Don Luigi Sturzo: l’uomo, il politico, il sacerdote
Il 18 gennaio 1919 don Luigi Sturzo lanciò l’appello “A tutti gli uomini liberi e forti” con il quale nacque il Partito Popolare Italiano, definito dallo storico Federico Chabod “il più importante evento politico nella storia italiana del XX secolo”.
Dall’albergo Santa Chiara di Roma, don Sturzo lancia “l’Appello ai Liberi e Forti”, carta istitutiva del Partito Popolare Italiano: “A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà”.
Il sacerdote di Caltagirone pervenne all’elaborazione della sua idea di partito non da un disegno teorico , ma attraverso la partecipazione attiva alla vita amministrativa della sua città dove introdusse al posto dei partiti personali e clientelari un partito fondato su uno specifico programma di ispirazione democatico-cristiana. Un ruolo fondamentale nella maturazione del partito ipotizzato da Sturzo ebbe il suo costante riferimento ai problemi sociali del Meridione e il suo impegno sociale nella società civile a fianco degli operai, dei contadini, degli artigiani, degli studenti, del piccolo ceto medio, che lo portò a riconoscere il carattere autonomo, sul piano culturale e politico di una vaste rete di organizzazioni cattoliche(cooperative, casse rurali, circoli, associazioni professionali,)sia rispetto ad altre organizzazioni operanti in campo politico sia rispetto all’organizzazione ecclesiastica in quanto tale.
Nella nascita del nuovo partito l’autorità ecclesiastica riscontrò come novità positiva che il Partito popolare, a differenza della Democrazia cristiana di Murri, pur ispirandosi ai principi cristiani si presentasse come “aconfessionale”, distinguendo il proprio campo di azione da quello della gerarchia ecclesiastica e dell’Azione cattolica. L’aconfessionalità del partito dei cattolici democratici, teorizzata nel discorso di Caltagirone del 1905 e realizzata con la fondazione del Partito Popolare Italiano, volle essere un tentativo non di trovare una zona intermedia tra la fede e la storia in cui si potesse mettere fra parentesi l’identità cristiana, ma di far lievitare dal basso alcuni valori fondamentalmente cristiani presenti nella realtà popolare.
“Quella di don Luigi è una testimonianza feconda e di grande ammaestramento non per il grado di ripetibilità della sua esperienza, ma per l’intensità che essa raggiunse in alcune dimensioni, e che raggiunse sempre cercando nella vita soprannaturale la verità e la radice di ogni trama e di ogni istante della nostra vita terrena – ebbe modo di spiegare monsignor Mariano Crociata, già Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, nel 2009 a Catania in occasione di un convegno dedicato al sacerdote di Caltagirone -. Don Luigi ci dà misure di intensità che ci spronano e ci confortano insieme. Pensiamo alla intensità della sua vita interiore. Soprattutto i giovani dovrebbero essere informati sul regime, sul realismo e sulla qualità evangelica della sua vita di preghiera, per la maggior parte nascosta, non spettacolarizzata. A noi può a volte persino spaventare la durata e la profondità dell’immergersi di don Luigi nel mistero di Dio a partire dalla parola di Dio. Ma non solo a partire dalle Scritture Sante – aggiunse Crociate -. Come potremmo infatti comprendere don Sturzo se separassimo la sua passione militante per lo studio dalla sua vita di preghiera? Forse proprio questa è una delle grandi sfide che ci troviamo dinanzi nell’atto di accingerci ad affrontare l’emergenza educativa. Giova alla preghiera cristiana una contrapposizione allo studio? Giova forse allo studio dei credenti una sua contrapposizione alla preghiera? Come per San Tommaso, anche per don Luigi questa contrapposizione non aveva alcuna legittimità, mentre noi, tante volte, ci ostiniamo a costruire tanto devozionalismo e anti-intellettualismo su questa nefasta e fuorviante opposizione!”
Una riflessione intensa, quella di monsignor Crociata, perché richiamava ai forti valori espressi da don Luigi Sturzo. “Pensiamo alla intensità con cui don Luigi ha saputo vivere l’obbedienza. Quante carriere, quanta mondanità di ogni genere don Sturzo ha saputo evitare o lasciare anche per obbedienza! Una obbedienza non cieca, una obbedienza non passiva, una obbedienza forte, una obbedienza senza adulazione o abiure – disse Crociata, oggi vescovo di Latina -. Quanto conflitto gli ha generato dentro quella obbedienza. Con la sua vita di libertà mai rinnegata, don Sturzo ci offre una misura di obbedienza che ci aiuta rendendoci innanzitutto molto, molto umili. Pensiamo ancora alla intensità con cui don Luigi ha vissuto la lotta, l’agonia del sano agonismo. Una lotta interiore e pubblica. Quanta poca ricerca di pace e di consenso ad ogni costo nella sua vita spirituale, quale altissima e non infantile idea della comunione ecclesiale, comunione tra persone diverse e libere. Pensiamo – ed è l’ultimo cenno, che però non posso non fare – alla intensità con cui don Luigi ha sempre cercato la via del rinnovamento, personale, ecclesiale, civile. Pensiamo a come è riuscito a farsi aprire la mente ed il cuore dagli studi romani, a come è riuscito a farsi mutare dall’esperienza pastorale e socio-politica dei primi anni dopo il ritorno in Sicilia, infine a come ha saputo farsi cambiare dall’esperienza durissima dell’esilio (come non attenerci ancora oggi saldamente alla sua dura denuncia delle tre “male bestie”: statalismo assistenzialista, cultura della spesa pubblica, partitocrazia?). Sturzo, come i grandi santi, ci mostra come il rinnovamento sia la via più esigente e più vera alla fedeltà”.
Ed infine ha ancora aggiunto Crociata: “Forse don Luigi non sarà un modello ripetibile, ma di certo è testimone e sprone ad una misura elevatissima di intensità nella vita interiore, di intensità nell’obbedienza ecclesiale, di intensità nel coraggio dell’agonismo, e di intensità nel coraggio del rinnovamento”.