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9 settembre 1943, in memoria dei marinai della corazzata Roma

Ventidue ore dopo la proclamazione dell’armistizio corto firmato a Cassibile il 3 settembre 1943 alle 17.15, la corazzata “Roma”, l’ammiraglia della Regia Marina, classe Littorio, la più moderna delle navi da battaglia dell’Italia che fino a quel giorno poteva vantare di essere la terza flotta più potente al mondo, salpa da La Spezia e punta la prua verso La Maddalena. Erano le 03:15 del 9 novembre . A bordo c’è l’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini, comandante in capo della Flotta Navale da Battaglia (FNB). Il comandante del Roma, Adone Del Cima anch’egli in plancia quando alle 04.00 Bergamini comunicò a tutte le unità “di fare attenzione agli aerosiluranti all’alba”. Alle 06.00 avvenne il congiungimento con l’VIII Divisione navale partita da Genova intorno alle 02.45. Alla formazione si unirono tre incrociatori provenienti da Genova per poi dirigersi insieme a ponente della Corsica. La FNB a questo punto diventò imponente in quanto oltre al Roma, all’Italia e al Vittorio Veneto, completavano la squadra navale gli incrociatori Eugenio di Savoia, Emanuele Filiberto Duca d’Aosta e Raimondo Montecuccoli (VII Divisione); gli incrociatori Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi, Giuseppe Garibaldi, Attilio Regolo (VIII Divisione); i cacciatorpediniere della XII Squadriglia Mitragliere, Fuciliere, Carabiniere e Velite e da quelli della XIV Squadriglia Legionario, Alfredo Oriani, Artigliere e Grecale. Infine le torpediniere Libra, Pegaso, Impetuoso, Orsa e Orione.

Dalla fine del “posto di manovra generale” gli equipaggi avevano assunto l’assetto di navigazione “in guerra” pronti e operativi al “posto di combattimento” qualora fosse stato chiamato dai comandanti delle unità. Alle 9.00, a ponente della Corsica, la flotta assunse la rotta 180°, velocità 120 nodi dirigendo verso sud ed effettuando una serie di zig-zag in caso di eventuali minacce di sommergibili ostili. Da quell’ora, prima i ricognitori tedeschi e poi quelli britannici, vennero avvistati dalla plancia comando del Roma e delle altre unità. Intorno alle 10.00, non avendo informazioni circa una scorta aerea della flotta, l’ammiraglio Bergamini ordinò di approntare la catapulta, con i piloti della Regia Aeronautica pronti sui Reggiane RE. 2000,  i caccia imbarcati sul Roma, sull’Italia e sul Vittorio Veneto. Velivoli catapultabili dalle unità, ma che una volta effettuata la missione erano costretti a rientrare a terra (l’Italia non possedeva portaerei, nda). Tra le 9 e le 11.00 la percezione di essere “controllati a vista” dall’alto aumentò tra i marinai, complice il bel tempo. C’era ottima visibilità e mare calmo quando venne avvistato uno Junker Ju.88 tedesco intorno alle 10.30 e poi molto probabilmente un Martin B-26 Marauder del 14° Squadron della Royal Air Force che operava tra l’Algeria e la Sardegna. Intanto Supermarina aveva chiesto a Superaereo la copertura aerea delle unità in navigazione verso La Maddalena, ma molti gruppi caccia dalla Sardegna erano stati rischierati attorno alla capitale che nel frattempo doveva difendersi mentre gli anglo-americani risalivano lo stivale dopo lo sbarco a Salerno. Solo quattro Macchi Mc.202 dell’82ª Squadriglia del 13° Gruppo Caccia Terrestre di stanza a Olbia-Venafiorita si alzarono in volo. Ma fu tutto inutile perché i comandi non indicarono ai piloti l’esatta posizione delle navi che procedevano a ovest della Corsica e non ad est dell’isola dove invece cercarono invano i velivoli della Regia Aeronautica purtroppo senza risultato per quasi un’ora. La presenza degli inglesi provocò intorno alle 11.00 la reazione di alcune navi italiane che aprirono il fuoco contro l’aereo. L’ammiraglio Bergamini intervenne immediatamente trasmettendo a tutti i comandanti delle navi il seguente messaggio: “Non, dico non, fate fuoco contro velivoli riconosciuti inglesi o americani”.

La rotta seguita dalla corazzata Roma e dalla Flotta Navale da Battaglia (G. Fioravanzo, La Marina dall’8 settembre 1943 alla fine del conflitto, vol. XV dell’opera “La Marina Italiana nella II Guerra Mondiale” a cura dell’Ufficio Storico della Marina Militare)

Alle 12.15 il convoglio giunse all’altezza di Punta dello Scorno. Le unità accostarono a sinistra per entrare nel Golfo dell’Asinara in sicurezza e per cercare di evitare le mine “posate” dagli stessi italiani in difesa di possibili attorno all’arcipelago de La Maddalena. Alle 14.38, nelle vicinanze delle Bocche di Bonifacio, arrivò un messaggio da Supermarina per l’ammiraglio Bergamini: “La Maddalena occupata dai tedeschi, invertite la rotta dirigendo su Bona”. Due minuti dopo, alle 14.40, l’ammiraglio Bergamini ordinò: “A tutte le unità dipendenti. Accostate a un tempo di 180° a sinistra”. L’intera manovra venne descritta nel rapporto di navigazione dell’ammiraglio Luigi Biancheri più volte e in più circostanze citata dal comandante Pier Paolo Bergamini, autore di Le Forze navali da battaglia e l’armistizio, edito da Rivista Marittima nel 2002: “La manovra eseguita a velocità elevata (24 nodi, circa 48 km/ora) si compie in maniera brillante che testimonia il perfetto addestramento dei comandanti”. Alle 14.45 il comandante in capo ordinò di assumere rotta 285° che era quella necessaria per tornare a Punta dello Scorno e di lì accostare a sinistra e dirigere su Capo Bon e inviò subito a Supermarina, e per conoscenza alle sue divisioni, il messaggio 06992 comunicando che aveva invertito la rotta e dirigeva su Bona. Alle 14.47 un ricognitore tedesco, osservò la manovra e la nuova rotta delle FNB e inviò la notizia al suo comando. Alla proclamazione dell’armistizio, il comando supremo tedesco aveva dato l’ordine al comando della Luftflotte in Italia: Le navi da guerra italiane che fuggono o provino a passare dalla parte del nemico devono essere costrette a rientrare in porto o distrutte”.

Le due torri prodiere da 381 della Corazzata Roma (Foto Ufficio Storico Marina Militare)

Fu così che da Istres, in Francia, decollarono, in due gruppi, undici bombardieri Dornier Do. 217 K-2 del Kampfgeschwader 100 comandati dal maggiore Bernhard Jope. Si trattava della prima unità dell’aviazione tedesca a utilizzare le bombe plananti radioguidate Ruhrstahl SD 1400 ribattezzate dagli Alleati “Fritz X”. L’arma venne alloggiata in uno dei piloni subalari del velivolo e pesava 1.400 Kg. Una volta sganciata prendeva cadeva a grande velocità, ma dall’aereo vi era la possibilità da parte di uno dei membri dell’equipaggio del Dornier a correggerne continuamente la traiettoria. Il Roma, così come tutte le altre unità della Regia Marina si trovarono davanti a un’arma dalla quale risultava difficile difendersi. La bomba “intelligente” era stata sperimentata dal tenente pilota della Luftwaffe Heinrich Schmetz considerato “un pioniere nella sperimentazione dell’impiego manuale di munizioni a guida di precisione durante la seconda guerra mondiale” (Gathering of Eagles Foundation, Usa). La bomba, che aveva la forma di un missile, poteva essere sganciata da un’altezza di 5-7000 metri e su un “sito” di 80° a differenza delle altre bombe convenzionali che venivano sganciate da circa 3-3500 metri e su un “sito” di 60° nell’angolo compreso tra il piano orizzontale della nave e la congiungente nave-aereo.

Un IMAM Ro.43 imbarcato – Foto Ufficio Storico Marina Militare

Alle 15.16, dopo che l’ammiraglio Bergamini aveva avvistato la formazione di aerei tedeschi, in tutte le unità venne chiamato “il posto da combattimento” e “pronti ad aprire il fuoco” facendo alzare il segnale a bandiere P3. Le unità ebbero anche l’ordine di andare a zig-zag. Quando i primi aerei superarono il “sito” di 60°, cioè la distanza angolare dall’orizzonte, a bordo del Roma tirarono tutti un sospiro di sollievo considerando l’ipotesi che i velivoli tedeschi si stavano allontanando e che i piloti della Luftwaffe non avessero intenzioni ostili. Ma non era così. Gli aerei tedeschi iniziarono a non volare in formazione e a eseguire delle virate particolari. Furono gli attimi che precedettero lo sgancio di “Fritz X”. Dal velivolo si sganciò un puntino luminoso tra il giallo e il rosso seguito da una scia bianca, quasi a far pensare a un segnale di riconoscimento. Invece velocemente l’oggetto proseguì la sua corsa fino a impattare a pochi metri dalla poppa della corazzata Italia. Un’azione “nettamente ostile” che fece aprire il fuoco dei cannoni anti-aerei. Scrive nella sua ricostruzione l’ammiraglio Pier Paolo Bergamini: “Alle 15.42 l’aereo pilotato dal sergente Steinborn raggiunse la Roma sul lato dritto, il sergente Degan sganciò la prima bomba che colpì la nave al centro-poppa di dritta tra i complessi antiaerei n° 9 e n° 11. La bomba attraversò la nave e scoppiò in mare poco al di sotto della chiglia. Si apri una falla che provocò l’allagamento del locale caldaie e motrici di poppa, le eliche dell’estrema poppa si bloccarono, la velocità della nave si ridusse da 22 a 16 nodi”.

L’ammiraglio Carlo Bergamini, comandante in capo delle Forze Navali da Battaglia

Alle 15.52 la corazzata Roma fece una accostata a sinistra di 60°. In quel momento venne sganciata la seconda bomba che colpì la nave sul lato sinistro accanto al torrione corazzato, dove si trovava la plancia ammiraglio e la plancia comandante. L’ordigno penetrò tra il torrione corazzato, la torre n. 2 dei cannoni da 381/52 e l’impianto dei cannoni da 152/55 di prora a sinistra. L’impatto e lo scoppio fu micidiale tanto da provocare la deflagrazione del deposito munizioni dei 152/55 e la deflagrazione del deposito della torre n. 2 che venne letteralmente lanciata in aria. Contemporaneamente si aprì una falla e l’acqua allagò il locale motrici che ebbero un blocco così come i comandi del timone facendo proseguire la nave nella sua accostata di 60° gradi a sinistra.

L’esplosione generò un’enorme colonna di fiamme e fumo alta 400 mt. Il torrione corazzato provocò la morte di tutto il personale che vi si trovava. Il Roma si inclinò sul lato dritto. Le riservette antiaeree che si trovavano vicino al torrione andarono in fiamme e con esse le munizioni. I proiettili vennero lanciati a 360° ferendo e uccidendo molti marinai. L’equipaggio della corazzata Roma, da diverse testimonianze dei superstiti, gettò il cuore oltre l’ostacolo, come d’altronde aveva fatto l’ammiraglio Bergamini sin dalle prime e dell’8 settembre ai tragici momenti al largo della Sardegna. Moltissimi marinai, ufficiali e sottufficiali furono protagonisti di coraggiosi atti di soccorso, aiuto e senso del dovere per salvare i feriti. Molti di loro persero la vita per il salvare un compagno. Gli ufficiali e i sottufficiali sopravvissuti cercarono in tutti i modi, nonostante le ferite e le ustioni riportate, di mantenere la lucidità necessaria, la calma e l’ordine.

Alle 16.00 il tenente di vascello Agostino Incisa della Rocchetta, avendo appurato di essere l’ufficiale del corpo dello stato maggiore più alto in grado, radunò a poppa quanto più possibile i membri dell’equipaggio, specialmente coloro che avevano maggiormente bisogno di aiuto e, una volta resosi conto che non c’era altra via d’uscita per la corazzata, ordinò “l’abbandono nave” alle 16.07. Quattro minuti dopo la nave si capovolse, si spezzò in due tronconi e affondò.

La colonna di fumo sprigionata dalla corazzata Roma dopo che è stata colpita la seconda volta (Foto Ufficio Storico della Marina Militare)

Proprio Agostino Incisa della Rocchetta, da ammiraglio, nel 1978, scrisse il libro L’ultima missione della corazzata Roma (Mursia) con la collaborazione dell’Ufficio Storico della Marina Militare. Incisa della Rocchetta, al momento dell’abbandono nave, ricevette il salvagente dal cannoniere Francesco Grienti, siciliano originario di Avola, che ringraziò il 19 aprile 1984 in una lettera in risposta al Presidente nazionale marinai d’Italia “nella quale, fra l’altro, dice che è lei il marinaio che mi ha dato il proprio salvagente. Le debbo la vita!! Le sono infinitamente grato per il Suo meraviglioso gesto di altruismo! Solo mi dispiace non si sia fatto vivo a Mahòn…l’ho tanto cercate”. Parole, quelle dell’ammiraglio Incisa della Rocchetta che a distanza di ottant’anni dall’ultima missione della corazzata Roma risuonano forti e cariche di solidarietà. Grazie al figlio di Francesco Grienti oggi possiamo leggere questa corrispondenza inedita tra il cannoniere decorato della Croce di Guerra al Valor Militare e l’ammiraglia Incisa della Rocchetta che nel 1978 aveva scritto un volume edito da Mursia con la collaborazione dell’Ufficio Storico della Marina Militare.

La lettera dell’Ammiraglio Incisa della Rocchetta al cannoniere PM Francesco Grienti (per gentile concessione di Vince Grienti, figlio di Francesco)

Francesco Grienti fu uno dei 600 sopravvissuti della corazzata Roma e dopo la guerra si trasferì ad Ottawa, in Canada. Rimase sempre fedele nel cuore e nella mente alla Marina Militare e fu impegnato nell’Associazione Marinai d’Italia in Canada. Ebbe una consistente corrispondenza con l’ammiraglio Incisa della Rocchetta. Il Notiziario della Marina e Rivista Marittima dedicarono ampio spazio alla corazzata Roma e al sacrificio dei marinai e l’Ufficio Storico della Marina Militare, per tramite l’addetto navale a Ottawa fecero recapitare a Francesco Grienti libri e riviste che parlavano della nave a bordo della quale era stato imbarcato dal 1941 al 1943.

In occasione dell’80° anniversario dell’affondamento della corazzata Roma, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ha commemorato i marinai caduti durante l’attacco dei tedeschi al largo dell’Asinara. 
“Ottanta anni fa si consumava in queste acque una pagina dolorosa per la Marina e per l’Italia, in un momento di svolta che ha segnato profondamente la memoria collettiva del nostro Paese – ha detto il Presidente della Repubblica -. Fu un sentimento di sbandamento che accompagnava lo svelamento di un inganno, quello del regime fascista, aggiunto all’acquisita consapevolezza della rottura del patto tra monarchia e popolo. In quei giorni terribili e da lì sino alla fine del conflitto, l’Italia ha pianto migliaia di morti, uomini e donne, militari e civili, in Patria e all’estero, accomunati dal desiderio di vivere in pace, in un Paese libero, lasciandosi alle spalle la dittatura e gli orrori della guerra. Tanti italiani morirono perché la Patria riprendesse il suo autentico e libero percorso nella storia”.

Da quel 9 settembre del 1943 prese inizio il riscatto nazionale, la lotta di Liberazione, ha sottolineato Mattarella: “Ad opera dei militari internati nei campi di concentramento in Germania, ai quali venne negato lo status di prigionieri di guerra. Dei martiri di Cefalonia. Dei combattenti nei Balcani e nelle isole del Mediterraneo. Dei reduci dalla Russia e dall’Africa. Da tutti loro si levò la condanna nei confronti di un regime che si era unito al nazismo, tradendo i valori autentici del popolo italiano. Si levò dai soldati e dai giovani che, rifiutando di servire il governo collaborazionista di Salò, salirono in montagna, costituendo le prime formazioni armate. Umili voci ed eroici comandanti, come il capitano di vascello Adone Del Cima, comandante di nave Roma, Medaglia d’argento al Valor militare. Come l’Ammiraglio Carlo Bergamini, comandante delle Forze navali da battaglia, Medaglia d’oro. Come il Capitano di corvetta Alessandro Cavriani e il Capo di terza classe Virgilio Fasan, imbarcati su nave Vivaldi, entrambi Medaglia d’oro. Alla memoria. E del loro esempio siamo qui oggi a rinnovare la memoria, a ottant’anni di distanza – ha proseguito il Capo dello Stato -. Sono loro, come i fucilati, gli impiccati, i torturati, i morti di stenti e di maltrattamenti nei campi di concentramento, le vittime di rappresaglia tedesca, da Marzabotto a Boves, alle Fosse Ardeatine, all’isola di Kos e di Lero, dove combatterono personalità come Leonetto Amadei, poi Presidente della Corte costituzionale e Virgilio Spigai che sarebbe divenuto Capo di Stato Maggiore della Marina Militare della Repubblica. Sono loro, che con i caduti a Porta San Paolo, a Montelungo, nelle Quattro Giornate di Napoli, hanno dato vita a un secondo Risorgimento, hanno contribuito al sorgere di una nuova Italia, ricostituendo quella unità nazionale che il fascismo aveva spezzato. La loro eredità è rappresentata dalle istituzioni democratiche della Repubblica e dalla missione di pace iscritta nella nostra Costituzione all’art. 11 ove si afferma solennemente che “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli”.

Ed è questa la missione affidata alle Forze armate, ha concluso il Presidente della Repubblica: “Essere presidio della nostra libertà, far sì che prevalga il rifiuto di ogni forma di sopraffazione e di violenza, di offesa alla dignità di ogni popolo. E che prevalgano le ragioni dello Stato di diritto e delle regole di diritto che si è data la comunità internazionale. Il no alla guerra è risuonato con forza dopo il Secondo conflitto mondiale, consentendo di dar vita a organizzazioni come le Nazioni Unite, al processo di integrazione europea, alla creazione di alleanze, come la Nato, in grado di difendere i valori che ispirano le nostre società. Quel no alla guerra è ciò che ci permette oggi, di fronte all’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa, di invocare, a voce alta, il diritto del popolo ucraino a resistere e a pretendere di essere arbitro del proprio futuro”.

Mattarella ha poi ribadito il grande ruolo della Marina Militare “che fornisce un contributo essenziale alla sicurezza entro cui si sviluppano le nostre libertà, e colgo anche questa occasione per esprimere l’apprezzamento più grande nei riguardi delle donne e degli uomini della Marina per l’instancabile impegno profuso, quotidianamente”.

Il relitto della Corazzata Roma è stato ritrovato nel 2012 durante una missione da nave Vieste. Attraversate le Bocche di Bonifacio, è giunta nelle acque al nord della Sardegna per effettuare la campagna di ricerca e localizzazione della Corazzata Roma, la grande e potente unità da guerra italiana che da settantacinque anni riposa sul fondo del mare, a oltre 1200 mt di profondità nelle acque del golfo dell’Asinara, a poche miglia da Porto Torres.

Inequivocabile coerenza delle immagini di pezzi di artiglieria contraerea con quelli imbarcate sulla Corazzata Roma: questo il verdetto ufficiale della Marina Militare sulle prove fotografiche presentate  alla conferenza stampa, tenutasi nella Biblioteca Dipartimentale del Circolo Ufficiali di La Maddalena, alla presenza di tutti coloro che hanno partecipato alla localizzazione e alla certificazione dell’identità del relitto della nave militare ‘fotografata’ per la prima volta il 17 giugno 2012.

“L’affondamento della corazzata Roma, avvenuto il 9 settembre del 1943, è stato un evento che, associato all’8 settembre, proclamazione dell’Armistizio, ha segnato la storia d’Italia e delle Forze Armate italiane – scrisse Pier Paolo Bergamini, figlio dell’ammiraglio Bergamini, e autore del libro Forze navali da battaglia e l’armistizio ed edito da Rivista Marittima -. Oggi, da quella tragica circostanza in cui persero la vita 1.393 marinai italiani, viene restituito alla Nazione il relitto di quella che fu la nave ammiraglia delle Forze Navali e da Battaglia della Regia Marina italiana durante la seconda guerra mondiale. Ritrovata dopo anni di ricerche a 1200 metri di profondità dall’ingegnere Guido Gay il 17 giugno 2012 a largo di Castelsardo (nord Sardegna), grazie a una sua invenzione denominata Plutopalla, “piccolo” batiscafo di forma sferica per l’esplorazione marina che raggiunge una profondità di 4000 metri, il relitto è stato riconosciuto dalla Marina Militare il 28 giugno 2012 a opera di due ufficiali inviati dallo Stato Maggiore della Marina sul luogo in cui è stato localizzato, quali il Capitano di Fregata Lamberto O. Lamberti, esperto di idrografia, e il Capitano di Corvetta Alessandro Busonero, esperto di media e pubblica informazione. Le vicende che nel lontano 1943 hanno visto la RN «Roma» protagonista di uno degli eventi più tragici della storia italiana, sono state delineate più specificatamente in un articolo già pubblicato nel 2010 su Studi Cassinati” Leggi qui l’articolo di Valentino Mattei e Alessandro Busonero pubblicato su Studi Cassinati()

Vincenzo Grienti

I dati tecnici della Corazzata Roma

Nave da battaglia appartenente alla classe Littorio, simbolo dell’eccellenza della cantieristica bellica italiana dei primi anni del secolo scorso. Costruita dai Cantieri Riuniti dell’Adriatico e consegnata alla Regia Marina il 14 giugno 1942, fu danneggiata da un bombardamento aereo statunitense quasi un anno dopo mentre era alla fonda a La Spezia. I danni subiti in tale circostanza, la costrinsero a tornare operativa solamente il 13 agosto 1943. Progettata dal generale del genio navale Umberto Pugliese rappresentava una delle prime Unità da 35.000 tonnellate costruita al mondo ed era considerata, insieme alle sue gemelle, la migliore unità in servizio in cui potenza, protezione e velocità raggiungevano un buon livello di armonico equilibrio (fonte: Ufficio Storico Marina Militare)

Cantiere:            CRDA Trieste

Impostazione:   Anno 1938

Varo:    Anno 1940

Completamento:            Anno 1942

Perdita:              Anno 1943

Dislocamento:
Normale: 44.050 Tonnellate
Pieno Carico: 46.215 Tonnellate

Dimensioni:
Lunghezza mt. 240,7 (f.t.) – mt. 27,5 (pp.)
Larghezza mt. 32,9
Immersione mt. 10,5

Apparato motore:
8 caldaie
4 turbine
4 eliche

Potenza: 140.000 HP

Velocità: 30 nodi

Combustibile: 4.000 Tonnellate di nafta

Autonomia: 3.920 miglia a 20 nodi

Protezione: verticale : 350 mm.

Orizzontale: 207 mm.

Artiglierie: 350 mm.

Torrione: 260 mm.

Armamento: 9 pezzi da 381/50 mm.

12 pezzi da 152/55 mm.

4 pezzi da 120/40 mm.

12 pezzi da 90/50 mm.

20 pezzi da 37/54 mm.

30 pezzi da 20/65 mm.

3 aeroplani: un IMAM Ro.43 e due Re.2000

Equipaggio: 1920

Il radiotelemetro “Gufo”

Uno strumento che avrebbe sicuramente deciso le sorti della guerra sul mare qualora installato sulle unità della Regia Marina molto tempo prima rispetto al 1943. Il “Gufo” era un radiotelemetro ad impulsi con una lunghezza d’onda di 70 cm, mediante una coppia di antenne a tromba (una per la trasmissione e l’altra per la ricezione) che, sistemata sulla sommità del torrione ad un’altezza di 35 metri sul livello del mare, poteva ruotare alla velocità di tre giri al minuto. Il “Gufo”, realizzato dalla SAFAR di Milano, tra le maggiori aziende italiane nel settore della radiofonia che negli anni trenta avrebbe sviluppato la televisione, aveva una portata di 30 Km per la scoperta di unità navali di media grandezza e di 80 Km effettivi per il rilevamento degli aerei. Era stato progettato grazie agli studi di Ugo Tiberio, ingegnere di Campobasso e tenente delle Armi Navali presso il Regio Istituto di Elettrotecnica e delle Comunicazioni di Livorno. Un innovatore nel campo della radiometria impegnato già dal 1936 nello studio della propagazione delle onde hertziane (Marinelettro ed il radiotelemetro italiano di E. Cernuschi, Supplemento della Rivista Marittima della Marina Militare, n. 5, maggio 1995).

I cilindri assorbitori “Pugliese”

Dal nome del generale del Genio Navale Umberto Pugliese, progettista del cilindro stagno da 340 mm di diametro installato sotto la linea di galleggiamento delle corazzate classe Littorio e avvolto da un “mantello” curvilineo spesso 40 mm. I cilindri erano collocati dentro una intercapedine tra lo scafo interno e la murata esterna, che era adibita a serbatoio per la nafta e veniva riempita d’acqua quando questa era esaurita. In caso di esplosione di un siluro o di una mina, il liquido avrebbe scaricato l’onda d’urto su tutta la parete del cilindro, che si sarebbe deformato o rotto, assorbendo buona parte della potenza esplosiva e riducendo quindi i danni allo scafo interno.

La bomba “planante” Fritz X

Venne impiegata per la prima volta proprio contro la flotta italiana. Delle 28 SD 1400, chiamata dagli Alleati “Fritz X”, solo tre andarono a segno. Una di queste danneggiò pesantemente la corazzata Italia e colpì al cuore la corazzata Roma determinandone l’affondamento. Si trattava di un ordigno precursore delle così dette “bombe intelligenti”. La Ruhrstahl SD 1400 era radioguidata ed era stata progettata in funzione antinave. Aveva la capacità di centrare il bersaglio dopo lo sgancio da circa 7.000 metri di quota. Bombardieri tipo Dornier Do. 217 K trasportavano una sola bomba, lunga più di tre metri e pesante più di una tonnellata e mezzo. Una volta individuato l’obiettivo sul mare veniva sganciata arrivando a raggiungere una velocità di quasi 1.200 Km/h. Una caratteristica della bomba era una “codetta luminosa” che permetteva all’operatore di bordo del Dornier Do.217 K di seguirla e controllarla a distanza fino al momento dell’impatto sul bersaglio.  Un esemplare di “Fritz X” è conservato al RAF Museum di Hendon, in Gran Bretagna.

Fonti bibliografiche:

De Courten, Le memorie dell’ammiraglio de Courten (1943-1946), USMM, Roma, 1993

P.P. Bergamini, Le forze navali da battaglia e l’armistizio, Suppl. Rivista Marittima, n. 1 gen. 2002

A. Amici, Una tragedia italiana. 1943: l’affondamento della corazzata Roma, TEA, 2014

P. Rapalino – G. Schivardi, Tutti a bordo! Mursia, 2009, con prefazione di Gianni Riotta

D. Carro, Corazzata Roma. Eccellenza e abnegazione per la Patria, ricerca storica e tavole fuori testo a cura di Gennaro Barretta, Cooperativa Eureka, Roma, 2011

E. Cernuschi, Marinelettro ed il radiotelemetro italiano, Suppl. Rivista Marittima, n. 5, mag. 1995

P. Alberini-F. Prosperini, Uomini di Marina 1861-1946. Dizionario biografico, USMM, 2016