Un violinista nei lager nazisti
Luigi Manoni (Gigi), militare poco più che ventenne, l’8 settembre 1943 si trova a Merano nella caserma Cascino. Il 12 le forze tedesche lo disarmano insieme ai suoi compagni e lo trasportano, dopo quattro giorni di viaggio in treno, al campo di concentramento presso Allenstein.
Rifiutatosi di continuare la guerra al fianco dei tedeschi, diviene uno “schiavo di Hitler”. Lavora un po’ dappertutto: nei campi, nelle fattorie, nell’industria bellica, nella stiva delle navi nel porto di Amburgo, nei cimiteri. Un supplizio di due anni aggravato dalle umiliazioni, dalla fame, dal freddo, dalle malattie, dalle percosse, dal terrore, dallo sfinimento del lavoro coatto.
Gigi riesce tuttavia a resistere perché ha un fedele alleato: il violino. Lo suona con amore e passione e, quando i tedeschi lo scoprono, lo fanno suonare nell’orchestrina del lager. E Gigi, in quei momenti in cui gli è consentito suonare, attraverso l’armonia del suo strumento riesce a sottrarsi all’orrore che lo circonda e a riappropriarsi, sia pure per pochi minuti, della sua esistenza.
Quel violino, che forse gli ha salvato la vita, è stato conservato da Gigi per più di 60 anni come una reliquia. Quello strumento, restaurato dopo la guerra, con la sua custodia, gli spartiti musicali con il timbro del lager, le lettere scambiate con la madre e la fidanzata, altri documenti di prigionia, le foto di soldato e la tardiva medaglia d’onore, ricevuta attraverso le mani dei figli perché postuma, rendono Gigi un pò un emblema di tutti gli Imi.