7 ottobre 1943: la deportazione dei Carabinieri di Roma
Il tenente colonnello delle SS Herbert Kappler, capo della polizia e dei Servizi di sicurezza tedeschi a Roma, la notte del 7 ottobre 1943 invia un telegramma a Berlino. L’oggetto della missiva è “il disarmo dei Carabinieri reali”. L’ordine proviene dal maresciallo Rodolfo Graziani, ministro della guerra, ed è stato autorizzato dal maresciallo Kesselring. L’Arma era stata fondata da Vittorio Emanuele I di Savoia nel 1814, ma il maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani, ministro per la difesa e la guerra della Repubblica Sociale, firma l’ordine di disarmo.
L’eccidio delle Fosse Ardeatine, i combattimenti di Porta San Paolo, il sacrificio del Vice Brigadiere Salvo D’Acquisto avevano fatto ben comprendere ai nazisti e agli aderenti alla Repubblica Sociale Italiana che i Carabinieri difficilmente sarebbero venuti meno al giuramento di fedeltà prestato e ancor meno si sarebbero resi partecipi o soltanto spettatori di atti di barbarie contro la popolazione, di cui per mandato dovevano essere i difensori. I tedeschi che, come da ordini ricevuti da Berlino, si apprestavano a rastrellare il ghetto ebraico di Roma per deportarne gli abitanti, avevano bisogno di avere mano libera per condurre in porto l’operazione senza particolari impedimenti.
Per questo, come confermato da autorevoli studi storici (un ruolo importante per far tornare alla luce la vicenda l’ha avuto il libro di Anna Maria Casavola “7 ottobre 1943. La deportazione dei carabinieri nei lager nazisti” ed. Studium, 2008), il comandante della Gestapo romana, Herbert Kappler, si pose il problema di neutralizzare i Carabinieri, ancora armati e, a Roma, in gran numero al loro posto, per garantire la sicurezza pubblica. Così come viene spiegato nel libro, “Kappler evidentemente odiava i Carabinieri almeno quanto gli ebrei”. Ma era solo lui ad odiarli? Grazie all’accesso a documenti non più secretati di archivi militari italiani, tedeschi ed alleati, un episodio sconosciuto dopo molti anni è stato ricostruito. “Questa appassionata e accurata ricerca – scrive Antonio Parisella nella Prefazione – si inserisce a pieno titolo nell’evoluzione degli studi sulla Resistenza italiana all’occupazione nazista e alla Repubblica sociale Italiana”.
Il 7 ottobre 1943, di primo mattino, paracadutisti tedeschi e SS circondarono le principali caserme dell’Arma della Capitale, bloccando all’interno i Carabinieri che, ignari, attendevano alle loro occupazioni quotidiane, quasi sempre senza l’immediata disponibilità delle armi. Molti militari in forza alle Stazioni riuscirono fortunatamente a dileguarsi, magari portando con sé il proprio armamento, grazie a tempestive segnalazioni di amici che, pur consapevoli dei rischi che correvano, in molti casi li aiutarono a trovare un momentaneo nascondiglio. Dei Carabinieri in servizio nella Capitale oltre 2 mila, forse 2.500 (il numero è incerto dal momento che i tedeschi bruciarono tutti gli archivi delle caserme dell’Arma occupate), furono catturati e rinchiusi per tutta la notte nelle caserme Pastrengo, Podgora, Acqua, Lamarmora (tuttora in uso all’Arma quali sedi rispettivamente del Comando Generale, dell’Interregionale di Roma, della Legione Carabinieri Lazio e, in parte, del Comando Tutela Patrimonio Culturale e dei Corazzieri) e in quella in cui si è svolta la commemorazione (Legione Allievi), all’epoca intitolata a Vittorio Emanuele II.
Il giorno dopo i militari trattenuti vennero avviati alle stazioni ferroviarie Ostiense e Trastevere e fatti salire su treni merci diretti a Nord, con la falsa notizia – fatta circolare ad arte per tranquillizzarli – che sarebbero scesi a Fidenza per essere impiegati nei territori del Nord Italia. In realtà tutti i Carabinieri catturati furono deportati in campi di lavoro o di internamento in Austria e in Germania, allora unite nel Terzo Reich nazista, o in Polonia, da dove oltre 600 non tornarono più e gli altri riuscirono a fare ritorno soltanto dopo circa due anni di fatiche, sofferenze e stenti, nemmeno riconosciuti come prigionieri di guerra.
Il 16 ottobre, otto giorni dopo, messi fuori gioco i militari dell’Arma, centinaia di ebrei italiani furono catturati in tutta Roma e in particolare nel ghetto, in via Portico d’Ottavia. 1023 di loro furono avviati a Auschwitz: sappiamo che tornarono in 16, 15 uomini e una donna. Quelle appena descritte sono solo alcune delle pagine di valore e di coraggio che i Carabinieri hanno scritto nella storia della Resistenza e della Guerra di Liberazione. Quel 7 ottobre di 75 anni fa i Carabinieri rifiutarono l’adesione alla R.S.I., scegliendo la strada dell’onore e il supplizio dei campi di internamento nazisti. Una scelta consapevole, estrema e coraggiosa, coerente con quella fatta all’atto dell’arruolamento: servire la propria gente e difendere la Patria.
L’eroismo dei Carabinieri e il contributo dell’Arma alla Resistenza e alla Guerra di Liberazione si sono concretizzati in 2.735 caduti, 6.521 feriti, oltre 5 mila deportati, 723 ricompense individuali al Valor Militare e innumerevoli ricompense al Valore e al Merito Civile, nonché nella concessione della Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Bandiera di Guerra che, nascosta in quei drammatici giorni negli scantinati del Museo Storico dell’Arma per non farla finire in mani nemiche, fu poi restituita, all’atto della Liberazione di Roma, alla ricostituita Legione Allievi, dove da allora, sostituita nel 1947 da quella repubblicana, continua a essere gelosamente custodita.
Fabio Turrini