Un ponte tra Italia, Brasile, Argentina e Uruguay
Il 16 marzo del 1925, al termine dei lavori eseguiti dalla Regia Nave “posacavi” della Marina italiana “Città di Milano”, veniva inaugurata ad Anzio la “Stazione” del cavo telegrafico sottomarino, costruito dalla “Pirelli”, il quale avrebbe finalmente collegato direttamente l’Italia a New York, attraverso un allaccio con il cavo che partiva dalle Azzorre. Il successivo 12 ottobre, invece, sarebbe stata la volta di quello che avrebbe unito il nostro Paese all’Argentina, Brasile e Uruguay, Paesi ove vivevano migliaia e migliaia di emigranti italiani. Fu, quello, l’inizio dello sviluppo internazionale delle telecomunicazioni italiane, affidate alla “Compagnia italiana di cavi telegrafici sottomarini”, meglio nota come “Italcable”, fondata nel 1921 proprio in Sud America dall’ingegnere italiano Giovanni Carosio (Arona, 6 gennaio 1876 – Baveno, 24 giugno 1959), con capitale interamente italiano, raccolto sia in Patria che in Argentina. Si consideri che su di un capitale sociale di 200 milioni di lire, 100 milioni furono costituiti da piccole quote dei nostri emigrati in America Latina, desiderosi di comunicare con la Patria lontana[1]. Sia la stazione della “Italcable”, sia il punto dell’entrata in mare del cavo sottomarino furono oggetto di vigilanza da parte delle Regie Guardie di Finanza, le quali, anche da mare, assicurarono – almeno in quella prima fase dei lavori – che la zona fosse resa “impraticabile” alle barche da pesca, così come ad apparenti turisti o curiosi, rivestendo l’area un’importanza strategica anche dal punto di vista militare. L’inaugurazione della Stazione esaudiva un vecchio sogno, quello di garantire una più facile comunicazione (diretta e indipendente) con le lontane Americhe, ove da decenni s’erano trasferiti milioni di nostri connazionali. A tale sogno, peraltro, aveva lavorato molti anni primi anche il futuro Premio Nobel Guglielmo Marconi. Lo scienziato, nel 1904 aveva tentato invano di convincere il Governo argentino a finanziare l’allora avveniristico progetto di un ponte telegrafico senza fili che collegasse il nostro Paese a Buenos Aires, oltre che al Brasile e Uruguay, come abbiamo ricordato in un precedente saggio dedicato ai 150 anni della rappresentanza diplomatica argentina in Italia. Ottenuto dal Parlamento italiano lo stanziamento di una considerevole somma necessaria per la realizzazione di una potentissima Stazione radiotelegrafica presso Pisa, che aveva in animo di affidare al tenente di Vascello Solari, Guglielmo Marconi, titolare della “Marconi’ Wirelesss Telegraph Company”, rivolse la stessa proposta anche alla Direzione Generale delle Poste e Telegrafi della Repubblica Argentina, interessata dalla Stazione finale della stessa linea, la quale si trovò, tuttavia, costretta a rifiutarla, in quanto: «Economicamente non è accettabile poiché l’impianto è costosissimo, e la somma di 2.500.000 lire chieste dalla compagnia non servirebbe che per fare degli sperimenti, poiché non è ancora accertato l’esito della telegrafia senza fili a grande distanza»[2]. In ogni caso, anche se molti anni dopo, il sogno si avverò e fu, ancora una volta, realizzato grazie all’ottimo lavoro che tanti italo-americani svolsero sia a Buenos Aires, Rio de Janeiro e Montevideo, che a Roma, come cercheremo di dimostrare a breve.
- La “Compagnia Italiana del Servizi Telegrafici Sottomarini” (1921).
Il 9 agosto del 1921, mercè l’apporto finanziario fornito da una cordata di italo-argentini, nasceva la “Compagnia Italiana dei cavi Telegrafici Sottomarini”, poi divenuta “Italcable”[3]. Ciò avveniva grazie soprattutto all’intraprendenza del prima citato ingegnere Giovanni Carosio, un grande italiano emigrato in Argentina nel 1900, dopo aver conseguito con successo, presso il Politecnico federale di Zurigo la laurea in ingegneria meccanica. Non appena giunto a Buenos Aires, il Carosio fu tra i fondatori della “Compañia industrial de electricidad del Rio de la Plata” e della “Compañia de electricidad de la Provincia de Buenos Aires”, delle quali l’emigrante assunse fin dall’inizio la carica di amministratore delegato. Nel corso degli anni seguenti, appoggiandosi alla comunità economica locale di origine italiana il Carosio si fece promotore della costituzione della “Compañia italo-argentina de electricidad (CIAE)”. I contatti e l’abilità dell’ingegnere novarese valsero alla neocostituita società la quasi immediata concessione elettrica da parte della municipalità di Buenos Aires. La “Compagnia…”, che avrebbe avuto inizialmente sede a Milano (trasferita poi nel ’32 a Roma), proprio grazie al Carosio, che si fece da tramite fra il Governo italiano e quello argentino, avrebbe, di lì a qualche anno, messo in opera il primo cavo sottomarino transatlantico, che avrebbe finalmente unito in forma autonoma i tre Paesi amici, legati da secolari rapporti, sia economici che affettivi, ricordando la fortissima presenza italiana lungo le rive del Rio de la Plata e in Brasile. L’ingegner Carosio, in verità, aveva cominciato a studiare il problema della trasmissione telegrafica via cavo tra l’Europa ed il Sudamerica nel 1918, appena conclusa l’immane guerra mondiale, ma a quei tempi i problemi legati alla ricostruzione non gli consentirono di proseguire su quella strada. Appena un mese dopo la costituzione, esattamente il 12 settembre ’21, fu quindi sottoscritta la prima convenzione fra lo Stato italiano e la neonata “Compagnia…”, la quale si mise così subito al lavoro onde realizzare la almeno allora “faraonica impresa”. I biografi del Carosio ci ricordano che il grande imprenditore novarese allacciò immediatamente i contatti con i Paesi interessati all’iniziativa (il cavo telegrafico, prima di raggiungere l’Argentina, doveva, infatti, toccare la Spagna, il Portogallo, il Brasile e l’Uruguay). La storia ci ricorda che dalla progettazione alla realizzazione occorsero alcuni anni, non troppi a dire il vero e considerati i tempi e le tecnologie dell’epoca. In ogni caso la posa in opera dei cavi sottomarini fu davvero lavoro complesso e complicato, ma in ogni caso realizzato in tempi accettabili, tenendo presente che sino a quella data (1921), la maggior parte dei telegrammi elettrici inviati dagli italiani e diretti in oltremare venivano trasmessi sfruttando i cavi di altri Paesi. Il 3 febbraio 1923 la “Compagnia…” (che nel corso del 1924 verrà ribattezzata “Italcable – Servizi Cablografici Sottomarini”, società di capitale che manteneva ancora il pacchetto finanziario in mano alla citata cordata italo-argentina[4]), ottenne dal Governo Mussolini la definitiva concessione in convenzione per collegare l’Italia con Argentina, Brasile e Uruguay, grazie alla quale si realizzava un nuovo collegamento diretto dei servizi telegrafici dall’Europa per il Sudamerica, peraltro senza passare più attraverso il Nordamerica. Quanto sopra si concretizzava con un ritardo di oltre cinquanta anni rispetto ad altri Paesi, i quali avevano sperimentato e consolidato nel tempo questa nuova tecnologia, biglietto da visita delle Nazioni d’Europa più avanzate. A tal riguardo ricordiamo che il primo tentativo di comunicazione transatlantica, tramite cavo sottomarino, era avvenuto nel corso del 1854, allorquando fu posato – purtroppo senza successo – un cavo fra Terranova e l’Irlanda, cavo che nell’intenzione di progettisti avrebbe dovuto proseguire con i collegamenti già esistenti fra Irlanda e il Regno Unito. Dopo diversi tentativi infruttuosi fu solo nel 1866, quindi dopo oltre un decennio di prove ed errori e fallimenti di da parte di vari Consorzi e Società, che fu posato un cavo abbastanza robusto, tale da evitare future rotture e interruzioni del servizio. Per l’occasione fu adibita alla posa una grande nave in grado di sostenere il peso del lungo e robusto cavo, la celebre “Great Eastern”, la quale riuscì nell’ impresa, consentendo così le comunicazioni telegrafiche fra il Vecchio e il Nuovo Continente. Tornando alla nostra vicenda aggiungiamo che, sempre nel 1924, l’”Italcable” progettò anche di collegare direttamente l’Italia con il Nordamerica, agganciandosi alla connessione sottomarina della “Western Union Americana”, la quale passava dalle Azzorre onde collegarsi con l’Inghilterra.
- La Stazione cablografica di Anzio (1925 – 1944).
Il poderoso lavoro che avrebbe unito telegraficamente l’Italia ai tre Paesi del Sudamerica fu pianificato al tavolino, e in tutti i suoi minuscoli dettagli. Per la circostanza la Società italiana dovette ordinare ben oltre 13.000 Km di cavo (dal peso complessivo di circa 18.000 tonnellate), i quali sarebbero stati prodotti da quattro aziende specializzate e, soprattutto, di comprovata esperienza internazionale. I tratti progettati furono divisi in 8 lotti, con stazioni intermedie e ripetitori che sarebbero stati collocati in Spagna a Malaga e sulle isole dell’Atlantico: Azzorre, Canarie, Capo Verde, Fernando de Noroha e sullo stesso suolo Sudamericano, collegando, quindi, Rio de Janeiro in Brasile, Montevideo e finalmente Buenos Aires. Il cavo sarebbe stato posizionato sia nel Mediterraneo che nell’Oceano, raggiungendo i 3.000 metri di profondità, nel primo caso e i 5.000 metri nel secondo. Sin dalle prime esperienze progettuali, la cittadina di Fiumicino, praticamente alle porte della Capitale, sarebbe stata la Stazione di arrivo in Italia, sia della linea per Rio De Janeiro – Buenos Aires, sia di quella delle Azzorre, la quale avrebbe collegato il nostro Paese agli Stati Uniti. In seguito, la Commissione progettuale mutò idea, scegliendo, invece, Anzio. I lavori presso la futura Stazione di Anzio iniziarono il 17 gennaio dello stesso 1925, per poi essere completati con un anticipo di ben 18 mesi rispetto alle previsioni. Ricordiamo che il collegamento Anzio – New York entrò in funzione il 16 marzo 1925, attraverso la Stazione di collegamento con la “Western Union Co ad Horta” sull’isola di Fayal alle Azzorre dove era stata allestita la stazione di arrivo della “Italcable”. I quattro costruttori e posatori dei cavi furono la ditta tedesca “Norddeutsche Seekabelwerke”, le inglesi “Telegraph Construction and Maintenance (Telcon)” e “Siemens Brothers”, nonché l’italiana “Pirelli”[5]. La cronaca del tempo ci ricorda che i lavori di posa dei cavi iniziarono contemporaneamente da parte delle singole Stazioni, scelte in precedenza, dove erano state costruite apposite “Stazioni intermedie di ricezione e ripetizione”, onde potenziare il segnale. La posa dei singoli tratti fu, tuttavia, terminata in tempi diversi. L’8 ottobre dello stesso 1924 fu terminata la posa del primo tratto Malaga (Spagna) – Fayal alle Azzorre[6]. Il 18 gennaio del 1925 fu la volta del tratto atlantico diretto a Sud: da S. Vincenzo, nell’isola di Capo Verde, all’isola Fernando de Noronha. Il 10 febbraio 1925 venne terminato il tratto Mediterraneo, che avrebbe finalmente collegato Anzio a Malaga, mentre il successivo 16 marzo fu inaugurato il cavo che congiungeva telegraficamente l’Italia con la Stazione di New York e il Nord America, anche se attraverso il cavo americano. Il 18 febbraio fu, quindi, completata la posa del cavo da Malaga a Las Palmas. Il 30 aprile fu completato il tratto Rio de Janeiro – Montevideo. L’11 luglio 1925 ebbe termine la posa del cavo sottomarino che avrebbe unito, attraverso il Rio de la Plata, la città di Montevideo con Buenos Aires. Completate le prove tecniche, il 12 ottobre 1925, come ricostruiremo a breve, veniva solennemente inaugurato il nuovo servizio telegrafico, che ufficialmente prenderà il nome “Tratta Anzio – Buenos Aires”, che avrebbe visto nella Stazione di Anzio l’arrivo e la partenza del segnale telegrafico. Grazie ad essa sarebbero state garantite le comunicazioni con un bacino di utenza così vasto, come lo era quello rappresentato dall’emigrazione italiana, sia negli Stati Uniti che nei Paesi dell’area Sud Americana, come Argentina, Brasile e Uruguay, per l’appunto. La Stazione di Anzio fu inizialmente ospitata all’interno di un piccolo edificio in legno eretto in prossimità del mare, peraltro a pochi metri dalla riva dove terminavano i cavi che avrebbero attraversato l’Atlantico. In tempi davvero record fu, poi, eretta un’apposita palazzina in muratura. I cavi che partirono da Anzio coprivano una lunghezza di 1005 Km, unendo Anzio a Malaga, in Spagna. Il tratto era stato realizzato dalla ditta tedesca “Norddeutsche Seekabelwerke” e posato dalla nave “Città di Milano”, che coprì il tratto Anzio – S. Vincenzo[7]. In area Sudamericana il cavo di 1203 Km che avrebbe unito Rio de Janeiro a Montevideo fu prodotto dalla ditta inglese “Telegraph Construction and Maintenance Company”, che lo pose in opera mediante la nave “CS Colonia”, mentre gli ultimi 200 Km che avrebbero unito Montevideo a Buenos Aires furono prodotti dalla ditta inglese “Siemens Brothers” e posati con la nave “CS Faraday”. Inaugurato il cavo telegrafico Anzio-New York e quello con il Sudamerica, l’”Italcable” (che nel 1926 fu ribattezzata “Compagnia per Cavi Telegrafici Sottomarini – Italcable”), registrò una notevole espansione societaria, anche grazie all’apertura, negli anni seguenti, di sportelli per l’accettazione di telegrammi in diverse città europee. La Stazione cablografica di Anzio, la quale era collegata direttamente con la rete area telegrafica con i principali centri d’Italia, avrebbe, tuttavia, cessato la sua breve storia dopo l’8 settembre 1943, allorquando la cittadina del basso Lazio fu anch’essa oggetto di fitti bombardamenti, prim’ancora che delle stesse azioni militari che l’avrebbero interessata dalla fine di gennaio al giugno del 1944.
- La solenne cerimonia del 12 ottobre 1925.
Il 12 ottobre 1925 non fu certamente una data qualsiasi per inaugurare i collegamenti fra l’Italia e l’Argentina. Volutamente scelta dal regime (ricordiamo che il Ministro delle Comunicazioni era in quel frangente il conte Costanzo Ciano, padre del futuro genero del Duce, Galeazzo) essa cadde in concomitanza con l’anniversario della scoperta dell’America, evento che Mussolini volle ovviamente sfruttare a proprio favore, sia dinanzi alle altre potenze europee, sia dinanzi ai Paesi dell’America Latina con i quali l’Italia stava intensificando i propri rapporti, sia commerciali che militari. Per l’occasione furono organizzati da Roma due treni speciali che ospitarono le principali cariche dello Stato, da Benito Mussolini ei Ministri interessati, così come alle rappresentanze diplomatiche dei Paesi che avevano avuto parte in causa con l’avvenimento. Fra questi il dott. Ferdinando Perez, che in quel frangente era il ministro incaricato d’affari della Repubblica Argentina in Italia (diverrà primo ambasciatore in Italia appena l’anno dopo), l’ambasciatore del Brasile, dott. Oscar de Teffé e il Ministro inviato straordinario dell’Uruguay, dott. Diego Pons. Autorità ed ospiti furono accolti solennemente presso la Stazione Ferroviaria di Anzio dall’allora Sindaco della cittadina laziale, cav. uff. Francesco Breschi, così come dall’ing. Giovanni Carosio e dal dott. Costalbos, Consigliere delegato della stessa “Italcable”, i quali avrebbero poi preso la parola durante la successiva cerimonia nei pressi della Stazione transoceanica. Le cronache del tempo ci ricordano che, dopo il discorso di Mussolini, l’ing. Carosio diede il segnale per la trasmissione di un dispaccio augurale che Re Vittorio Emanuele aveva voluto indirizzare ai Presidenti della Repubblica Argentina, del Brasile e dell’Uruguay. Uno scambio di telegrammi collegò anche le quattro Municipalità interessate all’evento, Anzio, Buenos Aires, Rio de Janeiro e Montevideo. Altri telegrammi furono, quindi, trasmessi agli altri Capi di Stato, così come alle altre personalità che avevano avuto a che fare con la “titanica impresa”, come Spagna e Portogallo[8]. La cerimonia fu una fra le più memorabili che si tenne in Italia in quell’anno, vedendo la partecipazione di numerosi invitati, sia civili che militari, compresi numerosi giornalisti, grazie ai quali la notizia fu, manco a farlo apposta, “telegrafata” a mezzo mondo.
- La rete transoceanica nel secondo dopoguerra (1947 – 1961).
Riguardo alla storia della gloriosa “Compagnia…” sorta cent’anni orsono osserviamo che essa, nel 1941, aveva assunto il nome di “Italcable – Servizi cablografici, radiotelegrafici e radioelettrici S.p.A”, chiamata ad operare nel campo dei servizi per la telecomunicazione, fra l’altro concessionaria per conto dello Stato dei servizi internazionali di telecomunicazione (telefono e telegrafo) da e per l’Italia. In tale ottica la Società installava e gestiva i relativi impianti, con la maggior parte dei Paesi europei. Ciò avveniva, in verità, anche grazie alla fusione tra la “Compagnia per Cavi Telegrafici Sottomarini (Italcable)” e la “Società Italo Radio”[9]. Con l’entrata in guerra dell’Italia e il conseguente passaggio dell’”Italcable” sotto il diretto controllo del governo, l’ingegner Carosio fu costretto ad abbandonare la società. Durante la seconda guerra mondiale tutti i cavi sottomarini a nord dell’equatore furono tagliati o interrotti. Per tale motivo l’”Italcable” fu costretta a svolgere il servizio di telecomunicazioni intercontinentali solo attraverso i collegamenti radio. Nel 1944, dopo un breve periodo di commissariamento seguito alla liberazione di Roma, i vecchi amministratori tornarono al loro posto, compreso l’anziano ingegnere di Arona, il quale ne assunse di nuovo la presidenza. Fu solo a partire dal 1947 che l’Italia iniziò a ricostruire la sua rete di cavi sottomarini transoceanica. L’”Italcable” riaprì, quindi, le vecchie Stazioni di comunicazione intercontinentali riaprendo nuovi e vecchi collegamenti cablografici con le altre Nazioni, dapprima nell’area Mediterranea e successivamente con il Nord America. Il servizio fu ripristinato a far data dal 12 ottobre ’47. Quasi contestualmente fu riattivata la “rete Sudamericana” tra Fernando de Noronha e Buenos Aires, ma con il conseguente trasferimento dei cavi da Anzio a Castelfusano. Furono, quelli del secondo dopoguerra, anni di rinnovato sviluppo per la società, la quale si prodigò onde raggiungere un potenziamento della rete a livello mondiale, cui avrebbe fatto seguito, nel 1955, l’avvio del servizio telex tra l’Italia e i paesi extraeuropei. Il 1961 fu, invece, l’anno della svolta, grazie alle prime telecomunicazioni via satellite. In seguito l’”Italcable” e la R.A.I. crearono “Telespazio”, società che opera nel campo dei satelliti artificiali per telecomunicazioni, con capitale 50% RAI e 50% Italcable. In tale ambito l’”Italcable” acquisì altri circuiti telefonici che consentirono i collegamenti con New York e Montreal[10]. Superata, quindi, l’era dei cavi cablografici sottomarini non rimane più traccia di quel luminoso passato che ci porta indietro di appena un secolo, pur vedendo trionfare – e di questo l’Italia deve andar fiera – gli studi che il grande Guglielmo Marconi aveva realizzato già sulla fine dell’Ottocento riguardo alla telegrafia senza fili, la quale – se accolta anche da quel Paese Sudamericano – avrebbe consentito ad Argentina e Italia di sentirsi più vicine, con molti anni d’anticipo rispetto al 1925. A rinvigorire per sempre la memoria di quell’epoca ci ha pensato la stessa cittadina di Anzio. Il 12 ottobre del 2009 il Lions Club di Anzio-Nettuno, in collaborazione con il Comune anziate ed il Comando Trasmissioni e Informazioni dell’Esercito ha voluto, infatti, ricordare lo storico evento del 12 ottobre ’25 organizzando una cerimonia nell’area antistante la Caserma “Santa Barbara”, cerimonia nel corso della quale è stata apposta sul muro di cinta che dà sulla strada un’apposta targa di marmo, giornalmente visionata, soprattutto d’estate, dai tanti cittadini e turisti che affollano quel tratto di costa Tirrenica che tanto lustro ha dato al nostro grande Paese, ospitando quel ponte immaginario che per decenni ha unito l’Italia al Sud America, parte del Continente Americano che più di altre aree del mondo ha dato ospitalità al nostro popolo millenario.
Ten. Col. Gerardo Severino
Direttore Museo Storico Guardia di Finanza
[1] Cfr. Mario CARUSI, I cavi transoceanici italiani, in Almanacco delle Forze Armate 1927, Roma, Tipografia del Senato, 1927, pp. 918-920.
[2] Cfr. La questione incresciosa della radiotelegrafia italo-argentina, in «L’Elettricità», n. 26 dell’8 luglio 1904, p. 417.
[3] Gli ambienti economici italo-argentini furono interessati da una vera e propria raccolta di capitali operata mercé la Camera di commercio italiana di Buenos Aires, la quale avrebbe coinvolto nell’operazione anche altre personalità della capitale argentina.
[4] Nel 1923, mentre il capitale sociale dell’”Italcable” veniva portato a 200.000.000 di lire (90 dei quali erano stati sottoscritti in Argentina), l’ingegner Carosio firmò una seconda convenzione con il Governo italiano in base alla quale venivano definiti più precisamente tempi e modi per l’avvio delle trasmissioni telegrafiche.
[5] La “Pirelli” era stata la prima società italiana che, nel corso del 1885, era riuscita ad ottenere la commessa statale per la posa e la manutenzione dei primi cavi sottomarini italiani. Di questi alcuni erano stati posati da aziende straniere ed altri dalla stessa “Pirelli” (che si era specializzata inizialmente nei cavi elettrici isolati con la guttaperca, per l’utilizzo in ambienti con forte umidità: per miniere e per le torpedini), in tutto circa 800 km di cavi telegrafici che attraversavano il Mediterraneo e destinati per la massima parte a collegare l’Italia con le isole minori ed il Nord Africa.
[6] Nel 1924 l’Italia era al settimo posto al mondo con 8930 chilometri nell’estensione delle reti cablografiche sottomarine, mentre nel 1927 era salita al quarto posto con poco meno di 27.000 chilometri.
[7] Costruita nei cantieri britannici “Thompson & Sons”, la “Città di Milano” fu la prima posacavi italiana ad essere varata, nel 1888, per lo specifico scopo, per conto della società “Pirelli” di Milano.
[8] Sull’evento vgs. anche corrispondenza dal titolo Il cavo sottomarino Anzio-Buenos Aires, in «Rivista delle Comunicazioni», f.lo XX, 15 ottobre 1925, pp. 251-257.
[9] A monte della fusione vi era stata l’opera concorrenziale della stessa “Italo-Radio”, una società presieduta da Guglielmo Marconi ed appoggiata dalla Banca Commerciale e dal Banco di Roma, non senza qualche interferenza della francese “Radio-France”. Le due imprese furono, tuttavia, costrette a trovare un “modus vivendi” imposto dal Governo Mussolini, tanto che la stessa “Italcable” dovette partecipare al capitale sociale della “Italo-Radio”.
[10] Nel frattempo l’”Italcable” era diventata un’azienda controllata dalla STET che ne deteneva il 47,45% del capitale sociale. Il 2,75 per cento era della Banca d’Italia il restante se lo dividevano, invece, gli azionisti minori. Nel 1994 venne fusa in “Telecom Italia S.p.A.” e la sua eredità raccolta da “Telecom Italia Sparkle”.