Quando il Vaticano diede rifugio a Giorgio La Pira, collaboratore de L’Osservatore Romano
E’ il 6 gennaio 1939, otto mesi prima lo scoppio della Seconda guerra mondiale, quando L’Osservatore Romano pubblica a pagina quattro un articolo dal titolo “Contrasti”. In calce la firma è di Giorgio La Pira e segna l’inizio delle collaborazioni con il quotidiano politico-religioso dello Stato della Città del Vaticano, lo stesso che quattro anni più tardi, il 30 settembre 1943, tramite il governatorato rilascerà al pozzallese la tessera di riconoscimento e di collaborazione con l’organo della Santa Sede (nella foto la tessera di Giorgio La Pira). L’articolo, in seconda colonna, si inserisce come ulteriore approfondimento sui Re Magi e sull’Epifania.
La Pira si “trova in pagina” assieme all’inglese Christopher Hollis, ai francesi Henry Ghèon e Joseph Malègue, a Fausto Montanari e Carlo Pastorino. Al centro uno scritto di Paul Claudel tratto dal Chant de L’Epiphane per gentile concessione dell’autore. La Pira non si era sprecato nella sua fervida attività pubblicistica soprattutto su tematiche di rilevanza politica per cercare di contrastare le tendenze belliciste e razziali del tempo. Già da qualche anno La Pira era “entrato in campo” con due brevi saggi pubblicati paradossalmente su “Il Frontespizio”, rivista di sicuro non antifascista, dove affrontava i problemi della legittimazione dello Stato e i complessi sviluppi argomentativi sulla base del pensiero neo-tomista. I toni sono polemici e non è un caso che all’articolo vengono aggiunte alcune note del direttore, quasi a precisare certe affermazioni. Il 1939 è anche l’anno in cui Giorgio La Pira assume la direzione di “Principi”, un supplemento a “Vita Cristiana”, la rivista dei domenicani fiorentini, che punta a riaffermare i “principi immutabili” che possono orientare “con sicurezza intorno alla struttura ed alla finalità della vita”. Il foglio è palesemente ostile ai totalitarismi e alla guerra e tra le altre cose contribuirà a creare i presupposti affinché Giorgio La Pira dopo l’8 settembre 1943 dovrà rifugiarsi in vaticano.
E’ in questo turbinio di eventi che il futuro sindaco di Firenze scrive Contrasti, un articolo che si apre in modo immediato e diretto, proprio come la personalità di La Pira:«Cristo è nato: il complesso scenario di cose e di uomini che fa da sfondo a questa nascita è un disegno che rappresenta, in sintesi, la storia dell’uomo».
La Pira si chiede «Quale contrasto tra l’importanza dei grandi problemi politici connessi al censimento universale dell’impero e la nascita insignificante di questo bambino poverello che non ha trovato posto negli alberghi affollati di Betlemme! C’è da riflettere – aggiunge il Professore – se si pone a confronto il trono di Augusto con la povertà di questa stalla nella quale vagisce il creatore del mondo. Illazioni? Nessuna; semplici osservazioni di contrasti: ma già in essi c’è quanto basta per un primo raffronto tra il temporale e l’eterno, fra Cristo e il mondo».
Quello che emerge da queste parole e da quelle che seguiranno fino alla firma è profezia nel 1939 e attualità nel 2015. La Pira approfondisce lo scenario, gli attori e gli spettatori della nascita di Gesù, si sofferma sulla natura «ricca di silenzio e di preghiera» in una notte che raccoglie “tutti” attorno ad una mangiatoia. «Tutto è puro – continua l’articolo – e in ogni cosa spira un soffio di purità e di luce. E gli altri? I gerarchi di Betlemme? I potenti, i ricchi, i dottori? Tutti assenti».
Certo, Betlemme a quel tempo è distolta da altri problemi, «c’è altro da fare che recarsi in pellegrinaggio alla culla del redentore – scrive La Pira – Ci sono problemi politici di universale portata: c’è di mezzo l’esistenza stessa del regno. Cristo re dei Giudei? E allora Erode? Ecco, dunque, la necessità di consulti, di riunioni, di progetti». Le personalità politiche e sociali più in vista sono chiamate perché diano il loro parere ed il loro consiglio intorno a questo problema che tocca le radici stesse della convivenza nazionale: si tratta, scrive La Pira su L’Osservatore Romano «degli interessi superiori della nazione e del popolo». Il riferimento del “sindaco santo” è adattabile a tutte le stagioni, a tutti i potenti e a tutte le guerre, dal secondo conflitto mondiale a quelli in corso oggi in Iraq, in Afghanistan e nel resto del mondo. Quante volte l’uomo ha reagito contro i suoi simili ragionando in base alla formula “a mali estremi, estremi rimedi?”. Una formula che nell’articolo di La Pira viene sottolineata prendendo spunto dal contesto storico in cui nasce Gesù e dalla strage degli innocenti narrata dalla Bibbia.
«Come fare per eliminare alla radice questo pericolo nazionale? Il bene collettivo è superiore al bene individuale; è meglio che perisca qualche innocente anziché lasciare tutto il popolo sotto la minaccia di un pericolo generale. Allora? – si domanda La Pira – Allora pazienza: siano uccisi tutti i bambini che non hanno ancora raggiunto i due anni». Il provvedimento non è privo di inconvenienti, ma alla fine vi sono esigenze sociali superiori alle quali vanno rigidamente sacrificate sia la giustizia che la pietà. Da qui Giorgio La Pira lancia un segnale a coloro che hanno vissuto quel drammatico ’39:«Signore, quale contrasto di luce e di ombra attorno alla tua culla. Da un lato la povertà, la purità, l’innocenza, la preghiera, la bontà; dall’altro l’opulenza, la potenza, la ricchezza, l’orgoglio, l’assassinio. E se confronto la storia della tua nascita con la storia del mio tempo e di ogni tempo resto stupito nell’osservare, o Signore, come siano sempre le stesse le parole dell’amore e quelle dell’odio».
Chi era Giorgio La Pira
Giorgio La Pira nasce a Pozzallo, in provincia di Ragusa, il 9 gennaio 1904, primogenito di una famiglia di modeste possibilità economiche. Per questo si trasferisce a Messina nel 1921. Qui stringe amicizia con Giuseppe Pugliatti e Salvatore Quasimodo. La Pira è un modello di santità laicale, un appassionato di Cristo e dell’uomo, specialmente di quello più bisognoso. Un profeta di pace che parlava in modo semplice ai grandi della Terra. Un uomo del dialogo che vedeva nelle tre grandi religioni monoteiste una possibilità di incontro. Giorgio La Pira è stato un uomo, un cristiano e poi un politico.
Da Pozzallo, nella Sicilia sud orientale, terrazza sul Mediterraneo a poche miglia marine dall’Africa e dal Medio Oriente partì portando con sé una mediterraneità che gli tornò utile in tante occasioni. Nella Pasqua del 1924 avviene la sua conversione e supera gli atteggiamenti anticristiani. Poi una vita di fede e devozione a Cristo e all’uomo. Ma il grande genio di La Pira, il suo entusiasmo, la sua positività, il suo parlar chiaro a tutti escono fuori già dalla pubblicazione di “Princìpi” nel ’39, rivista antifascista e antirazziale che difende il valore della persona umana e la libertà. Nel ‘40 il fascismo sopprime la rivista. Tre anni dopo la polizia segreta lo ricerca: sfugge all’arresto e ripara in Vaticano. Passano ancora tre anni. Siamo al 1946: Giorgio La Pira è eletto deputato alla Costituente. Con Moro, Dossetti, Togliatti, Basso, Calamandrei formula i principi fondamentali della Costituzione repubblicana. Da sottosegretario al lavoro, nel 1948, è al fianco dei lavoratori nelle gravi vertenze sindacali del nostro Paese. Nel 1951 interviene presso Stalin a favore della pace in Corea. L’anno successivo è sindaco di Firenze. “Non case, ma città!” disse nel ‘53 prima di iniziare la costruzione dell’Isolotto. Poi lotta per la difesa dei 2000 operai della Pignone e con Enrico Mattei, presidente dell’ENI, potenzia l’industria aprendola ai mercati internazionali. Sono anni difficili quelli di La Pira: è quel “secolo breve” caratterizzato da due guerre mondiali, dalla paura di un conflitto nucleare, da tanti contrasti, ma anche dal Concilio Vaticano II e dalle prese di posizione di pontefici come Pio XI, Pio XII e Giovanni XXIII. Nonostante tutto il Professore va avanti. Di fronte alla minaccia della distruzione atomica indice il “Convegno dei Sindaci delle Capitali del Mondo” e poi i Colloqui Mediterranei in cui sostiene la libertà per l’Algeria e la pace per il Medio Oriente. E’ questo il sindaco santo: un uomo di fede. Una Fede che riversa nel suo impegno per la giustizia sociale.
«Stato democratico: sì, proprio perché rispettoso del pluralismo degli organismi che lo costituiscono – disse in un intervento all’Assemblea Costituente -. Quindi democratico nel senso non solo roussoiano – tutti i cittadini partecipano ordinatamente alla formazione della legge ed alla direzione politica dello stato –, ma anche nel senso che i cittadini sono membri attivi di tutto quel tessuto di comunità che fa del corpo sociale un corpo ampiamente articolato e differenziato, una democrazia organica, diversa da quella individualistica. Democrazia nello stato, democrazia nella comunità professionale, nella comunità di lavoro, nella comunità territoriale e così via». La politica di Giorgio La Pira aveva il fulcro in una spiritualità aperta riconducibile ad una triplice dimensione: la famiglia, il lavoro e la fede. E’ questa la teologia della città che si lega all’icona della casa di Nazareth, alla bottega di Nazareth e alla sinagoga di Nazareth. Il “sindaco santo” era uomo attento al passato che guardava al presente e pensava al futuro. Da Firenze guardava al mondo, ma anche alla condizione umana della “povera gente”.
Capì subito la collocazione occidentale dell’Italia, l’alleanza, non la sudditanza, con gli Stati Uniti, l’adesione alla Nato per sancire questa collocazione, la necessità di uno stretto legame con l’Europa per superare gli antagonismi che avevano provocato le due guerre suicide, quindi la Comunità del carbone e dell’acciaio e il tentativo della Comunità europea di difesa, la libertà dei commerci per rilanciare la produzione, la necessità di ridurre l’inflazione e mantenere una lira salda per dare sicurezza ai mercati, e quindi la necessaria, anche se dolorosa, manovra finanziaria del 1947. Ma quando volle fare riforme in Italia, penso alla riforma agraria, al Nuovo Iri, all’Eni, ebbe bisogno della sinistra democristiana di cui La Pira era l’icona riconosciuta. La Pira era un politico che rappresentava gli interessi delle classi deboli: poveri, disoccupati, privi di casa.
Vincenzo Grienti