Giorni di Storia

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1941, nei cieli del Mediterraneo le imprese del CANT Z 506 S

La storia della Seconda guerra mondiale è stata raccontata da tanti cronisti e corrispondenti di guerra, da fotografi e cineoperatori di testate giornalistiche nazionali, regionali e locali, ma anche da riviste e settimanali. Nel periodo storico che va dal 1923 al 1939 l’Italia è protagonista di quello che può essere definito il periodo dei primati, dei record e delle grandi imprese aviatorie. Basta scorrere i giornali dell’epoca, i quotidiani e i periodici, ma soprattutto la stampa specializzata, quella che faceva capo all’Editoriale Aeronautica, per capire come il Paese era proiettato verso un futuro che metteva al centro l’industria aeronautica. Gli anni che seguirono la nascita della Regia Aeronautica furono caratterizzati da imprese compiute da piloti coraggiosi come Arturo Ferrarin e Guido Masiero: dal 15 febbraio al 30 maggio 1920, a bordo degli Ansaldo SVA-9, portarono a termine il raid Roma-Tokyo in 19 tappe, 18mila chilometri e 109 ore di volo. Certamente tutto ciò rientrava in un disegno propagandistico del regime politico di quegli anni, ma non era fine a sé stesso. I primati, le imprese e i record incoraggiarono e favorirono le industrie aeronautiche, le nuove rotte commerciali, i nuovi mercati che guardavano ai velivoli italiani come a un modello di eccellenza e affidabilità[1].

I risultati raggiunti da ingegneri, piloti e velivoli vennero raccontati da una schiera di “redattori aeronautici”, come li definì Italo Balbo, presenti in quotidiani come La Stampa, il Corriere della Sera e Il Messaggero. Tutti “cronisti dell’aria” pronti a narrare raid e trasvolate come quella del 20 aprile 1925 compiuta da Francesco De Pinedo a bordo di un SIAI S.16 battezzato “Gennariello” volando da Sesto Calende con destinazione Melbourne e Tokyo e ritorno. Un’impresa che venne immortalata sulla copertina de La Domenica del Corriere ripercorrendo i 202 giorni di crociera in 80 tappe e 55mila km per 370 ore complessive. Il marchio SIAI sulla Stampa, così come nelle pubblicità dei giornali, diventò sinonimo dell’ingegnere Alessandro Marchetti, un uomo che avrebbe firmato progetti prestigiosi che avrebbero dato lustro all’Italia nel mondo[2].

Sulla scia dei grandi assi dell’aviazione italiana della Grande Guerra come Francesco Baracca, Fulco Ruffo di Calabria, Pier Ruggero Piccio, Ernesto Cabruna e tanti altri, la stampa specializzata diede vita a un nucleo di cronisti che per tutto il decennio successivo, ossia dal volo del sottotenente di vascello Mario Calderara, primo brevetto di pilota italiano, amico dei fratelli Wright, fino alla nascita della Regia Aeronautica il 28 marzo 1923, narrarono gli sviluppi dell’Aeronautica, compresi i primati, i record e le imprese fino alle crociere e alle trasvolate oceaniche che misero in evidenza la capacità ingegneristica italiana nel realizzare velivoli come gli S.V.A. oppure i Siai Marchetti oppure i Caproni.

Il battellino dei naufraghi si porta vicino al CANT Z per salire a bordo – Foto Archivio Ufficio Storico Aeronautica Militare

Lo scoppio della Seconda guerra mondiale registrò uno stop forzato dello sviluppo industriale aeronautico che virò dagli usi prettamente civili a quelli totalmente bellici. Sia i Paesi dell’Asse che gli Alleati non mobilitarono solamente soldati, carri armati, aerei e navi, ma anche decine di giornalisti e operatori cinematografici chiamati a raccontare il conflitto. La tradizione del reportage di guerra era iniziata con William Russell, che nel 1854 venne mandato dal direttore del Times, a raccontare la guerra di Crimea. Fu il primo quotidiano a inviare un proprio giornalista a seguire un’operazione militare. Nel corso del conflitto russo-turco (1877-1878) il Corriere della Sera aveva avuto corrispondenze da Marco Antonio Canini e Gustavo Minelli[3]. Fu la guerra italo-turca (1911-1912) a far nascere una generazione di corrispondenti foto-cinematografici come il regista e documentaristi Luca Comerio considerato il pioniere italiano della cinematografia di guerra[4]. La campagna di Libia (1913 – 1921) fu terreno di articoli, corrispondenze e riflessioni di anche di scrittori e poeti oltre che di esponenti di correnti letterarie e artistiche come Tommaso Marinetti. Tuttavia il genere del reportage così come lo intendiamo oggi vedrà in Luigi Barzini il capostipite di una schiera di cronisti come Arnaldo Fraccaroli[5], Gino Cornali[6]  e molti altri.  La prima guerra mondiale fu dunque un banco di prova anche per l’informazione che nel 1918 esaltò fortemente la vittoria dell’Italia. Su questa scia nacquero numerosi quotidiani e periodici anche specializzati che non mancarono di fare propaganda al regime durante tutto il ventennio fascista[7].

L’articolo a firma di Franco Libero Belgiorno pubblicato da Ali di Guerra del marzo 1941

Con l’ingresso dell’Italia nelle ostilità il 10 giugno 1940, quotidiani e periodici si trovarono davanti all’esigenza di “impegnare” sul campo e su diversi fronti molti cronisti, peraltro inseriti nelle liste di coscrizione come soldati, marinai e aviatori, come si evince dalla documentazione d’archivio[8]. Per il regime fascista, e di conseguenza per il Ministero della Cultura Popolare, diventò sempre più urgente, soprattutto per i fini della propaganda, l’esigenza di illustrare ciò che accadeva in terra, in mare e in cielo.  Se molti giornalisti restarono nelle redazioni centrali e periferiche per “confezionare” il prodotto editoriale, altri furono inviati in Grecia, Albania, Francia, in Africa, in Mar Mediterraneo a bordo delle navi della Regia Marina oppure sui velivoli della Regia Aeronautica o al seguito dei militari del Regio Esercito. Tra questi Enrico Mattei del quotidiano Ambrosiano, che Indro Montanelli nel 2001 avrebbe definito “maestro di giornalismo” e destinato a diventare uno tra i più brillanti notisti politici italiani; Bruno D’Agostini, che da sottotenente di fanteria era stato uno degli inviati di guerra in Etiopia e poi in Libia; Orio Vergani del Corriere della Sera e Arnaldo Geraldini del Giornale d’Italia, Alberto Spaini del Resto del Carlino, Giancarlo Covoni dell’Agenzia Stefani e molti altri di una lista lunga e variegata che comprendeva redattori di piccoli e grandi giornali del nord, del centro e del meridione d’Italia. Paolo Monelli[9] e Dino Buzzati[10] scrissero le loro corrispondenze da bordo delle navi da battaglia, così come Egisto Corradi, in seguito reduce dalla Russia[11]. Inviati come Cesco Tomaselli e Ugo Lago[12] avevano seguito le imprese polari di Umberto Nobile mentre Vittorio Beonio Brocchieri, Maner Lualdi, Raffaello Guzman e Leone Concato furono i cronisti che più di ogni altro seguirono la guerra sotto il profilo aviatorio. Tutti, però, dovettero non solo schivare i proiettili, i colpi di cannone o le raffiche degli aerei nemici, ma dovettero combattere anche contro la censura di regime sempre incombente ad ogni invio o trasmissione del fatidico “pezzo”. Al riguardo, uno dei massimi studiosi di storia del giornalismo italiano, Paolo Murialdi, mette in evidenza le difficoltà in cui incorrevano i giornali e i cronisti che si trovarono a scrivere negli anni della Stampa di regime. Molti di loro, una volta giunti in trincea, sulle navi “grigie” della Regia Marina o negli aeroporti da dove decollavano caccia, ricognitori e bombardiere della Regia Aeronautica, puntarono a raccontare la vita al fronte oppure gli episodi che nella maggior parte delle volte finivano bene ogni qualvolta erano impossibilitati a scrivere pezzi che inevitabilmente sarebbero stati censurati.

La seconda pagina della rivista Ali di Guerra del marzo 1941 e la firma in calce di Franco Libero Belgiorno

Molte delle storie di cronisti e inviati di guerra al seguito della Regia Aeronautica furono narrate a bordo di velivoli da ricognizione, trasporto e bombardamento, ma anche dentro le carlinghe dei CANT Z. 501 oppure dei CANT Z. 506, molti dei quali modificati nella livrea e nell’equipaggiamento perché destinati al soccorso. Emergono così storie e raccontati di salvataggi al limite dell’avventura e dell’incredibile come nel caso della storia di cinque uomini che per trenta ore rimasero in mare aperto su un battellino pneumatico. Si trattava dell’equipaggio di un CANT z.501 Gabbiano[13] della 188ª Squadriglia di stanza a Cagliari-Elmas, in Sardegna: un guardiamarina osservatore, un sottotenente pilota, un sergente pilota, un primo aviere marconista e un aviere scelto motorista. “La ricognizione aveva dato esito negativo: il mare era deserto. E l’aeroplano si accingeva a far ritorno alla base dopo cinque ore di volo; faceva caldo e il motore ronzava monotono nello sforzo costante sopra la testa dei piloti. Ma c’è un fatto nuovo a bordo: la lancetta dell’olio oscilla e indietreggia. Cattiva lubrificazione: il motore si scalda, poi cala di giri. I motori sono fatti per andar sempre, e vanno quasi sempre infatti anche quando si abusa della loro pazienza; ma qualche volta si stancano e piantano decisi”.[14] L’aeroplano iniziò a perdere velocemente quota e in pochi secondi era già a pelo d’acqua. Occorreva ammarare, ma il mare mosso rendeva più difficili le cose: “A settanta metri il motore pianta esausto. Il pilota con colpo d’occhio misura la distanza e mette giù la pancia del suo velivolo sul letto di un’onda – scriveva Leone Concato nel suo reportage su Le vie dell’aria, un giornale specializzato edito dall’Editoriale Aeronautica fondata da Italo Balbo -. L’ammaraggio è perfetto, ma sul letto dell’onda c’è di traverso un’altra onda morta che tradisce: è un’onda che pizzica il galleggiante sinistro e fa schizzare nuovamente l’aeroplano in aria. Il pilota raddrizza il velivolo e lo rimette in acqua di traverso: lo schiaffo sfonda la chiglia. L’aeroplano affonda e l’equipaggio si trova sottacqua”. Un racconto da film, ma drammaticamente vero. Non era il primo Gabbiano che a due mesi dallo scoppio della Seconda guerra mondiale presentava problemi simili. Quando il motore piantava era un pericolo. Per questo si era guadagnato tra i piloti il nomignolo di “affettatrice” per via del motore posizionato su un “castello” sistemato sopra la cabina di pilotaggio che, qualora sarebbe stato prossimo a piantarsi, mandava l’elica in rotazione sui piloti. Per i cinque uomini di equipaggio, dunque, non c’era solo il problema dell’ammarraggio, ma anche dell’elica. Ma quando si precipita le criticità aumentano e Leone Concato non si tirò indietro a descrivere la tragedia una volta che il velivolo era completamente affondato.

Occorreva infatti “sganciare le bretelle, sganciare il paracadute, aprire gli sportelli tenuti fermi dal peso dell’acqua e uscire. Il secondo pilota, che non sa nuotare, sta affogando. Ed allora il guardiamarina e il sottotenente si tuffano e lo tirano a bordo dell’ala. Ed ora che si fa?”[15]. Se lo chiesero anche gli uomini dell’equipaggio misto Regia Aeronautica e Regia Marina. Una tradizione che durerà fino ai nostri giorni proprio in Sicilia con gli equipaggi del 41° Stormo. Ma questa è un’altra storia Anzi, è una cronaca che vide “cinque uomini nudi, senza viveri, senza armi, senz’acqua, in mare su di un guscio di non più di due metri quadrati alle sei di pomeriggio e con il mare mosso. Non una bussola, non uno strumento”. I cinque iniziarono a remare controvento. Poi arrivò l’alba, il sole bruciava, la gola era secca. L’equipaggio remò tutto il giorno fino a Capo Spartivento. Una microstoria, probabilmente raccolta da Leone Concato nella sua terra, la Sardegna, nei giorni in cui molto probabilmente era ritornato a casa. Concato il 9 luglio del 1940 aveva partecipato a diverse azioni belliche di bombardamento navale insieme al generale di brigata aerea Stefano Cagna. L’aviatore e giornalista era molto famoso tra i lettori. I suoi articoli e i suoi reportage erano pubblicati oltre che su Le Vie dell’Aria e L’Ala d’Italia, anche sul Corriere Mercantile di Genova e su diversi quotidiani associati nell’Ente Stampa. La svolta del giornalista-aviatore fu infine l’approdo al Corriere della Sera[16]. Altri giornalisti meno conosciuti non mancarono di scrivere le cronache di fatti e notizie sul fronte del Mar Mediterraneo.

L’ammaraggio del CANT Z accanto al battellino dei naufraghi – Foto Archivio Ufficio Storico Aeronautica Militare

L’epopea dei CANT Z destinata al soccorso nasce proprio il 10 giugno 1940, con l’inizio delle operazioni belliche dell’Italia al fianco della Germania. Infatti venne organizzato il Soccorso Aereo della Regia Aeronautica con la costituzione delle Squadriglie e delle Sezioni “S”. La 612ª Squadriglia con quattro CANT Z. 506 con sede a Marsala-Stagnone, alle dipendenze del Comando Aeronautica Sicilia; la 613ª Squadriglia con cinque S.55 a Cagliari-Elmas; la 614ª Squadriglia con quattro CANT Z. 506 a Bengasi sotto il Comando Aeronautica di Libia; e le Sezioni “S” di Lero e Torre del Lago, rispettivamente con due e quattro CANT Z. 506 sotto il Comando Aeronautica della 3ª Squadra Aerea[17]. I reparti furono costituiti presso lo scalo di Orbetello (luogo storico e memorabile per le imprese dei trasvolatori atlantici) per poi raggiungere i luoghi assegnati. Il 26 agosto 1940 la sezione “S” di Lero venne sciolta e i velivoli furono dislocati alla 612ª in Sicilia.

Il 1° giugno 1941 venne poi costituita a Brindisi una sezione “S” dotata di CANT Z 506 e sotto il comando della 4ª Squadra Aerea. Solo successivamente, nel maggio 1942, fu prospettata l’opportunità di sciogliere tutte le Squadriglie Soccorso e aggregare i velivoli adibiti a questo impiego all’Aviazione Marittima. Il 21 maggio 1943 una circolare di Superaereo, ossia lo Stato Maggiore della Regia Aeronautica, stabilì le “Sezioni Aeree di Soccorso” comprendente uno o più velivoli dislocate in ogni base aerea del soccorso. Dal 10 giugno 1940 al 31 dicembre 1942, secondo i dati disponibili presso l’Ufficio Storico dell’Aeronautica Militare vennero effettuate 418 missioni di soccorso durante i combattimenti e vennero salvate 231 persone. Durante l’attività di soccorso persero la vita decine di piloti, ufficiali medici e specialisti impegnati a recuperare uomini in difficoltà o feriti, anche perché, spesso, il nemico non rispettò detti velivoli, anche se essi erano contrassegnati con i simboli della Croce Rossa Internazionale, perché al servizio informazioni avversario risultava che in emergenza detti velivoli erano impiegati anche per altri scopi[18].

In Sicilia, oltre ai CANT Z dell’8ª Sezione Soccorso operanti con la 197ª Squadriglia da Ricognizione Marittima dalla base di Marsala-Stagnone, fu molto operativa la 7ª Sezione Soccorso di Siracusa con la 189ª Squadriglia da Ricognizione Marittima.  Ed è a bordo di uno di questi idrosoccorso che il modicano Franco Libero Belgiorno, giornalista e futuro primo direttore dell’aeroporto civile di Comiso a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, scrive il suo reportage. Un articolo legato a un CANT Z. 506 Airone con le insegne della Croce Rossa Italiana in volo sul mare: “Quando si tratta di correre pel cielo, e di scrutare le onde questi bravi piloti del soccorso sono sempre pronti a partire”[19] scrive Belgiorno: “Stare con loro è come vivere ansie minuto per minuto. Perché gli ordini di ricerca possono giungere quando meno te l’aspetti. Le rotte sono sempre diverse: oggi a sud, più tardi ad est, domani a nord. E si va. Con la bussola e, se capita, contro vento”. Una narrazione avventurosa e coinvolgente che parte da un luogo X (sui giornali del tempo non potevano essere pubblicati città o zone di operazione per ovvi motivi di sicurezza, nda) da cui Belgiorno descrive la situazione: “Qui il mare è sempre calmo, poi quando si inquieta e rimugina, tra le correnti, ci da per vari giorni una risacca che rompe le braccia negli involi”. Il reportage viene pubblicato su Ali di guerra n. 19 del marzo 1941 ed è corredato da un disegno del grande idrovolante che sfreccia durante in mezzo ai combattimenti e poi da alcune fotografie in cui vengono mostrati i colpi di mitragliatrice sull’ala destra del velivolo: “L’avventura è capitata a un tenente pilota che non è alle prime armi in quanto conta ad oggi 15 uomini salvati”. Il racconto di Belgiorno inizia dall’ufficio del comandante quando squilla il telefono numero uno, ossia l’apparecchio che comunica con il “Comando Superiore”. Dalla base di Siracusa, molto probabilmente, l’equipaggio del CANT Z composto da un tenente pilota della Regia Aeronautica, da un marconista, da un motorista e da un osservatore, generalmente un guardiamarina della Regia Marina, fu pronto al decollo per andare alla ricerca ed effettuare il recupero di un imprecisato aereo che aveva effettuato un ammaraggio di emergenza tra Portopalo di Capo Passero e Malta, lungo la rotta dei convogli laddove non mancarono dure battaglie aeronavali: “…vi sono due piloti. Non sappiamo se sono in battellino. Bisogna trovarli a qualsiasi costo e salvarli” racconta Belgiorno facendo riferimento agli ordini del comandante della base di Siracusa: “Un omone alto, robusto, un capitano che pare abbia l’animo duro ma poi, in fondo, è come il padre dei suoi ragazzi”  descrive nel reportage Belgiorno.

Il CANT Z 506 S custodito presso il Museo Storico dell’Aeronautica Militare di Vigna di Valle, vicino Roma

Il “CANT Z” scivola sul mare che oggi è calmo. Non spira una bava di vento, per cui bisognerà dare “il più cento” perché l’idro voli. A bordo è tutto a posto. Il dottore ha ordinato agli infermieri “il tutto a posto”. La cassetta dei medicinali, le bende, le fasce, le bottigliette con l’alcole, i panini, la cioccolata attentamente vigilati dal dottore (che sempre un Ufficiale della Sanità Aeronautica) prima che dal motoscafo vadano a bordo. Dopo appena pochi minuti l’apparecchio è a mare. Dopo pochi secondi si inizia il flottaggio, a pieni motori; l’idrovolante s’invola e punta decisamente a sud, verso Malta[20].

Belgiorno racconterà passo passo la missione dell’Airone con le fitte comunicazioni tra il telefono Tre del comando della base di Siracusa e la radio a bordo del CANT Z fino a quando il velivolo non raggiunge la “zona operazioni”. Poi l’avvistamento dei naufraghi e tutto attorno i rottami di un bombardiere Bristol Blenheim. Ma è qui che arriva la sorpresa: non è italiano. “Si tratta di un apparecchio nemico e, quindi, si tratterà di salvare piloti britannici. Bene, pensiamo – prosegue nel racconto Belgiorno -. E’ sempre un’opera umanitaria”. Poi, però, una nuova comunicazione del secondo pilota raggela l’equipaggio e il comando: “Caccia nemica dintorno”. Irrompe solo il silenzio, ma immediatamente da Siracusa viene dato l’ordine a due caccia Macchi C. 200 italiani di decollare presumibilmente proprio da Comiso per dare man forte al CANT Z. I due caccia si aggiungono agli altri due di scorta al velivolo da soccorso che, come detto, non era dotato di armi per difendersi. Ma la caccia nemica attacca.  Il pilota decide di rientrare racconterà: “Avevo avvistato i due piloti sopra un rottame d’ala. Alla distanza di circa trecento metri galleggiavano i rottami di un Blenheim. Dopo un giro abbastanza ampio per provare ad ammarare contro vento, però, debbo nuovamente riprendere quota. Tre caccia nemici sbucati da chissà dove mi piombano addosso e mi scaricano in coda. Do’ tutto motore e scivolo come posso sull’acqua. Quelli insistono a puntarmi. Mi trovo quasi a pelo. Guardo in alto. Tre caccia nostri piombano come bolidi verso il mare: ce la fanno, mi dico. Ora ho tutto intorno le saette. Bisogna che io veda la giostra. Cerco di andare in quota. Non ho tempo di salire che vedo due caccia nemici cascare in fiamme e tuffarsi in acqua, inesorabilmente. Il mio apparecchio è tutto sforacchiato. Il motorista mi dice che il motore è in avaria. Decido di rientrare. E dire che con quei due inglesi facevano diciassette!”.

 

Il riferimento del tenente pilota è agli uomini salvati, ma purtroppo, stavolta non fu possibile, come racconta Franco Libero Belgiorno, i cui articoli, soprattutto dalle basi della Sicilia orientale hanno trovato spazio nelle riviste specializzate. Belgiorno raccontò altre volte di uomini e cieli, ma in particolare di soccorsi e salvataggi. Un tema che lo interessava molto, così come il pubblico di lettori affascinati dagli idrovolanti soccorritori, da quei mitici CANT Z che opereranno anche dopo l’armistizio di Cassibile, in provincia di Siracusa, e l’8 settembre 1943. Gli “Airone” ebbero vita lunga anche dopo la guerra e furono protagonisti di tantissimi racconti di salvataggio, tanti lungo le coste della Sicilia e nel Mar Mediterraneo: “Accanto agli eroismi degli aviatori combattenti, gli equipaggi dei velivoli sanitari e da soccorso sono spesso protagonisti di atti di coraggio e valore che pongono in vivida luce la loro silenziosa e tanto preziosa attività” scriveva il sergente Renato Reggiani, un altro corrispondente che narrò le alterne vicende dei CANT Z: “Quasi tutti possono citare un caso in cui colleghi sono stati tratti in salvo dall’idrovolante avente i distintivi della Croce Rossa, anche in presenza di mare burrascoso e quando il relitto dell’apparecchio semisommerso o a bordo del battellino pneumatico sballottolato dalle onde, credevano di essere già perduti”. Una missione, quella degli idrovolanti bianchi che il sergente Reggiani definisce “impareggiabile” e lo fu davvero, senza retorica propagandistica. Quasi sempre si trattava di salvare naufraghi feriti per poi trasportarli il più velocemente possibile nello scalo più vicino. Le missioni di idrosoccorso vennero narrate anche durante la Guerra di Liberazione dal 1943 al 1945. Questi aerei parteciparono a numerosi missioni e Franco Libero Belgiorno non smise mai di fare memoria degli equipaggi che in molte occasioni si rivelarono veri e propri angeli dell’aria.

Vincenzo Grienti

 

[1] V. Grienti, Le imprese aviatorie, i record e i primati, intervento al Simposio Storico in occasione dell’apertura del Centenario dell’Aeronautica Militare, Palazzo Vecchio, 15 febbraio 2023

[2] Ibidem

[3] G. Minelli, “Lettera di un turcofilo”, in Corriere della Sera, 2 settembre 1977

[4] C. Paternò, “Luca Comerio e la guerra coloniale” in Cinecittà News, 3 ottobre 2017

[5] A. Fraccaroli, In Cirenaica con i soldati, Fratelli Treves, Milano, 1913

[6] G. Cornali, Un fante lassù. Uomini e vicende sul fronte italiano della Grande Guerra, Tarka Editore, Mulazzo, 2015

[7] P. Allotti, Giornalisti di regime. La stampa italiana tra fascismo e antifascismo (1922-1948), Carocci Editore, Roma, 2012

[8] Archivio Centrale dello Stato, MA, Gabinetto, 1941, cl. 3, cart. 33, Corrispondenti di guerra ed operatori cinematografici, vol II

[9] A. Tirondola – E. Cernuschi (a cura di), Paolo Monelli. Giornalista tra i marinai, Supplemento, Rivista Marittima,  Roma, 2020

[10] V. Grienti, Dino Buzzati inviato di guerra sulle navi della Regia Marina, Notiziario della Marina, Roma, Maggio 2020, pp.gg. 45-47

[11] E. Corradi, La ritirata di Russia, Longanesi e Co., Milano, 1965

[12] Ugo Lago (1899-1928), nato a Noto da giovanissimo iniziò a scrivere per diversi giornali locali. Si trasferì a Roma e fu redattore e poi inviato de Il Popolo d’Italia. Scrisse articoli e reportage dalla Francia, dalla Norvegia, dall’Albania e dalla Spagna. Seguì l’impresa del generale Umberto Nobile al Polo Nord e non fece più ritorno disperdendosi tra i ghiacci nella tragedia del dirigibile Italia.

[13] Un idrovolante progettato da Filippo Zappata ed entrato in servizio il 7 marzo del 1934. Era stato costruito dal settore aeronautico dell’Azienda italiana Cantieri Riuniti dell’Adriatico che aveva venduto la licenza all’Aeronautica Sicula di Palermo. Un’impresa che costruì oltre 200 esemplari presso i cantieri navali del capoluogo siciliano. Un aeroplano che ben presto nel corso della Seconda guerra mondiale si rivelò obsoleto. Non a caso gli equipaggi lo soprannominarono “mammaiuto”.

[14] L. Concato, Cinque uomini in una barca, Le Vie dell’Aria, 4 agosto 1940, p.1

[15] ibidem

[16] Una vita avventurosa quella di Leone Concato che nel 1937 si era occupato oltre che di questioni aviatorie anche della guerra terrestre pubblicando il libro Il battaglione vicentino in cui raccontò le operazioni militari in Africa Orientale Italiana. Nell’agosto del 1941 raccontò il trasferimento del 22° Gruppo Caccia dotati di Macchi MC.200 Saetta da Roma-Ciampino al fronte orientale durante la Campagna di Russia in cui la Regia Aeronautica venne chiamata a dare sostegno al CSIR e all’ARMIR. Venne decorato della Medaglia di bronzo al Valor Militare per l’azione di bombardamento alla quale aveva partecipato il 9 luglio 1940 e poi della Croce di guerra al Valor militare per aver preso parte alla campagna della Jugoslavia atterrando per primo sul campo di Lubiana nei giorni in cui veniva occupata la città nel 1941. Sul fronte orientale, invece, riuscì ad atterrare per primo sul campo di Odessa sempre con il suo aereo da turismo Saiman 202. Nel dopoguerra si appassionò anche al mondo degli elicotteri e fu direttore della rivista L’Ala Rotante. Amico dell’imprenditore Domenico Agusta, contribuì con lui ad avviare la collaborazione con Larry Bell da una parte e con la Sikorsky dall’altra. Cosa, quest’ultima, che porterà alla produzione di elicotteri SH3D “Sea King” assegnati alla Marina Militare Italiana e degli HH3F “Pelican” dell’Aeronautica Militare.

[17] G. Angelini – F. M. Ragnisco – A. Trotta, Il soccorso aereo dell’Aeronautica Militare, USAM, Roma, 1975

[18] G. De Ponti, Segrete Ali raccolsero. Missione segreta sotto l’egida della Croce Rossa, Associazione Gente del 15°, pubblicato nel sito il 13 agosto 2016

[19] F.L. Belgiorno, Il soccorritore aggredito, Ali di Guerra n. 19, marzo 1941

[20] F.L. Belgiorno, Il soccorritore aggredito, Ali di Guerra n. 19, marzo 1941, p.  6