17 novembre 1869. L’apertura del Canale di Suez
Da cento giorni fino a sei mesi: questo era il tempo impiegato da un veliero nel XIX secolo per percorrere la rotta dall’Inghilterra all’India, doppiando il Capo di Buona Speranza. Questo fino al 17 novembre 1869, giorno in cui è inaugurato ufficialmente il Canale di Suez, aprendo così una via marittima che ridisegnerà completamente l’architettura delle comunicazioni mondiali e facendo del Mar Rosso una delle principali arterie dell’economia mondiale e uno dei punti strategicamente più rilevanti del pianeta.
Il canale collega Port Said a Suez, con un percorso di 164 km per 8 metri di profondità facendo uso di tratti scavati artificialmente e sfruttando lo specchio acqueo naturale dei Grandi Laghi Amari. Un’opera rivoluzionaria per l’economia, la politica e la geografia ma anche per l’immaginario collettivo del tempo, tanto da lasciare segni anche nella letteratura di genere: senza il Canale di Suez oggi non potremmo leggere le avventure di Phileas Fogg che nel “Il giro del mondo in 80 giorni” di Jules Verne, attraverso il Canale riesce a raggiungere Bombay da Londra in appena venti giorni di viaggio.
Fino alla metà del XIX secolo l’unica via marittima di collegamento con l’Oriente era la rotta del Capo di Buona Speranza. Molto marginali erano i traffici attraverso il Mar Rosso, possibili solo trasbordando le merci via terra e per questo fortemente limitati (1)
L’idea di realizzare un canale navigabile tra Mediterraneo e Mar Rosso ha radici antiche ed è stata ripresa più volte nel corso dei secoli. Il primo canale di cui si abbiano fonti storiche è il Canale dei Faraoni o Canale di Necao – dal nome del Faraone che ne avrebbe iniziato la costruzione tra il 610 e il 595 a.C. – che seguiva un percorso differente da quello della controparte moderna, collegando direttamente uno dei rami orientali del delta del Nilo con i Laghi Amari. Non sarebbe stato portato a temine da Necao II ma dal re persiano Dario I circa un secolo dopo, o addirittura, secondo altre fonti, da Tolomeo II nel 250 a.C. (2)
Il canale diverrà poi inutilizzabile fino all’intervento dell’imperatore Traiano (II secolo d.C.) e in seguito abbandonato nuovamente fino alla conquista araba, quando verrà prima riaperto e poi il definitivamente interrato per motivi militari nel 775. Torneranno sul progetto i Veneziani, nel XV secolo, alla ricerca di nuovi spazi commerciali in concorrenza con la rotta africana, ma abbandoneranno ogni progetto dopo la conquista dell’Egitto da parte degli Ottomani nel 1517.
Il quadro non muterà fino alla fine del XVIII secolo, con l’occupazione francese dell’Egitto (1798-1801). Napoleone comprese come l’apertura dell’istmo avrebbe potuto emancipare il Medio Oriente dal dominio inglese, favorendo la penetrazione economica e politica di Parigi fino al subcontinente indiano. Lui stesso indagò i resti dell’antico canale e incaricò l’ingegnere J.M. Lepère di effettuare rilevamenti dettagliati. Lepère stabilì erroneamente una differenza di livello di circa 10 metri tra il Mar Rosso e il Mediterraneo (nonostante pareri contrari, come quello del matematico Laplace); una differenza tale da richiedere l’uso di chiuse e capace di spegnere gli entusiasmi napoleonici.
Il progetto: dall’idea alla realizzazione
Nell’arco di pochi decenni tutto verrà nuovamente messo in discussione: il trionfo dell’ottimismo positivista – incarnato dalle Esposizioni universali di Londra (1851) e Parigi (1867), dallo sviluppo delle ferrovie, dei piroscafi, dei tunnel alpini e del telegrafo – rende maturi i tempi. Il progetto riprende vigore grazie al Cancelliere austriaco Klemens von Metternich, portando alla fondazione a Parigi nel 1846 della Société d’études du Canal de Suez. Della Société faranno parte scienziati e ingegneri provenienti da tutta Europa: francesi, inglesi, italiani e austriaci. Tra questi ultimi non possiamo dimenticare il trentino Luigi Negrelli, Ingegnere capo delle ferrovie del Lombardo-Veneto e autore del progetto selezionato dalla Commissione scientifica internazionale per la realizzazione del Canale.
La Commissione, costituitasi nel 1854 sotto l’egida della Francia e del Khedive (vicerè) d’Egitto Saʿīd Pascià, ebbe come principale sostenitore l’imprenditore francese Ferdinand de Lesseps, già viceconsole ad Alessandria d’Egitto e cugino dell’Imperatrice dei Francesi – Eugenia de Montijo – consorte di Napoleone III.
Un secondo accordo ratificato nel 1856 formalizzò la concessione a De Lesseps e alla sua Compagnie Universelle du Canal Maritime de Suez della gestione del canale per i 99 anni successivi alla costruzione. Per finanziare l’opera De Lesseps raccolse 100 milioni di franchi da più di 20.000 investitori – principalmente francesi – coprendo da solo più di metà del budget; il restante sarebbe stato pagato dal Khedivé d’Egitto.
La costruzione cominciò nel 1859 e proseguì per 10 anni anziché i 6 attesi, interrotta da vari imprevisti tra cui un’epidemia di colera. Inizialmente gli scavi vennero condotti a mano, utilizzando manodopera locale costituita sostanzialmente da lavoratori forzati. Solo successivamente, a seguito anche di una campagna stampa abilmente pilotata dall’Inghilterra, per migliorare le condizioni dei lavoratori vennero impiegate draghe e scavatrici a vapore manovrate da maestranze europee specializzate. L’Egitto, patria delle piramidi e dei Faraoni, divenne il primo luogo in cui la macchina sostituì estensivamente il lavoro manuale. La prima nave attraversò il Canale il 17 febbraio 1867, ma l’inaugurazione ufficiale si tenne il 17 novembre 1869, con una grande e fastosa cerimonia che portò un lungo corteo di panfili reali a sfilare lungo il Canale (3).
L’Italia in prima linea
L’Italia – e prima il Regno di Sardegna – non rimasero semplici spettatori, ebbero anzi un ruolo di rilievo nella progettazione e nella costruzione del Canale. Il Piemonte, nonostante la sua tradizione continentale, sarà il laboratorio dei “canalisti” italiani. A Torino, con l’appoggio discreto di Cavour, si formò un gruppo di sostenitori dell’impresa guidati dal ministro dei Lavori Pubblici Pietro Paleocapa e dal conte Luigi Torelli, i quali cercarono di inserire gli elementi più dinamici dell’imprenditoria nazionale nel progetto. Significativa sarà la presenza di Pietro Paleocapa nella prestigiosa commissione internazionale di Parigi (4)
In quella sede il rappresentante sardo-piemontese, bergamasco di nascita ed esule politico dal 1849, lavorò in piena sintonia con Luigi Negrelli, designato al ruolo di Direttore generale dei lavori del canale; ruolo che non poté ricoprire per la sua improvvisa scomparsa nell’ottobre del 1858.
Malgrado gli enormi problemi conseguenti all’unificazione, i governi post-cavouriani confermarono l’interesse dell’Italia per la realizzazione dell’impresa, rivendicando con orgoglio la presenza di ingegneri italiani nei ruoli apicali – come il torinese Edoardo Gioja, che supervisionò la realizzazione del tratto a nord del lago Timsah – e facilitando l’afflusso ai cantieri di mano d’opera qualificata per lo più proveniente da Toscana, Calabria e Piemonte.
Tra gli italiani invitati personalmente dal Khedivé alla cerimonia di inaugurazione vorremmo ricordare Domenico Chiodo, Generale del Genio militare per la Marina e artefice del primo Arsenale Militare Marittimo della Marina alla Spezia. La sua presenza sottolinea e sancisce la grandiosità dell’opera di Chiodo e la fama che ne era conseguita, riconosciuta ben oltre i confini nazionali.
Nella sua biografia – scritta dal suo più stretto collaboratore, il Maggiore Talete Calederai – riaffiorano i ricordi del Generale che, seppur intimidito dalla grandiosità della cerimonia, mostra il suo approccio pragmatico dicendosi felice per “l’occasione offertaglisi di ammirare da vicino quell’opera”. Il 6 novembre 1869 parte dalla Spezia per imbarcarsi da Livorno alla volta dell’Egitto. Calderai riporta le numerose osservazioni riferite da Chiodo al suo ritorno, gli spunti di carattere tecnico e il sincero stupore per l’opera e per i grandi sforzi profusi nel portarla a termine.
Dopo la cerimonia di inaugurazione Chiodo proseguirà il suo viaggio visitando il Cairo e le vicine piramidi, risalendo poi il Nilo fino a Karnak, Tebe e al Sudan. Il 27 dicembre ripartirà per l’Italia, ignaro di aver contratto – probabilmente in quest’ultima parte del viaggio – una malattia tropicale, forse malaria, che si aggraverà al suo rientro.
Nel febbraio dell’anno successivo farà ritorno alla sua abitazione della Spezia dove spirerà il 19 marzo 1870, 150 anni fa, soltanto un anno dopo aver consegnato alla Nazione la più grande opera del suo ingegno.
Leonardo Merlini, Direttore del Museo Tecnico Navale di La Spezia
Gianluca Pini, Esperto di storia e cultura navale
————————————–
1. Questo metodo era impiegato dalla East India Company – in particolare per il servizio postale – utilizzando navi che dall’India giungevano a Suez dove trasbordavano merci e passeggeri per inviarli poi via terra ad Alessandria, da dove i piroscafi della Peninsular and Oriental (P&O) salpavano diretti a Dover – attraverso Gibilterra – o al porto di Marsiglia e da qui, via terra e attraverso la Manica, finalmente in patria.
2. Aristotele nel suo Meteorologica (I,15) sostiene che già il Faraone Senusret III o Sesostri III (1878 aC-1839 a.C.) avrebbe iniziato lo scavo di un canale che univa il Nilo con il Mar Rosso.
3. Per l’inaugurazione, il Kedivè d’Egitto aveva chiesto a Giuseppe Verdi di comporre un inno. L’Aida, andrà in scena al Teatro dell’Opera del Cairo il 24 dicembre del 1871.
4. Per impedire l’insabbiamento del Canale dall’accesso Mediterraneo fu adottato proprio il sistema proposto dal Paleocapa, giudicato più efficiente permettendo di non utilizzare chiuse.