Giorni di Storia

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19 ottobre 1984: l’assassinio di don Jerzy Popiełusko. La memoria e il ricordo della storica Guglielmi

Ho incontrato per la prima volta padre Popiełuszko alla fine degli anni settanta, quando era cappellano alla chiesa di sant’Anna, la chiesa della pastorale universitaria, dove mi fermavo a dormire quando ero a Varsavia, e dove avevo sempre l’occasione di trovare informazioni preziose su quanto stava accadendo in Polonia e di incontrare gli esponenti più importanti degli ambienti indipendenti del mondo universitario.

Poi ci siamo persi di vista per qualche anno, finché non ho sentito parlare delle messe per la patria, iniziate da padre Popiełuszko nella chiesa di san Stanislao Kostka, dove era stato trasferito, dopo l’introduzione dello stato di guerra, il 13 dicembre 1983 ad opera del generale Jaruzelski. Lo stato di guerra aveva portato in carcere o nei campi di internamento tutti i leaders di Solidarność, e l’eliminazione del sindacato.  Ben presto diventate un avvenimento seguito in tutto il paese, raccoglievano migliaia e migliaia di persone di ogni ambiente ed erano divenute il punto di riferimento anche degli artisti: poeti, attori, cantanti, musicisti che mettevano il loro talento al servizio di quel gesto, che era un gesto religioso, ma era anche un avvenimento culturale, che faceva rivivere la memoria della storia e della cultura polacche.

Si andava alla chiesa di san Stanislao Kostka per pregare, per ascoltare le parole di padre Jerzy ma anche per ascoltare i canti della tradizione popolare, o le musiche di Chopin, o di Penderecki, o le poesie di Norwid, di Słowacki, di Mickiewicz recitate dai migliori attori della scena polacca, e cosi si tornava ad essere orgogliosi di essere Polacchi, si riaccendeva la speranza, si ritrovava la propria identità e la propria dignità, per quelle due ore ci si sentiva di nuovo parte di una comunità che aveva radici profonde che non erano morta. E si cantavano con un accento di certezza le parole dell’inno polacco: “La Polonia non è morta finche noi viviamo”.

Ho vissuto i giorni del rapimento in Polonia, il paese era sconvolto. Lla sera in cui e stato ritrovato il corpo dormivo a casa di Maja Komorowska, una delle attrici più importanti del teatro e del cinema polacchi, impegnata a fondo nei Comitati di Aiuto ai Perseguitati Politici sorti dopo l’introduzione dello stato di guerra (tra l’altro usava la sua grande popolarità per riuscire ad incontrare i prigionieri politici), grande amica di padre Popiełuszko e una delle animatrici delle messe per la patria. Siamo subito andate alla chiesa di san Stanislao Kostka, c’era già una folla enorme, con le candele in mano, incurante della presenza delle camionette della polizia e di un fitto cordone di agenti in assetto anti sommossa. Siamo rimasti a pregare, a cantare, ad ascoltare la voce del parroco e dei poeti per tutta la notte. Il mattino dopo sono ripartita per l’Italia.

Lech Wałęsa, leader di Solidarność negli anni delle battaglie del sindacato polacco

Negli anni seguenti sono andata spesso sulla sua tomba. Per anni entrare nel cortile dove si trova la tomba dava l’impressione di entrare in un’altra Polonia: sulla recinzione erano appesi a centinaia gli stendardi e le bandiere di Solidarność di tutte le città polacche, il servizio d’ordine era garantito giorno e notte da operai provenienti da tutte le regioni, c’erano fiori, scritte, preghiere, appelli. Tutto ciò che fuori da quel recinto era proibito, lì dentro era possibile. Poi, qualche anno dopo, ho lavorato alla Huta Warszawa, le acciaierie di Varsavia, dove padre Popiełuszko era stato cappellano di Solidarność ho conosciuto i “suoi operai”, ne ho sentito i racconti e ho compreso quanto fossero ancora legati a lui da un vincolo profondo di affetto e gratitudine, quanto fossero orgogliosi di essere stati la sua comunità e quanto fossero determinati a non disperderne la memoria attraverso l’opera della rinata Solidarność. Era quanto aveva chiesto Giovanni Paolo II il giorno stesso della sua morte: “Che il grande insegnamento morale di questa morte non venga in alcun modo né turbato né dimenticato”.

Annalia Guglielmi

 

Chi è Annalia Guglielmi

Nata a Bologna il 7 marzo 1953. A partire dal 1973 collabora con la rivista e la casa editrice Centro Studi Europa Orientale (Cseo) che, attraverso una fitta rete di rapporti, per anni ha portato in Italia le opere della cultura indipendente dei paesi dell’Europa dell’Est. Laureata all’Università di Bologna nel 1978 con una tesi sui rapporti tra Polonia e Italia nel Medio Evo, dal 1978 al 1982 vive in Polonia, a Lublino, dove insegna italiano all’Università Cattolica e ha quindi modo di approfondire e allargare la rete di contatti con le diverse realtà dell’opposizione. Dopo l’introduzione dello stato di guerra, il 13 dicembre 1981, si impegna attivamente nelle strutture clandestine di Solidarność e nei comitati di aiuto ai perseguitati politici, sostenendo le famiglie degli attivisti del sindacato rinchiusi in carcere.
Rientrata in Italia nel 1982, allarga il suo campo di interessi e contatti ad altri paesi, in particolare all’Ungheria e alla Cecoslovacchia, dove ha modo di incontrare alcuni fra i più importanti rappresentanti di Charta ’77, fra cui il futuro presidente Vaclav Havel.
Nel 1990 ritorna in Polonia, a Varsavia, dove dirige una società di consulenza impegnata nell’opera di ricostruzione economica del paese. Vi rimane fino al 2004.
Nel 2002 il governo polacco le conferisce la Croce di Cavaliere al merito e la Medaglia del Ministero della Cultura per il sostegno dato all’opposizione al totalitarismo e alla diffusione all’estero della cultura indipendente polacca. Nel 2005, in occasione del 25° anniversario della nascita di Solidarność, la Commissione Nazionale di Solidarność le assegna la prestigiosa medaglia Grazie, conferita agli stranieri che con la loro opera hanno sostenuto il sindacato.
Attualmente svolge attività di interprete e traduttrice. Ha tradotto dal polacco numerose opere, fra cui, per le edizioni Cseo, Omelie per la patria di padre Jerzy Popiełuszko, Appunti dalla prigione del cardinal Stefan  Wyszyński, Internato di Tadeusz Mazowiecki, la raccolta di satire Cos’hai fatto generale?. Per conto della diocesi di Cracovia e del Vaticano ha tradotto le testimonianze polacche per la beatificazione di Giovanni Paolo II. Collabora con la rivista «Tempi», con la casa editrice del Museo di Auschwitz, e con Gariwo, sito del Comitato per la Foresta dei Giusti.
Annalia Guglielmi, col libro Popieluszko. «Non si può uccidere la speranza», si è aggiudicata il Premio di Cultura “Come Barbara” – Testimonianza della libertà. L’autrice è stata premiata a Rieti il 2 dicembre 2010 all’interno della manifestazione culturale “Santa Barbara nel mondo”.

I libri di Annalia Guglielmi