Bartolomé Mitre, lo statista argentino che tradusse Dante
Il 26 giugno di duecento anni orsono, da una famiglia di origini greche trapiantata a Buenos Aires, nasceva Bartolomé Mitre Martínez, passato alla storia principalmente per essere stato Presidente della Repubblica Argentina dal 12 aprile 1862 al 12 ottobre 1868, divenendo di fatto la personalità più complessa e al tempo stesso più popolare della storia del grande Paese Sud Americano. Lo vogliamo ricordare, con la presente biografia ‒ approfittando anche del 700° anniversario della morte di Dante Alighieri ‒ per essere stato oltre che uomo d’arme e politico di fama mondiale, anche un abile scrittore, peraltro traduttore in spagnolo della “Divina Commedia” e dell’ “Eneide” di Virgilio, segno evidente del notevole livello culturale che caratterizzò i suoi ottantaquattro anni di vita. Come ricordano i suoi biografi ufficiali, Bartolomé Mitre nacque a Buenos Aires, ma trascorse gran parte della sua fanciullezza e giovinezza a Carmen de Patagones, località della Provincia di Buenos Aires dove il padre esercitava la professione di tesoriere. Aveva quasi dieci anni, il giovane Mitre quando fu impiegato in una “Estancha” di proprietà del fratello del dittatore Juan Manuel de Rosas. Ma l’esperienza durò poco, tanto è vero che nel corso del 1831, assieme alla famiglia, dichiaratasi ostile al dittatore argentino, Bartolomé lasciò il Paese alla volta di Montevideo. E fu proprio nella Capitale uruguayana che il giovane, allora diciassettenne, divenne Maestro di scuola, ma anche abile poeta. Di lì a poco entrò, poi, a far parte della locale Scuola Militare, uscendone ufficiale d’Artiglieria.
A seguito dello scoppio della guerra civile che avrebbe sconvolto l’Uruguay, il Mitre si arruolò tra le fila dei c.d. “Colorados”, alleati degli “Unitarios” argentini, prendendo così parte alla storica battaglia di Cagancha (29 dicembre 1839). In quei giorni, Bartolomé Mitre conobbe Giuseppe Garibaldi, col quale legò una durevole amicizia che lo Statista non mancò di citare nella prefazione ad un celebre libro, edito nel 1888 e dedicato all’”Eroe dei Due Mondi”. Nel medesimo contesto storico, il futuro Presidente Argentino iniziò a coltivare la passione per il giornalismo, fornendo la sua abile penna ad alcuni periodici uruguaiani, scrivendo così, fra il 1838 e il 1839, per “El Nacional” e “El Iniciador”. A seguito della sconfitta di Arroyo Grande (6 dicembre 1842), Bartolomé Mitre prese parte all’eroica difesa di Montevideo, circostanza nella quale combatté, ancora una volta, assieme all’amico Garibaldi e agli altri patrioti italiani accorsi in Uruguay per perorare la nobile causa risorgimentale. Qualche tempo dopo, l’ufficiale argentino fu costretto a lasciare anche quel Paese, essendo entrato in contrasto con Fructuoso Rivera, capo dei “Colorados”. Questa volta la sorte lo condusse in Bolivia (1846), ove il Presidente José Ballivián lo nominò Capo di Stato Maggiore del suo Esercito. Anche in questa circostanza, l’uomo d’arme argentino si sarebbe distinto, meritando non poche onorificenze e ricompense. In realtà, il prestigio e gli onori non ebbero lunga durata, a causa della caduta del Ballivián (23 dicembre 1847). Espulso una prima volta dal Paese andino, Bartolomé Mitre vi rientrò caparbiamente, ma fu subito tratto in arresto e, quindi, deportato in Perù, così come voluto dal nuovo dittatore Boliviano, Manuel Isidoro Belzu, assurto alla Presidenza il 6 dicembre 1848. Nonostante la fama lo precedesse, nemmeno il Governo di Lima lo volle, decidendo infatti di espellerlo dal Paese.
Il Mitre, a quel punto, fu costretto a rifugiarsi in Cile, ove la sorte gli fu più clemente. Nella bellissima Valparaíso, il giovane Mitre fu amorevolmente accolto dal connazionale Juan Bautista Alberdi, abile scrittore e futuro padre dalla Costituzione Argentina del 1853, il quale lo assunse nella redazione del quotidiano “El Comercio”, prima tappa di future collaborazioni. In seguito entrò, infatti, a far parte del comitato di redazione del giornale “El Progreso”, una testata di proprietà del famoso Domingo Faustino Sarmiento, che lo stesso Mitre avrebbe poi rilevato, intervenendo così in prima persona nella scena politica cilena. L’essersi schierato, nel corso del 1851, con i liberali che osteggiarono la presa di potere del Presidente Manuel Montt, costò al Mitre l’espulsione dal Cile. In quello stesso anno il nostro personaggio dovette far ritorno in Uruguay, accorrendo al “grido di dolore” del c.d. “Esercito Grande”, di chiara ispirazione “anti Rosista”, il quale si trovava agli ordini del Generale Justo José de Urquiza, Governatore dello Stato di Entre Ríos.
La storia dell’Argentina ci ricorda, quindi, che a seguito della battaglia di Caseros (3 febbraio 1852) ebbe fine la dittatura del Generale Rosas, costretto a riparare in Inghilterra. Ciò consentì al Mitre di tornare finalmente in Patria, ove assunse la carica di Deputato della provincia di Buenos Aires. Esponente di spicco degli “Unitarios”, Egli si dichiarò contrario all’accordo di San Nicolás, così come al progetto federalista. Il Mitre, infatti, era un assertore della supremazia della Capitale, Buenos Aires, sul resto del Paese. Ciò lo porterà ad un inevitabile scontro con il capo dei “Federales”, Urquiza, il quale, da nuovo tiranno dell’Argentina, arrivò persino a disporne l’espulsione da Buenos Aires. Fu a quel punto che il Mitre promosse una rivoluzione, in virtù della quale, l’11 settembre del 1852, la Provincia di Buenos Aires fu de facto proclamata Stato Indipendente dal resto della Confederazione Argentina. Riassunta la carica di Deputato della Provincia, fu nominato Capo della Milizia locale, la stessa che ben presto si sarebbe scontrata con le truppe dell’Urquiza. I “Federales”, infatti, cinsero d’assedio la Capitale argentina, difesa strenuamente dai soldati del Mitre. E fu proprio durante una ricognizione delle linee nemiche che Bartolomé Mitre rimase gravemente ferito alla fronte da un proiettile. In seguito fu nominato Ministro degli Esteri da parte del Governatore bonaerense Valentin Alsina. Durante tale mandato, il Mitre iniziò a delineare il suo progetto politico che tendeva al raggiungimento di un Paese unito, ma sempre sotto il predominio economico e culturale di Buenos Aires.
Non sempre, però, occorre dire, la sua politica fu lungimirante e utile al Paese. Nel 1855, tanto per citare alcuni esempi tangibili, mentre ricopriva la carica di Ministro di Guerra e Marina, ordinò una fallimentare spedizione militare contro i nativi nel sud della provincia, mentre nel gennaio dell’anno dopo, consentì lo sconfinamento di uno Squadrone di militari nel territorio della Confederazione Argentina, con la conseguente riaccensione dei contrasti tra Buenos Aires e Paranà. Il massimo della tensione si raggiunse nel novembre del 1859, a seguito della sconfitta di Cepeda (11 novembre), laddove le truppe di Buenos Aires, poste agli ordini dello stesso Generale Mitre, furono pesantemente sconfitte dall’esercito dell’Urquiza. La batosta subita costrinse il Mitre a firmare il c.d. “Patto di San José de Flores”, in virtù del quale lo Stato di Buenos Aires rientrò nella Confederazione, pur mantenendo alcuni privilegi. Considerato il suo carisma, Bartolomé Mitre mantenne tuttavia la sua leadership, tanto da essere nominato (il 3 maggio del 1860) Governatore della stessa Provincia di Buenos Aires. Nei mesi seguenti, il Mitre, non rispettando gli accordi firmati, diede luogo al rafforzamento dell’Esercito di Buenos Aires, ma anche ad una serie di alleanze con alcune Province dell’interno dell’Argentina, mettendo così in dubbio la leadership del nuovo Presidente della Confederazione, Santiago Derqui, che il 5 marzo dello stesso anno era subentrato all’Urquiza. Inevitabile fu, a quel punto, l’innesco di un nuovo scontro tra gli “Unitarios” e i “Federales”, il quale dalle parole passò alle armi. L’ennesima guerra civile ricevette il suo culmine nel corso della battaglia di Pavón (17 settembre 1861), laddove le truppe di Buenos Aires riportarono un inatteso successo.
La vittoria militare segnò la fine del dominio federale, consentendo al Mitre, esponente di spicco del Partito Unitario, di assurgere a Capo dello Stato unitario, naturalmente in chiave egemone da parte di Buenos Aires. Il 12 ottobre del 1862, Bartolomé Mitre fu, infatti, proclamato dal Congresso Presidente dell’Argentina. I primi anni della Presidenza Mitre non furono certamente facili, dovendo riunificare un Paese che per un lungo periodo era stato diviso da guerre civili e sollevamenti vari, ma soprattutto privo di una struttura statale vera e propria. Al fine di assoggettare tutte le Province dell’interno, dove ancora i “Federales” avevano continuato a ribellarsi alla politica di Buenos Aires, il Presidente Mitre diede inizio al c.d. “processo di pacificazione”, che però fu affidato ai militari, tanto da innescare, ancora una volta, l’ennesima guerra civile. Al di là delle violenze commesse onde imporre il nuovo “ordine sociale”, Bartolomé Mitre, assurto a capo del Partito Liberale, varò importantissime riforme finalizzate ad unificare concretamente il Paese, dando così vita ad una serie di istituzioni nazionali. Sotto la sua Presidenza si diede così vita ad un sistema giudiziario federale; fu redatto un Codice Civile ed un Codice del Commercio, così come fu migliorata l’educazione secondaria, attraverso la fondazione di collegi, ma anche rilanciata l’economia nazionale, sia attraverso l’espansione della rete ferroviaria, che al ricorso all’immigrazione dall’Europa, soprattutto dall’amica Italia, accogliendo e proteggendo migliaia di persone che dal nostro Paese varcarono gli Oceani pur di sfuggire alla miseria. La storia di questo grande Statista argentino ci ricorda, poi, come Egli si fosse innamorato del nostro Paese, al punto tale da imparare la lingua italiana, dandosi così agli studi Danteschi, che, molti anni dopo, lo avrebbero portato (fra il 1889 e il 1891) a conseguire una bella traduzione della “Divina Commedia” in terzine in lingua spagnola. Furono, quelli del suo mandato Presidenziale, anche gli anni in cui l’Argentina, alleata del Brasile e dell’Uruguay, portò avanti la sanguinosissima guerra contro il Paraguay, Paese allora governato dal dittatore Francisco Solano López. Nel 1865, essendosi posto personalmente a capo delle truppe alleate, il Mitre affidò i poteri presidenziali al suo vice, Marcos Paz.
La storia ci ricorda, poi, che sia le perdite elevate che la cattiva gestione delle operazioni belliche da parte degli eserciti della Coalizione innescarono una ventata di impopolarità tra l’opinione pubblica argentina, tanto che nel novembre del 1866, un reparto di militari di Mendoza diretto al fronte si ammutinò, scatenando così l’ennesima rivolta federale, la quale portò al rovesciamento dei Governatori di La Rioja, Mendoza, San Juan e San Luis, esponenti della corrente degli “Unitarios”. A quel punto il Presidente Mitre, rientrato dal Paraguay con alcuni Reggimenti soffocò in armi la rivolta. Sarebbe, infine, tornato a Buenos Aires nel gennaio del 1868, a seguito della morte del Vice Presidente Paz. Bartolomé, Mitre rimase Presidente dell’Argentina sino al 12 ottobre 1868, data della scadenza naturale del mandato. In attesa di riprendere la bagarre politica, lo Statista bonearense si dedicò anima e corpo al giornalismo, fondando, nel 1870, il glorioso quotidiano “La Nacion”. Quattro anni dopo, nel 1874, dopo alcune esperienze diplomatiche in Brasile e Paraguay, Bartolomé Mitre decise di ricandidarsi alla Presidenza della Repubblica tra le file del Partito Nazionalista, ma fu sconfitto da Nicolás Avellaneda, candidato del Partito Autonomista Nazionale. Denunciando brogli elettorali, il Mitre non esitò a riprendere le armi, capeggiando un’insurrezione contro il Presidente neoeletto. Ma la sorte gli fu avversa. Sopraffatto dall’Esercito, il 26 novembre 1874 a La Verde, il Mitre fu arrestato, spogliato delle sue cariche e, quindi, esiliato in Europa, ove visse per qualche tempo fra Madrid e Bordeaux. Amnistiato successivamente dallo stesso Presidente Avellaneda, Bartolomé Mitre fece ritorno in Argentina, ma subito dopo fu destinato, come diplomatico, in Brasile. La sua indole non ammetteva deroghe né tantomeno compromessi. Ecco dunque spiegato il perché il Mitre si schierò con gli oppositori degli “Autonomisti”, tanto da appoggiare, nel corso del 1890, il movimento dell’Unione Civica che di lì a poco (6 agosto 1890) avrebbe fatto cadere il Presidente Miguel Juárez Celmán. Nello stesso anno – ci ricordano i biografi dello statista – Bartolomé Mitre giunse nuovamente in Europa, facendo tappa anche in Italia, esattamente a Genova, ove ebbe il piacere di salutare Stefano Canzio e Teresita Garibaldi.
Fu, quindi, accolto calorosamente anche in Francia e in Spagna. Ritiratosi a vita privata, ma con uno sguardo sempre attento alle vicende del suo partito, l’Unione Civica Nazionale, riprese la via del giornalismo, dirigendo “La Nacion”, così come quella della scrittura, dando alle stampe non poche pubblicazioni, oltre ai vari canti della “Divina Commedia”, pubblicati a puntata sulla stessa testata giornalista. Morì a Buenos Aires il 19 gennaio 1906, a quattro anni da quel 25 maggio 1910, data in cui il Paese avrebbe celebrato il primo centenario della famosa Rivoluzione, la prima che in Sud America avrebbe portato alla nascita di uno Stato indipendente dalla Spagna, la meravigliosa Argentina alla quale tanto dobbiamo anche noi italiani: un Paese per la cui unità nazionale, Bartolomé Mitre si era battuto sino all’ultimo respiro, come speriamo di aver dimostrato attraverso queste modeste pagine.
Ten. Col. Gerardo Severino
Direttore Museo Storico della Guardia di Finanza