29 agosto 1922. Cento anni fa il raid aereo Santiago-Rio de Janeiro. “Mancò la fortuna, non il valore”
In un recentissimo saggio dedicato al Centenario della Radio in Cile avevamo fatto cenno al fervore (istituzionale, artistico e, soprattutto, tecnologico) che aveva caratterizzato la vita cilena nel corso del 1922. In tale ambito s’inserisce anche il poco conosciuto Raid aereo “Santiago – Rio de Janeiro”, concepito nell’ambito dei festeggiamenti per il primo centenario dell’Indipendenza del Brasile, previsti a far data dal 7 di settembre[1]. Organizzato nell’agosto ed eseguito, quindi, nel settembre del 1922, praticamente a tre anni dall’epica impresa del nostro Tenente Antonio Locatelli, che nel 1919 sorvolò le Ande partendo dall’Argentina[2], il Raid fu condotto a bordo di aerei DH-9, pilotati dagli allora Capitani Diego Aracena Aguilar[3], alla cui memoria è oggi intitolata la gloriosa base aerea “El Bosque” (Aeroporto “General del Aire Diego Aracena Aguilar“) dove il tutto ebbe inizio, e Federico Barahona Walton, dall’Ingegnere Ricardo Seabrook e dal Sergente Manuel Barahona, i quali s’avventurarono alla volta della vicina Argentina, prima tappa di un lunghissimo viaggio che avrebbe consentito a quei prodi aviatori di portare il saluto del Cile a Rio de Janeiro, allora Capitale della Nazione Brasiliana. Ciò si verificava ad appena quattro anni dalla fine della “Grande Guerra”, nel corso della quale il mondo intero aveva assistito non solo alle eroiche prodezze dei caccia dei vari Eserciti combattenti, ma anche e soprattutto a quel rapido progresso tecnologico che, ben presto, avrebbe fatto “intravedere” nell’Aviazione in generale la possibilità di un impiego anche in campo civile, accorciando così le distanze chilometriche. Tale esigenza interessò anche Paesi come il Cile, che ai quei tempi soffriva un grosso gap riguardo ai mezzi di collegamento, e ciò sia a livello nazionale, considerata la geografia di quella Nazione, sia a livello internazionale, collegando Santiago sia con i vicini Paesi dell’America Latina che con il resto del mondo, allora raggiungibile solo via mare. Il Raid Santiago – Rio de Janeiro andò incontro a molte difficoltà, ma questo non avrebbe certo inficiato l’ardore e il patriottismo di chi era stato chiamato ad eseguirlo. È solo per questa ragione che abbiamo voluto prendere in prestito la struggente frase scolpita sul monumento che ad El Alamein ricorda il sacrificio, nel 1942, del glorioso 7° Reggimento Bersaglieri[4].
Agosto 1922, l’idea di un Raid aereo.
Fu davvero geniale, da parte di Ernesto Ried, Ingegnere presso la Direzione di Aeronautica dell’allora Ministero della Guerra dela Repubblica del Cile, ma soprattutto appassionato d’Aviazione, l’idea di effettuare un volo dal Cile al Brasile, onde omaggiare quel Paese in occasione del primo centenario della sua indipendenza. Il volo avrebbe avuto le caratteristiche di un vero e proprio “Raid”, termine con il quale s’identificavano già allora anche le speciali prove aeronautiche, le quale, sotto forma di “crociera” o “trasvolata” che dir si voglia, avrebbero consentito di apportare nuove scoperte sia riguardo alla motoristica che ai tempi di durata o di velocità, saggiando, nel contempo, anche la resistenza dei partecipanti, così come dei mezzi e dei materiali. Non solo, ma ciò avrebbe dimostrato il coraggio e la determinazione di coloro che oggi è doveroso annoverare come “Pionieri del volo civile”, non certo animati dall’affannosa ricerca del consenso popolare, bensì dalla necessità di fornire alle industrie aeronautiche spunti per migliorare le tecnologie già esistenti, ovvero per realizzarne delle nuove. Fu così che l’abile Ingegnere iniziò ad effettuare non pochi studi e calcoli di fattibilità onde poter effettuare il Raid, per il quale propose, sin dall’inizio, l’uso di due dei pochi aerei a disposizione della Scuola di Aviazione Militare, i quali, nonostante la loro precarietà tecnica, avrebbero potuto farcela, contando sulla competenza dei piloti militari prescelti. L’idea in sé piacque molto allo stesso Presidente della Repubblica, come si ricorderà l’oriundo italiano Arturo Alessandri Palma, il quale chiese lumi allo stesso Ministro della Guerra, Roberto Sánchez.
Questi si rivolse al Colonnello Enrique Monreal, allora Capo del Servizio Aeronautico Militare cileno, il quale non poté fare altro che confermare la piena capacità dei piloti militari cileni, peraltro da poco addestrati dagli inglesi, volendo ricordare la celebre “Missione Scott”[5]. Ottenuta l’autorizzazione Presidenziale, ebbe subito luogo la preparazione del Raid, naturalmente interessando direttamente la Scuola di Aviazione Militare. Inizialmente si pensò di impiegare tre aeroplani, tanto da selezionare tre ufficiali dell’Aviazione dell’Esercito, i Capitani Diego Aracena, Armando Castro e Federico Barahona. In seguito, con la riduzione a due velivoli, su quello pilotato dal Capitano Aracena (il DH-9 “Railway”, denominato affettuosamente “El Ferroviario“, per via della pubblicità che non a caso riportava sulla fusoliera[6]) salì l’Ingegnere Arturo Seabrook, mentre su quello affidato al Capitano Barahona (il DH-9 “Talca”[7]) salì il Sergente Meccanico Manuel Barahona. Alla data del 26 agosto 1922 i due aerei risultavano già pronti per la missione, anche se non se ne diede subito notizia alla stampa. Piloti ed equipaggi, accompagnati dal Colonnello Monreal, furono, quindi, ricevuti alla “Moneda”, in udienza dal Presidente della Repubblica, il quale consegnò loro una lettera di saluto indirizzata al Presidente del Brasile, Epitacio Pessoa. Il Presidente, nell’esprimere la propria soddisfazione per la titanica impresa, rivolse al Capitano Aracena queste nobili parole: <<Capitano, so già che lei è coraggioso e capace di compiere questa impresa, credo che il suo spirito avrà il coraggio di chi sa servire la Patria con eroismo… >>, ed ancora: «Sia prudente, metta tutta la sua anima alla guida della sua nave e raggiunga Rio de Janeiro, dove i grandi brasiliani celebreranno i festeggiamenti del centenario della loro emancipazione repubblicana».
29 agosto 1922, una data memorabile per la Forza Aerea Cilena.
A differenza di quanto accade da noi in Europa, in Cile e nel resto dell’America Latina il mese di agosto è caratterizzato da un clima tipicamente invernale. Fu, questo, il vero motivo per il quale il Raid non ebbe la possibilità di partire da Santiago lo stesso 26 agosto. L’appuntamento con la storia fu perciò differito al giorno 29, esattamente alle ore 8.25 del mattino, con la partenza effettiva dei due velivoli dall’aeroporto militare di “El Bosque”, salutati da decine di persone, tra giornalisti e addetti ai lavori, oltre naturalmente che dallo stesso Presidente della Repubblica. Il Raid fu, quindi, scortato sino alle Ande, confine di Stato tra Cile e Argentina, da due arei militari “Avro 504”. L’impresa aviatoria non era certo facile ed il lungo viaggio non sarebbe stata una passeggiata, come si comprenderà a breve. Lo stesso attraversamento della Cordigliera delle Ande mise a dura prova i due aerei, i quali, volando a 5.000 metri d’altitudine, oltre ad un vento fortissimo dovettero sopportare le rigidissime temperature atmosferiche (fino a – 26° C.), le quali misero a dura prova entrambi gli equipaggi. Dietro suggerimento via radio del Capitano Barahona, il capo della missione decise di viaggiare separati, evitando così che i forti venti potessero causarne una drammatica collisione. Gli abilissimi aviatori cileni riuscirono così ad attraversare la catena montuosa, passando per il settore di Las Cuevas due ore dopo, con il Capitano Aracena che atterrò a Mendoza, in territorio argentino, alle 11.20, mentre il Capitano Barahona lo avrebbe fatto a Villa Krause[8], vicino a San Juan alle 11.30. E fu proprio a Mendoza che il Capitano Aracena avrebbe ricevuto le opportune cure a causa del congelamento che lo aveva colpito al piede destro, causandone l’inizio di una cancrena[9]. Amorevolmente assistito presso lo stesso Ospedale di Mendoza, l’ufficiale avrebbe ripreso il Raid quattro giorni dopo, appena giunto in città il “Talca“, proveniente da Villa Krause. Il 1° settembre, entrambi gli aerei decollarono da Mendoza, riprendendo così la memorabile missione alla volta di Buenos Aires, la prossima tappa. Dopo aver percorso più di 300 chilometri, gli aerei cileni atterrarono nei pressi di Villa Mercedes. Il giorno seguente raggiunsero così la località di Rufino. Nel prosieguo del volo, però, una fitta nebbia impedì ai due velivoli di proseguire, costringendoli ad un atterraggio di fortuna a Castellanos. Fu proprio qui che il DH-9 del Capitano Barahona subì gravi danni, perdendo il carrello durante il tentativo di atterraggio, operazione che danneggiò anche la fusoliera, uno spoiler e l’elica, lasciando per fortuna illeso l’equipaggio. Ciò avrebbe impedito agli aviatori cileni di continuare il Raid in Brasile. In attesa delle riparazioni del caso, il “Ferroviario“, pilotato sempre dal Capitano Aracena, decollò da Castellanos verso El Palomar, a 25 km ad ovest dal centro di Buenos Aires, già allora importante base aerea argentina. L’iniziativa fu salutata dalla stessa Aviazione Militare argentina, la quale mandò incontro all’aereo cileno due dei suoi velivoli, al comando dei Tenenti Parravicini e Peregoria, i quali s’incontrarono con l’aeroplano del Capitano Aracena sui celi di Junín.
Arrivati in vista di El Palomar, uno degli aerei argentini atterrò per primo, nella necessità di indicare il miglior approccio sulla pista, seguito dall’apparecchio dei colleghi cileni. Fu, quello, un momento veramente straordinario per il Capitano Aracena, il quale fu letteralmente sottratto dalla folla festante. L’arrivo in Argentina degli aviatori cileni fu ampiamente commentato nella stessa Buenos Aires, i cui giornali non mancarono di sottolineare anche l’incontro a colazione, presso la Scuola di Aviazione, dell’Aracena e dell’Ingegnere Seabrook con due noti pionieri della stessa Aviazione argentina, il Capitano Ángel María Zuloaga ed Eduardo Bradley, celebri per aver attraversato le Ande in mongolfiera nel 1916. Ci volle qualche giorno per consentire agli Ingegneri Seabrook e Reid di rimettere in sesto “El Ferroviario”, l’aereo sopravvissuto e sul quale il Cile puntava per il buon esito dello stesso Raid. Il 6 settembre, alle 9.25, gli aviatori partiti da Santiago alcuni giorni prima ebbero finalmente la possibilità di decollare da El Palomar, scortato da tre aerei “Spad” e da tre “Bristol” argentini. Volando a non più di 100 metri di altezza a causa della fitta nebbia, poco prima di arrivare nei pressi della Scuola dell’Aviazione Militare di Montevideo, in Uruguay, tre aerei “Avro” uruguayani, pilotati dai Tenenti Lacosta, Galeano e Farías andarono incontro all’ormai famoso aereo cileno, dovendo indicare il punto di atterraggio nella pista di detta Scuola. L’atterraggio fu registrato alle ore 11.10 dello stesso 6 settembre, praticamente il giorno prima del Centenario dell’Indipendenza del Brasile. Comprensibile, a questo punto, era l’impazienza del Capitano Aracena, il quale giustamente desiderava raggiungere il territorio brasiliano entro quello stesso giorno. Decollato da Montevideo in direzione di Treinta y Tres, dove il velivolo fece rifornimento, prima di incontrare nuovamente una fitta nebbia il mezzo raggiunse la cittadina di Vergara, ancora in Uruguay, ove dovette atterrare, costretto ad attendere lì il diradarsi del fenomeno atmosferico. Fu, quindi, solo alle ore 08.15 dell’8 settembre che l’equipaggio cileno ebbe la possibilità di decollare da Vergara, per poi attraversare, una quindicina di minuti dopo, il confine brasiliano e atterrare così a Pelotas alle ore 11.00. Subito dopo “El Ferroviario” continuò il lungo viaggio verso Porto Alegre, ove giunse alle 17.40. di quello stesso giorno.
Il giorno seguente, alle ore 10.50, il velivolo pilotato dal Capitano Aracena decollò da Porto Alegre diretto a Florianópolis. Ma le disavventure non erano certo terminate. Dopo aver percorso circa 170 km, l’aeroplano dovette atterrare a Domingo das Torres, intorno alle 14.00, questa volta a causa di un forte vento e di una tempesta di pioggia. Fu solo alle ore 8.10 del 12 settembre che il Raid ebbe modo di lasciare Domingo das Torres, approfittando di un leggero miglioramento del tempo, atterrando così a Florianopolis alle ore 11.20. Lunga ancora era però la “strada” (si fa per dire) da percorrere per raggiungere Rio de Janeiro. Il tratto da Florianópolis a Santos (600 km circa) fu tra i più lunghi che il Capitano Aracena e l’Ingegnere Seabrook avrebbero dovuto affrontare. Alle ore 11.40 del 13 settembre 1922 gli indomiti aviatori cileni ripresero il volo, nella speranza di avvicinarsi sempre di più dalla méta finale. Ancora una volta la sorte non arrise a quei prodi, in quanto l’aereo militare fu nuovamente costretto ad atterrare, questa volta ad Iguape, a causa di un guasto alla pompa della benzina. Un secondo scalo, anch’esso non programmato, avvenne poi presso il Forte Militare “Duque de Caxias“, dovendo fare il pieno di carburante. Ciò determinò l’arrivo a Santos solo alle ore 17.20. Certi ormai di riprendere il viaggio senza altre interruzioni, i due coraggiosi aviatori cileni ripartirono dalla spiaggia dei Gonzaga a Santos il 14 settembre, verso le ore 11.30, ovviamente in direzione di Rio de Janeiro, distante circa 340 km. Ma un accanimento inspiegabile sembrò voler condannare per sempre quella splendida missione aviatoria. Ebbene, dopo circa due ore e mezza di volo, tra nebbia e nuvole, un fortissimo vento impedì al Capitano Aracena di andare avanti, costringendolo così ad un atterraggio di fortuna. Ciò avvenne nei pressi della cittadina di Ubatuba, ove purtroppo, durante l’azzardata manovra, dopo aver percorso circa 40 metri di pista accidentale la ruota destra, affondando nel terreno, fece girare e capovolgere il glorioso aereo. Per fortuna non vi furono conseguenze gravi per entrambi i membri dell’equipaggio.
La fine del Raid.
A quel punto, di fronte alle avversità sin lì riscontrate e, soprattutto, all’impossibilità di portare a termine il Raid, il Capitano Aracena e l’Ingegnere Seabrook furono accompagnati nella stessa Ubatuba, località dalla quale, il 16 settembre furono trasferiti a Rio de Janeiro a bordo di una torpediniera. Nella allora Capitale del Brasile i due straordinari aviatori cileni ebbero l’onore di incontrare comunque il Presidente Epitacio Pessoa, al quale consegnarono finalmente la lettera con i saluti del Presidente Arturo Alessandri Palma. Dinanzi a quella incredibile missione, purtroppo “svilita in parte” a causa di impedimenti naturali e tecnici, certamente non voluti da entrambi gli equipaggi, il Governo Brasiliano ritenne, grazie ad un gesto di grande amicizia e cameratismo, di permettere al Capitano Aracena di terminare, almeno simbolicamente, il Raid. Gli fu, quindi, messo a disposizione l’idrovolante n. 11 della Marina da Guerra brasiliana, mezzo con il quale l’ufficiale cileno, dopo alcune ore di prove, decollò il 25 settembre dalla baia di Guanabara in direzione di Ubatuba.
L’idrovolante fu accompagnato nell’impresa da un equipaggio brasiliano, che pilotò l’aereo fino ad Ubatuba, località dove giacevano ancora i resti del povero “El Ferroviario”. Da qui, alle ore 17.56, il prode Aracena prese egli stesso i comandi per tornare a Rio de Janeiro, immaginando magari di trovarsi a pilotare il suo amato velivolo. Con quel volo si concludeva così una missione iniziata quasi un mese prima in Cile: una missione pericolosa e azzardata che comunque fu portata a termine, per quanto simbolicamente, si diceva prima, con caparbia, determinazione e altissimo coraggio. Sia il Capitano Aracena che l’Ingegnere Seabrook furono, tuttavia, consapevoli che anche allora, così come in altre circostanze che la storia militare ci ha tramandato, “Mancò la fortuna, non il valore”.
Col. (a) Guardia di Finanza Gerardo Severino
Storico Militare
[1] Il 7 settembre 1822 fu il giorno in cui avvenne il noto fatto passato alla storia come “Il Grito do Ipiranga”, che si concretizzò sulla riva del torrente Ipiranga nell’attuale città di San Paolo. Fu proprio in quella circostanza che l’allora principe reggente D. Pedro, che governò il Brasile nel nome di suo padre, il re D. João VI, ricevette la notizia che i tribunali di Lisbona avevano annullato i suoi ordini e ridotto il suo potere di principe reggente. Dichiarò, quindi, alla sua guardia d’onore la separazione irreversibile del Brasile dal Portogallo e pronunciò la famosa espressione “indipendenza o morte”.
[2] Cfr. Gerardo Severino, Dall’Argentina al Cile volando sulle Ande, in rivista <<Aeronautica>>, numero di luglio 2001.
[3] Diego Aracena Aguilar (12 novembre 1891 – Santiago , 2 maggio 1972) sarebbe poi assurto ai vertici dell’Aviazione Militare cilena, divenendone Capo di Stato Maggiore dal 1932 al 1938.
[4] Per maggiori approfondimenti si consigliano José Núñez Rosseau, 28 Días Historia de una hazaña, in <<Revista Los Sports>>, Colección memoria chilena, n. 54 del 21 marzo 1924, ed AA. VV., Historia de la Fuerza Aérea de Chile – Tomo I, El amanecer de los condores, Santiago de Chile, Editorial Instituto Geografico Militar, 2002
[5] Cfr. Cien Años de la llegada de la mision Scott a Chile, in <<Tally H – Revista Aeronautica Chilena>>, n. del 12 ottobre 2020.
[6] Va ricordato che sin dal 1920, l’Associazione Ferroviaria del Cile aveva aderito ad una raccolta patriottica di fondi, realizzata attraverso la donazione di un giorno di stipendio, per l’acquisto di uno o più aerei militari. Fu così che il Consiglio di Amministrazione conferì al “National Pro-Aviation Committee” la somma di 37.273,76 dollari, la quale, assieme alle altre raccolte dai vari Sindacati di lavoratori, consentì la realizzazione del nobile fine. Fu per questo motivo che uno dei due primi aerei prese il nome di “El Ferroviario”.
[7] Occorre precisare che in alcuni testi di storia aeronautica gli aerei del Raid vengono indicati come velivoli DH-9 n. 91 “Talca” e n. 92 “Railway”, mentre nelle immagini d’archivio il n. 91 corrisponde al DH-9 “Tacna”.
[8] Villa Krause, chiamata anche Ciudad Ingeniero Krause, è una città argentina del Dipartimento di Rawson, del quale è capoluogo, nella provincia di San Juan.
[9] Ciò era avvenuto a causa della rottura nel tessuto del suo aereo, fessura dalla quale entrò il gelido vento delle Ande.