L’Italia chiamò. La Sicilia e la Grande Guerra
La storia, la memoria e il ricordo dei militari siciliani coinvolti insieme a milioni di altri ragazzi italiani nel primo conflitto mondiale (1914-1918) è il senso e il significato attorno al quale ruota il Convegno nazionale di studi storici “L’Italia chiamò. La Sicilia e la Grande Guerra” promosso dal Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università degli studi di Catania con il Centro Documentale di Catania del Comando Militare Esercito Sicilia, la Società Italiana di Storia Militare e l’Associazione Storica “Cime e Trincee”.
Il convegno, che si terrà lunedì 19 novembre 2018 alle ore 10.00 (Caserma Santangelo Fulci Via Oberdan 33- Catania), si aprirà con i saluti del Col. Leonardo Privitera, Comandante del Centro Documentale di Catania; del Prof. Giuseppe Vecchio, Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali; del Generale di Brigata Claudio Minghetti, Comandante Militare dell’Esercito in Sicilia.
L’isola diede tra i maggiori contributi di uomini, in termini di chiamata alle armi, impiegati per mare, per terra e per cielo sui diversi fronti di guerra, ma anche in difesa delle città. Al riguardo Giorni di Storia ha intervistato lo storico dell’Università di Catania Giancarlo Poidomani (nella foto) per capire alcuni aspetti di questo poco conosciuto capitolo della Grande Guerra
Prof. Poidomani, a conclusione dei quattro anni che celebrano il centenario del primo conflitto mondiale il pensiero va a quanti diedero la vita per l’Italia. Si trattava di persone semplici, spesso con un grado di istruzione non elevato, che diedero il loro contributo in quella che Benedetto XV definì “inutile strage”. Che idea si è fatto di questo “popolo” di siciliani che per la prima volta uscirono dall’isola per rendere un servizio al proprio Paese?
Innanzitutto bisogna ricordare che la prima guerra mondiale fu una tappa importantissima del processo di nazionalizzazione delle masse, soprattutto quelle meridionali. Lo Stato italiano era nato ufficialmente nel 1861 e il processo di State building si era avviato subito dopo, anche con importanti successi. Pensiamo ad esempio alla costruzione di un sistema unificato e omogeneo di infrastrutture, alla unificazione amministrativa e dei codici civile e penale, alla moneta, al pareggio del bilancio, alle unità di misura ecc. Nel 1866 e nel 1870 l’unificazione territoriale aveva fatto progressi con l’acquisizione del Veneto e di Roma. Molto più lento e più complesso era stato invece l’avvio del processo di Nation building al quale contribuirono le grandi “agenzie della nazionalizzazione”: la scuola, l’esercito, la toponomastica. Pensiamo ad esempio a quanto fosse importante per la costruzione di un “immaginario” nazionale che gli abitanti di città diverse del paese percorressero vie dedicate agli eroi del Risorgimento e ai padri della patria. Ma questo processo aveva incontrato molte difficoltà ed era stato molto contrastato in periferia. Basta leggere I Malavoglia di Giovanni Verga per rendersene conto. Con la prima guerra mondiale, invece, molti italiani, e con essi molti siciliani, sacrificarono, o furono costretti a farlo, il bene più importante, la vita, per un concetto, quello di patria, che per molti era astratto ma che, soprattutto, dopo la disfatta di Caporetto e l’invasione del territorio nazionale da parte di un esercito nemico, divenne drammaticamente concreto. Quasi 500.000 siciliani furono mobilitati nel corso della guerra e la maggior parte andarono al fronte, percorrendo in treno la penisola, vedendo luoghi che fino ad allora avevano potuto solo immaginare, venendo in contatto con soldati, popolazioni e dialetti diversi ma anch’essi italiani. Quando ritornarono a casa, volenti o nolenti, questi siciliani avevano fatto quello che potremmo definire “un corso rapido di nazionalizzazione”. Purtroppo non per tutti fu così e da questo punto di vista le parole di papa Benedetto XV si rivelarono drammaticamente profetiche.
Quanti siciliani morirono nella Grande Guerra?
E’ difficile ancora oggi calcolare il numero esatto dei caduti nella Grande Guerra, dato l’alto numero di dispersi. Negli Albi d’Oro pubblicati negli anni successivi per elencare tutti i caduti italiani – tre volumi dei quali dedicati ai siciliani – riportano una cifra di quasi 45.000 morti. Ma si è calcolato che a quelli presenti in questi elenchi bisogna aggiungere circa un 10 per cento di dispersi. Possiamo quindi ragionevolmente ipotizzare che nella Grande Guerra morirono circa 50.000 siciliani e cioè il 10% di quelli che erano stati mobilitati tra il 1915 e il 1918, ma molti avevano continuato a morire anche dopo l’Armistizio in seguito alla ferite riportate al fronte. La maggior parte erano contadini che erano andati in guerra malvolentieri e soltanto perché costretti. Solo una minoranza, educata agli ideali patriottici nelle scuole, soprattutto nei licei e all’università, era partita volontaria o comunque desiderosa di compiere il processo di unificazione nazionale, strappando all’Austria il Trentino e il Friuli Venezia Giulia. Oltre il 70 per cento dei caduti erano ventenni. Come per il resto del paese, dunque, una intera generazione di siciliani fu spazzata via dalla “strage” che, però, bisogna dirlo, non fu del tutto “inutile” dato che, per quanto “mutilata”, quella dell’Italia fu comunque una vittoria che portò al completamento del processo di unificazione territoriale, pur a costo di tante vittime.
Cosa significa oggi per la società civile e per la comunità studentesca ricordare la prima guerra mondiale?
Da qualunque punto di vista si voglia considerare ciò che avvenne nel 1915-18, un dato è certo: i circa 50.000 caduti siciliani non rappresentavano più un lutto individuale o familiare ma un lutto collettivo che come tale doveva essere gestito ed elaborato. A distanza di 100 anni dalla fine della guerra penso che questo sia il dato che i giovani di oggi, coetanei dei caduti di allora, dovrebbero tenere maggiormente presente. Oggi non ha più senso “celebrare” la vittoria, così come veniva retoricamente celebrata negli anni ’20 e negli ’30 del ‘900. L’impero austro-ungarico non esiste più e la repubblica austriaca è una nostra amica e alleata nell’ambito dell’Unione Europea e della NATO. Ma soprattutto la storia dell’Italia è cambiata con l’istituzione della Repubblica nel 1946 e la promulgazione di una Costituzione avanzata e democratica con la quale l’Italia ripudia la guerra come mezzo per la risoluzione dei conflitti. La data del 4 novembre, che infatti non è più la Giornata della Vittoria ma la Giornata delle Forze Armate. Un esercito nazionale che proprio quella nuova Costituzione repubblicana è chiamato a difendere e dell’Unità Nazionale ha cambiato significato e fisionomia in seguito ad altre due date importantissime: il 25 aprile – che ha sancito la vittoria delle forze antifasciste contro un invasore straniero – e il 2 giugno, l’inizio della nuova storia dell’Italia repubblicana. Oggi i giovani dovrebbero “solennizzare” il ricordo della prima guerra mondiale, nel senso di fermarsi a riflettere sulla nostra storia, senza pregiudizi e senza retorica, dedicando almeno un pensiero a quelli che, spesso avendo la loro età, non poterono vedere la fine della guerra. Da questo punto di vista, i monumenti ai caduti, ancora oggi presenti, ma spesso “muti”, nel senso che non comunicano ciò per cui erano starti eretti, anche nei più piccoli centri urbani dell’isola, potrebbero ritornare a “parlare” ai giovani e a tutti i cittadini, facendoli riflettere su uno degli eventi più cruciali del XX secolo.
Come si può inquadrare questo capitolo di storia siciliana nel più ampio contesto storico italiano?
Innanzitutto bisogna dire che questo convegno sulla Sicilia e la Grande Guerra è la prima occasione in cui si possono tirare la somme e fare un primo consuntivo delle tante ricerche che, anche grazie a questo centenario, sono state realizzate su tanti aspetti del conflitto. Fino a qualche anno fa non esistevano libri o saggi sulla partecipazione della Sicilia alla guerra, che fino ad allora era stata considerata marginale. Dopo la prima pubblicazione, riguardante Catania e curata dal Prof. Uccio Barone, tanti altri saggi a articoli hanno visto la luce e hanno contribuito ad evidenziare il ruolo centrale che anche le regioni meridionali, e in particolare la Sicilia, hanno avuto in termini di partecipazione al conflitto. Basti pensare al gran numero di soldati mobilitati, all’alto numero di caduti ma anche ai tanti profughi delle regioni settentrionali ospitati nell’isola e ai tantissimi prigionieri austro-ungarici che qui vennero portati proprio per allontanarli dal fronte e rendere più difficile una loro fuga.
E dunque?
Un modo per dire che per la Sicilia e per i siciliani la guerra fu soprattutto una importantissima tappa nel processo di nazionalizzazione e l’isola diede un fondamentale contributo, anche in termini di ufficiali. Basti pensare al generale Cascino, di uomini politici chiamati a gestire questo difficile momento, un nome per tutti: Vittorio Emanuele Orlando, e di soldati semplici chiamati, come si diceva allora, a “servire la patria”. Ma non bisogna dimenticare anche e soprattutto le sofferenze delle donne che furono costrette a gestire da sole le economie domestiche, il lutto delle vedove, degli orfani e dei genitori che non videro ritornare i propri figli. In fondo, fu proprio in quegli anni che la storia della Sicilia “assomigliò” davvero, come forse era avvenuto solo nel 1860, a quella nazionale.
Vincenzo Grienti
Il convegno nazionale di studi storici “L’Italia chiamò. La Sicilia e la Grande Guerra”
Nel corso del Convegno nazionale di studi si parlerà delle vite e delle imprese di alcuni uomini che valorosamente, silenziosamente e altrettanto eroicamente, senza salire agli onori delle cronache compirono comunque il loro dovere, spesso sacrificando la propria vita per l’Italia. Il Prof. Giancarlo Poidomani si soffermerà sul “lutto e la memoria” di questi uomini mentre Antonio Baglio dell’Università di Messina approfondirà il tema “Una frontiera senza trincee. La mobilitazione civile”. Fabrizio Corso, dell’Associazione “Cime e Trincee” metterà in evidenza come da una fonte d’archivio è possibile ricostruire le storie dei soldati che hanno partecipato al conflitto.