A Buccari la storica impresa della Regia Marina
La notte tra il 10 e l’11 febbraio 1918 i MAS 94, MAS 95 e MAS 96, rispettivamente al comando del capitano di corvetta Luigi Rizzo, del tenente di vascello Edoardo Profeta De Santis e del sottotenente Andrea Ferrarini, guidati dal capitano di fregata Costanzo Ciano, compirono un’impresa storica. I MAS (Motoscafo Armato Silurante) erano rimorchiati ciascuno da una torpediniera e avevano la protezione di unità leggere. L’operazione era stata pianificata dopo una preventiva ricognizione di un idrovolante Macchi M5 su Pola, Fiume e Buccari, che consentì di acquisire un importante materiale fotografico dove si evidenziava la presenza a Pola di 4 unità classe “Viribus”, tre “Radetzki”, tre “Erzherzog”, una “Monarch”, due esploratori e vari cacciatorpediniere. A questi si aggiungeva 23 piroscafi nel porto di Fiume e 4 navi a Buccari.
Dopo quattordici ore di navigazione, alle 22.00 del 10 febbraio, i tre MAS iniziarono il loro pericoloso trasferimento dalla zona compresa tra l’isola di Cherso e la costa istriana fino alla baia di Buccari dove, secondo le informazioni dello spionaggio, sostavano unità nemiche sia mercantili sia militari. Il poeta Gabriele D’Annunzio, allora maggiore di cavalleria, si trovava a bordo del MAS 96 insieme a Luigi Rizzo. Per un cattivo funzionamento dei siluri nessun bersaglio viene colpito, ma D’Annunzio lanciò nella baia tre bottiglie contenenti un messaggio di sfida che sarà ricordato come la “Beffa di Buccari”
Anche se non furono provocati danni, infatti, l’impresa costrinse il nemico ad impegnarsi nella ricerca di nuove strategie di difesa e di vigilanza, ed ebbe “una influenza morale incalcolabile” (fonte: Marina Militare) specialmente dopo la sconfitta di Caporetto. L’audacia dell’impresa trova ragione di essere nel percorso di 50 miglia tra le maglie della difesa costiera nemica, anche se l’attacco non riuscì, dato che i siluri lanciati dalle tre motosiluranti si impigliarono nelle reti che erano a protezione dei piroscafi alla fonda. Le unità italiane riuscirono successivamente a riguadagnare il largo tra l’incredulità dei posti di vedetta austriaci che non credettero possibile che unità italiane fossero entrate fino in fondo al porto, e che non reagirono con le armi ritenendo dovesse trattarsi di naviglio austriaco.
Le tre bottiglie lasciate in mare da D’Annunzio erano ornate di nastri tricolori recanti un satirico messaggio che recitava: “In onta alla cautissima Flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d’Italia, che si ridono d’ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre ad osare l’inosabile. E un buon compagno, ben noto, il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro, è venuto con loro a beffarsi della taglia“.
L’impresa di Buccari ebbe in seguito una grande risonanza a livello di opinione pubblica e sui giornali del tempo. La Grande Guerra ancora una volta era stata un banco di prova e in questo caso la Regia Marina aveva ancora una volta sperimentato un’arma: quella della guerra psicologica. Un aspetto che cominciava ad avere un preciso rilievo, anche per la partecipazione diretta di Gabriele D’Annunzio, che abilmente orchestrò i risvolti propagandistici dell’azione.
A seguito dell’azione di Buccari, addirittura, il Comando della Marina austriaca tentò un attacco diretto contro i MAS ormeggiati nel porto di Ancona, un tentativo che fallì dissuadendo gli austriaci da ulteriori attacchi.