (ciò in piena regione desertica), che portò i coloni Italiani ad avere il monopolio della produzione e distribuzione del latte (ma anche dell’acqua) nell’intera Regione. Uno degli ultimi casi di “emigrazione assistita” si verificò nel secondo dopoguerra, quando il nuovo fenomeno migratorio dall’Italia – anche verso il Cile – sarebbe stato gestito da un ente pubblico nazionale, l’ICLE (“Istituto Commercio e Lavoro Estero”). Esso si sarebbe interessato dell’emigrazione di Italiani verso il Centro-Nord del Cile, ove maggiore era stata la richiesta di agricoltori specializzati. A partire dal 1955 il flusso migratorio italiano, dopo il fallimento delle nuove iniziative Governative di colonizzazione agricola, praticamente si interruppe, per non riprendere mai più. In ogni caso, al di là della presente ricostruzione storica evidenziamo che, dal 1890 in poi l’emigrazione italiana verso il Cile non aveva avuto più ostacoli, tanto è vero che nel corso dello stesso anno il Dottor Vincenzo Grossi dava alle stampe la nota “Guida Pratica dell’Emigrante Italiano al Chili. Natura geografica, ricchezze e commerci” (Genova, Stabilimento Artisti Tipografi), che per vari decenni avrebbe accompagnato i nostri connazionali in quella che sarebbe stata la loro nuova vita nella “Patria adottiva”, il bellissimo Cile, al quale il nostro Paese deve veramente tanto.
Dott. Gerardo Severino
Storico Militare
[1] In tale campo si preferì mano d’opera proveniente dall’Irlanda e dallo stesso Regno Unito, ove il settore minerario era allora all’avanguardia.
[2] Cfr. Giovanni Florenzano, Delle emigrazioni italiane in America, Napoli, per i tipi di Francesco Giannini, 1874, p. 329.
[3] Vgs. Gerardo Severino – Roberto Bartolini, La Guerra del Pacifico (1879 – 1883), Voghera, Marvia Edizioni, 2003.
[4] Cfr. “Italiani giunti al Chili”, in Società Geografica Italiana, <<Statistica dell’emigrazione italiana all’estero nel 1881>>, Roma, presso la Società Geografica Italiana, 1882, p. 310.
[5] Cfr. Società Geografica Italiana, <<Memorie della Società Geografica Italiana. Indagini sulla emigrazione italiana all’estero fatta per cura della Società (1888-1889)>>, Vol. IV, Roma, presso la Società Geografica Italiana, 1890, p. 314.
[6] Cfr. Ministero degli Affari Esteri – Commissione dell’Emigrazione, <<Bollettino dell’Emigrazione – Anno 1905>>, Roma, Tipografia G. Bertero, 1906, p.80.
[7] Cfr. Teodoro Ansermino, La traversata del Cachar, episodi dell’emigrazione al Chili, Milano, Edizioni Galli, 1891.