70 anni fa gli Usa sganciarono la bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki
La mattina del 9 agosto 1945 un Boeing B-29 Superfortress, un bombardiere americano, ebbe l’ordine di alzarsi in volo per portare a termine una missione che, tre giorni dopo quella compiuta dall’Enola Gay, avrebbe posto fine alla Seconda guerra mondiale e completamente cambiato le sorti dell’umanità. Quel B-29 aveva a bordo la bomba atomica soprannominata “Fat Man” e si diresse alla volta di Kokura, l’obiettivo iniziale della missione. Il cielo sopra la città era alquanto nuvoloso e ciò non permise di individuare esattamente l’obiettivo. Dopo tre passaggi sopra la città, e ormai a corto di carburante utile per il viaggio di ritorno, il bombardiere fu dirottato sull’obiettivo secondario: la città di Nagasaki.
Alle 11:02, dopo pochi minuti di sorvolo su Nagasaki “Fat Man”, che conteneva circa 6,4 kg di plutonio-239, fu sganciata sulla zona industriale della città. Era il 6 agosto 1945 alle ore 8.15 quando Hiroshima fu colpita dalla bomba atomica. Un accecante e immenso bagliore, un’enorme nuvola dalla forma di un fungo bruciarono il cielo della città giapponese posta . Fu il B-29, un bombardiera dell’U.S. Air Force (Usaf) che nella fusoliera portava il nome di Enola Gay a sganciare “Little Boy”, questo il nome dato alla bomba atomica, sul centro di Hiroshima. Il sensore altimetrico era tarato per effettuare lo scoppio alla quota di 600 metri dal suolo, dopo 43 secondi di caduta libera. Immediatamente dopo lo sgancio, l’aereo fece una inversione di 178°, prendendo velocità con una picchiata di circa 500 metri e perdendo quota, allontanandosi alla massima velocità possibile data dai 4 motori a elica. L’esplosione si verificò a 580 metri dal suolo, con uno scoppio equivalente a 13 chilotoni, uccidendo sul colpo tra le 70mila e le 80mila persone. Oltre il 90 per cento degli edifici fu completamente raso al suolo e i 51 templi presenti della città furono distrutti. Lo sgancio della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki contribuì alla fine della guerra ad aprire un nuovo capitolo nella storia dell’umanità, quello della deterrenza basata sulla minaccia di distruzione totale. Lo spostamento d’aria di eccezionale potenza rase al suolo le case e gli edifici nel raggio di circa 2 km. Ai gravissimi effetti termici e radioattivi immediati si aggiunsero negli anni successivi gli effetti delle radiazioni, che portarono le vittime a quota 250.000. Dopo il bombardamento di Hiroshima il Presidente degli Stati Uniti d’America Henry Truman annunciò in riferimento: «Se non accettano adesso le nostre condizioni, si possono aspettare una pioggia di distruzione dall’alto, come mai se ne sono viste su questa terra». Ma come si arrivò a questa drammatica e tragica decisione e di conseguenza alla morte di migliaia di civili che avrebbero fatto a meno della guerra? Il presidente degli Stati Uniti d’America Truman era venuto a conoscenza dell’esistenza del Progetto “Manhattan” dopo la morte di Franklin Delano Roosevelt. Il bombardamento, secondo Truman, doveva condurre a una rapida risoluzione della guerra. Il 26 luglio 1945 Truman e gli altri capi di Stato Alleati stabilirono, nella Dichiarazione di Potsdam, i termini per la resa giapponese. Il giorno seguente, i giornali giapponesi riportarono la dichiarazione, il cui testo fu diffuso anche radiofonicamente in tutto l’impero del Sol Levante, ma il governo militare la respinse.
Per capire le nefaste ricadute del lancio della bomba atomica su Hiroshima, da leggere un reportage avvenuto in Giappone a pochi mesi dall’esplosione dal titolo “Hiroshima. Il racconto di sei sopravvissuti”. Scritto da John Hersey il volume è una radiografia del male: il racconto della più grande catastrofe che l’uomo abbia provocato, ricostruito attraverso le vicende di sei esseri umani catapultati nell’inferno allucinante di un fungo radioattivo. Per milioni di uomini e donne, per una generazione di americani ed europei che non riusciva neppure a immaginare i giapponesi, le vittime della bomba ebbero di colpo nome, volto, storia. Quarant’anni dopo la prima pubblicazione, John Hersey è tornato a Hiroshima alla ricerca delle sei persone di cui aveva raccontato la vicenda. Il suo lavoro si arricchisce così di un nuovo capitolo conclusivo. Per continuare a scuotere la coscienza dell’umanità.