Palazzo Pandolfi all’Esquilino a Roma. Sede della prestigiosa ambasciata di Argentina in Italia
In un recente articolo dedicato ai 150 anni della rappresentanza diplomatica della Repubblica Argentina in Roma Capitale è stato fatto cenno in maniera marginale alla prestigiosa sede che dal 1880 ospita la Delegazione del grande Paese Sudamericano, vale a dire lo storico palazzo di piazza Esquilino, n. 2, meglio noto come “Palazzina Pandolfi”, dal nome del suo progettista e proprietario, il Marchese Beniamino Pandolfi Guttadauro, già ufficiale del Regio Esercito e noto Deputato presso il Parlamento italiano, ma soprattutto abile ingegnere ed architetto di origini siciliane. La “Palazzina”, che la Repubblica Argentina scelse in quanto «…tenne a dover di farsi una decorosa e stabile dimora»[1], è passata alla storia per una sua peculiarità, quella di essere stata la prima sede diplomatica argentina in Europa ad essere di proprietà di quella Nazione, decisione che fu presa da quel Governo nel lontano 1889, come approfondiremo meglio nell’apposito capitolo.
- Il Marchese Beniamino Pandolfi Guttadauro (1839 – 1909).
Per comprendere meglio l’importanza che l’edificio diplomatico ha ricoperto nella storia di Roma non possiamo fare a meno di ricordare brevemente la figura del suo progettista e proprietario. Ebbene, Beniamino Pandolfi nacque Napoli il 12 giugno 1839 (alcune fonti citano, invece, il 1836), figlio di un valoroso e benemerito patriota di origini siciliane, Domenico, appartenente ad una nobile stirpe Pisana trapiantata in Sicilia sin dal 1299, a seguito della sconfitta dei pisani nella battaglia navale della Meloria[2]. Scorrendo la sua mirabile biografia apprendiamo che nel 1857, il conte Beniamino Pandolfi dei Signori di Guttadauro si laureò in Architettura (dottore in Scienze Fisico Matematiche) presso l’Università di Palermo, città ove avrebbe esercitato la professione di “ingegnere di ponti e strade”, ma occupandosi anche dello studio della letteratura e della filosofia. Nel 1859 partecipò volontario alla 2^ guerra d’indipendenza, mentre nella Capitale Siciliana lo avrebbe presto atteso la vera storia d’Italia. Nel maggio del 1860 egli fu, infatti, tra i primi che avrebbero ingrossato le fila dei “Mille di Garibaldi”, Eroe che il giovane avrebbe seguito sino all’epilogo del Volturno, peraltro combattendo valorosamente con i gradi di Capitano del Genio. Transitato nei ranghi del Regio Esercito prese parte alla 3^ guerra d’indipendenza, nel 1866, per poi essere prescelto come “ufficiale d’ordinanza” da re Vittorio Emanuele II. Dimessosi da tale Forza Armata nel corso del 1870, dopo aver raggiunto il grado di Tenente Colonnello del Genio Militare della Milizia Territoriale, il conte Pandolfi si trasferì definitivamente a Roma nel 1871, dopo aver tentato la carriera politica, presentandosi alle elezioni dello stesso 1870, candidandosi nell’ambito del 3° Collegio di Palermo. Sconfitto in quella circostanza, verrà, invece, eletto nel 1876, candidandosi nel Collegio di Nicosia, sedendo nel Parlamento Nazionale per varie Legislature, tra i banchi della sinistra, rieletto nel Collegio n. 3 di Catania. Come ricordato da una modesta biografia a lui dedicata nel 1883: «Ha preso parte a molte discussioni importanti: le cure politiche e gli studii suoi prediletti non gli impediscono di occuparsi anche d’industrie artistiche; la grande fabbrica di ceramica di Minturno deve a lui se è risorta a nuovissima vita. A Montecitorio gli vogliono tutti bene, e se lo merita, perché ha un eccellente carattere, ed è attivissimo e conciliante»[3]. Coniugato con la N.D. cecoslovacca Maria Luigia Apollonia Saibante, del marchese Giovan Battista e della baronessa Eleonora Scheibler-Wratoislaw, Beniamino Pandolfi fu padre di quattro figli, Domenico Eugenio, Eleonora, Margherita ed Eugenio Salvatore, i primi tre nati Vienna tra il 1868 e il 1872, mentre l’ultimo fu partorito a Roma l’11 novembre del 1879, proprio nella famosa “Palazzina” di cui ci stiamo occupando. Durante gli anni vissuti a Roma, Beniamino Pandolfi non trascurò affatto la sua professione di Architetto, che esercitò effettivamente tanto da risultare iscritto anche all’“Albo degli Ingegneri e degli Architetti Italiani”[4]. Egli, essendo uomo di grandissima cultura, fu anche autore di drammi dati in teatro, come nel caso del poco conosciuto “Humanitas”, opera che fu rappresentata al teatro “Valle” di Roma, nel corso del 1884, dalla Compagnia Nazionale[5]. Decorato degli Ordini Mauriziano e della Corona d’Italia, ma anche della Gran Croce dell’Ordine Reale della Concezione e sella Stella di Romania, così come ricompensato con varie medaglie al Valor Civile e Militare, il Pandolfi ottenne anche il titolo Marchesale da re Umberto I con lettera patente del 12 febbraio 1882, titolo trasmissibile alla sua progenie maschile[6]. Beniamino Pandolfi Guttadauro si spense presso il Policlinico di Roma il 29 gennaio del 1909, non ancora settantenne. In occasione della sua morte, la «Gazzetta Ufficiale dl Regno d’Italia» ne tracciò una breve biografia, sottolineando il fatto che il suo nome era «[…] strettamente legato alla nobile crociata civile per la pace universale», tanto da essere « […] il primo ideatore e strenuo propugnatore dell’unione interparlamentare per la pace ed a questo ideale rivolse tutte le sue energie. Vivissimo è il rimpianto che lascia fra quanti ne poterono conoscere le doti personali e ne apprezzarono la pacifica propaganda»[7].
- La “Palazzina Pandolfi” (1873 – 1880).
Il palazzo (o “Palazzina Pandolfi” che dir si voglia) è sito in piazza Esquilino n. 2, situato di fronte allo storico Monastero del Bambin Gesù, e fa parte dello storico Rione Monti, a pochi passi dal Viminale, così come da piazza Santa di Santa Maria Maggiore e dalla Stazione ferroviaria di Roma Termini. Esso si erge su quattro livelli più un’area mansardata che dà sul terrazzo. Le sue origini risalgono al 1873, in un epoca nella quale il Colonnello in congedo del Regio Esercito, conte Beniamino Pandolfi, rimasto a vivere a Roma, la progettò per la sua famiglia, allora composta da moglie e tre figli. Ottenuta la licenza di costruzione da parte del Comune di Roma in data 2 agosto 1873[8], la palazzina iniziò ad essere costruita sul finire dello stesso anno, per poi essere completata fra il 1874 e il 1875. Considerata l’enorme superficie che la caratterizzava, la palazzina fu abitata, oltre che dalla famiglia Pandolfi, che ne occupò il c.d. “piano nobile”, anche da altri inquilini, come nel caso della “Legazione” Argentina in Italia, ma anche da esponenti della nobiltà romana, come nel caso della duchessa Bolognini Litta-Visconti, sulla quale è stato scritto molto riguardo ai suoi rapporti con re Umberto I, che avrebbe utilizzato la dimora «per i suoi incontri segreti», tanto da aver fatto costruire un tunnel che comunicava direttamente con un’altra dimora nobiliare di quei paraggi[9]. Al di là di tale fantasiosa narrazione, dovuta essenzialmente ai cronisti dell’epoca, osserviamo che la palazzina fu sempre in mano al proprietario, tanto da conservarvi l’indirizzo anche dopo la formale vendita dell’immobile all’Argentina. Non solo, ma anche dopo averla fittata alla “Legazione” diplomatica di quel Paese, la palazzina di piazza Esquilino fu una delle tante dimore dell’aristocrazia romana frequentata dal “bel mondo” dell’epoca. La già citata «L’Illustrazione Italiana» del 1884 ci ricorda, infatti, che il marchese Pandolfi: «A Roma, dove abita da parecchi anni, e dove s’è fabbricati una palazzina in piazza Esquilino […] è tenuto in conto di bon enfant dai suoi amici politici come dai suoi avversari, dall’aristocrazia bianca come da quella nera»[10]. Il Pandolfi conservò dimora presso il civico n. 2 di piazza Esquilino sino al 1890, come abbiamo già ricordato in precedenza, citato la «Guida Monaci» edita in quell’anno, laddove a tale indirizzo fu associata la frase “palazzo proprio”. Nel corso del 1891, superato l’impasse con il Governo argentino, il Deputato Pandolfi l’abbandonò definitivamente, prendendo domicilio al civico n. 24 di via Milano[11]. Da quel momento la palazzina veniva definitivamente incamerata tra i beni argentini in Italia, dando così inizio ad una straordinaria avventura che oggi compie ben 130 anni.
- Dalla Legazione all’Ambasciata della Repubblica Argentina in Italia (1880 – 2021).
Come avevamo già anticipato, così come ricostruito in altro contributo storico pubblicato su questo stesso portale, le prime tracce della presenza di un diplomatico argentino in piazza Esquilino risalgono all’anno 1880, epoca nella quale l’inviato straordinario e ministro plenipotenziario della Repubblica Argentina in Italia, don Diego de Alvear, che operava sin dal 1875 presso lo storico Palazzo Rospigliosi, si diede da fare per trovare una nuova sede da prendere in affitto, evidentemente con prezzi più contenuti. Ed è grazie ad una “Guida di Roma” riferita al 1880 che abbiamo avuto conferma che la sede della “Legazione” fu fissata all’interno di un appartamento della “Palazzina Pandolfi”, in piazza Esquilino, civico n. 2, analogo indirizzo ove avrebbe preso dimora anche lo stesso ministro plenipotenziario con la propria famiglia[12]. Al ministro de Alvear, che prestò servizio a Roma sino al maggio-giugno del 1882, subentrò, a far data dal 1° giugno di quell’anno, il dott. Antonio Del Viso, il quale avrebbe retto la “Legazione” per molti anni, praticamente sino alla morte, impersonando non pochi meriti, primo fra tutti l’aver fatto acquistare dal suo Governo lo stesso Palazzo Pandolfi[13]. Ciò avvenne con “pubblico istrumento” rogato a Roma il 9 aprile del 1889 dal notaio Adriano Bosi, registrato il 29 dello stesso mese ed anno al registro 128, n. 7672, atto che vide le parti interessate nello stesso marchese Pandolfi e nel ministro Del Viso[14]. Dal contributo storico attinto dal sito internet dell’Ambasciata Argentina in Italia (cfr. punto 4. “La nostra sede”) apprendiamo che il prestigioso immobile signorile fu venduto per la somma di £. 500.000, suddivisa in sette rate annuali. A fronte della spesa furono “girati” al nuovo acquirente tre mutui ipotecari, rilasciati rispettivamente a favore della contessa Giacinta Marescotti de Martini, il 17 maggio 1876, del “Banco Marignoli & Cavallini”, l’8 luglio 1880 e della signora Maria Bardelstein, in data 5 novembre 1889. All’atto della stipula dell’atto notarile il ministro Del Viso s’impegnò a versare la somma di 30.000 lire, ovviamente a titolo di anticipo, in attesa della successiva ratifica da parte del Governo di Buenos Aires. Ciò avvenne con la Legge n. 2762 del 1890, con la quale l’acquisto fu approvato e reso esecutivo. Come prosegue il contributo storico prodotto dalla stessa Ambasciata, la crisi economica nella quale il Paese Sudamericano piombò proprio in quell’anno impose non pochi tagli alla spesa pubblica, ragion per cui lo stesso Governo, avvalendosi dei dettami contenuti nell’art. 2 della stessa Legge 2762 ordinò al ministro Del Viso di procedere con la risoluzione del contratto di compravendita, chiedendo la restituzione dell’anticipo, ovvero di vendere lo stesso immobile immediatamente. E fu proprio grazie alla caparbietà del ministro Del Viso se la questione fu risolta brillantemente. L’abile diplomatico fece, infatti, riflettere il ministro degli esteri, Eduardo Costa riguardo al fatto che qualcuno avrebbe potuto approfittare della crisi argentina offrendo un prezzo non di mercato, ma da usuraio. A quel punto il ministro Costa convinse l’esecutivo a desistere, consentendo così «[…] oggi alla Repubblica di avere una propria prestigiosa sede nella Città Eterna»[15]. Verso la fine del secolo, l’edificio che ospitata la “Legazione” iniziò ad essere citato in atti col titolo di “Palazzo della Legazione”, come ci conferma un Annuario del 1895, ove viene ancora indicato il dott. Antonio Del Viso quale “incaricato d’affari ad interim”, nonostante il grande diplomatico fosse morto già da alcuni mesi[16]. La sede diplomatica dovette moltissimo ai vari Ambasciatori che vi si alternarono nel corso degli anni, specialmente al primo, il dottor Fernando Perez, il quale contribuì non poco onde elevarla anche sul piano artistico, abbellendone ancor di più gli spazi interni. Ebbene uno dei suoi ultimi atti ufficiali qui in Italia prima del ritorno in Patria si concretizzò il 12 ottobre del 1933, in concomitanza con l’anniversario della scoperta dell’America, data nella quale si inaugurarono, proprio dinanzi all’ingresso principale dell’Ambasciata, i busti in marmo di due dei più grandi statisti argentini, Manuel Belgrano e Bartolomé Mitre, realizzati dallo scultore Luigi Brizzolara (1868 – 1937), su commissione della “Federazione delle Società Italiane in Argentina” e della “Direzione Italiana all’Estero”, quale segno della storica amicizia tra l’Italia e l’Argentina. L’inaugurazione dei due busti avvenne alla presenza di monsignor Angelo Bartolomasi, Ordinario Militare per l’Italia e grande amico dell’Argentina, e del presidente della citata Federazione, Arsenio Buffarini-Guidi. Un attento lavoro di restauro, sia degli interni, compresi alcuni quadri ad olio, che degli esterni, dell’Ambasciata furono eseguiti nei primi mesi del 1947, in previsione della visita della “Presidenta” (Evita Peron), della quale abbiamo già fatti cenno nel precedente contributo dedicato ai 150 anni della rappresentanza argentina a Roma, da parte del maestro Antonio Rosa (1895 – 1976), allora celebre decoratore e restauratore. La sede diplomatica, oltre alle sue funzioni, è anche un luogo ove si fa cultura, grazie ai numerosi eventi organizzati dall’Ufficio Culturale della stessa Ambasciata, quali convegni, concerti e mostre tematiche, la più importante delle quali si tenne fra il 12 giugno e il 9 luglio del 2015, dedicata proprio ad Evita Peron. Ci piace ricordare come lo scorso 11 marzo, infine, in concomitanza con il centenario della nascita del grande compositore italo-argentino Astor Piazzolla (Mar del Plata, 1921 – Buenos Aires, 1992), tra i musicisti più importanti del XX secolo, colui che ha rivoluzionato la storia del tango, l’attuale ambasciatore argentino in Italia, Roberto Carlés ne omaggiò la figura, incontrando in diretta streaming Daniel Rosenfeld, regista e produttore dell’acclamato documentario “Piazzolla, la rivoluzione del tango” (tit. originale: “Piazzolla, los años del tiburón“). Ricordiamo che il film franco-argentino, campione di incassi in Argentina, è un inedito ed evocativo viaggio nel cuore della vita e della musica di Astor Piazzolla, capace di offrire un ritratto intimo del padre del cosiddetto “Tango Nuevo”, il quale secondo i musicologi più accreditato è un genere che incorpora tonalità e sonorità jazz al tango tradizionale, utilizzando dissonanze ed elementi musicali innovativi.
Ten. Col. Gerardo Severino
Direttore del Museo Storico della Guardia di Finanza
[1] Cfr. AA.VV., Ambasciate e Ambasciatori a Roma, Milano, Edizione Bestetti e Tumminelli, 1927, p. 138.
[2] Cfr. Annuario della Nobiltà Italiana – 1886, Pisa, Direzione del Giornale Araldico, 1886, pp. 513-515.
[3] Cfr. L’Illustrazione Italiana, n. 26 del 1° luglio 1883, p. 3.
[4] Cfr. Guida Monaci – Guida Commerciale di Roma e Provincia – Anno 1890, Roma, 1890, p. 598.
[5] Cfr. L’Illustrazione Italiana, 1° semestre 1884, p. 55.
[6] Cfr. Annuario della Nobiltà Italiana – 1886, op. cit., p. 515.
[7] Cfr. Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, n. 25 del 30 gennaio 1909, p. 502.
[8] Cfr. Archivio Storico Comune di Roma, prot. 24241, Tavola 54.
[9] A riguardo vgs. https:eital.cancilleria.gob.ar/es/4-nuestra-sede.
[10] Cfr. L’Illustrazione Italiana, 1° semestre 1884, p. 55.
[11] Cfr. “Elenco dei Soci”, in «Annali della Società degli Ingegneri e degli Architetti Italiani – Anno 1891», Roma, Tipografia Fratelli Centenari, 1891, p. 20.
[12] Cfr. voce “Legazioni” in Guida di Roma e dei suoi dintorni, Roma, Antonio Vallardi Editore, 1880, p. 12.
[13] Antonio del Viso (Córdoba, 10 febbraio 1830 – Roma, 11 marzo 1894. Avvocato e politico conservatore era stato Governatore di Cordoba, Senatore e Ministro dell’Interno e, infine, Ministro plenipotenziario in Italia.
[14] Cfr. Atti del Regio Tribunale Civile di Roma, in «Inserzioni a pagamento della Gazzetta Ufficiale del Regno d’’Italia», n. 279 del 25 novembre 1889, p. 4.
[15] Cfr. https:eital.cancilleria.gob.ar/es/4-nuestra-sede.
[16] Cfr. Annuario della Stampa Italiana 1895, Roma, Edizione Henry Berger, 1895, p. 28.