11 aprile 1945. La liberazione del Campo di concentramento di Buchenwald
«Noi, detenuti di Buchenwald siamo riuniti oggi per onorare i 51 mila prigionieri assassinati a Buchenwald.
51 mila padri, fratelli, figli sono morti di una morte piena di sofferenza, perché hanno lottato contro il regime degli assassini fascisti.
Noi, che siamo rimasti in vita e che siamo i testimoni della brutalità nazista, abbiamo assistito, con una rabbia impotente alla morte dei nostri compagni.
Se c’è qualcosa che ci ha aiutato a sopravvivere è l’idea che la giustizia sarebbe giunta un giorno.
Oggi, noi siamo liberi.
Noi, quelli di Buchenwald, russi, francesi, polacchi, cecoslovacchi, tedeschi, spagnoli, italiani e austriaci, belgi e olandesi, lussemburghesi, rumeni, jugoslavi e ungheresi, abbiamo lottato contro le SS, contro i criminali nazisti, per la nostra liberazione.
Un pensiero ci anima: “La nostra causa è giusta e la vittoria sarà nostra”.
È per questo che giuriamo, in questi luoghi del crimine fascista, davanti al mondo intero, che abbandoneremo la lotta solo quando l’ultimo responsabile sarà stato condannato, davanti al tribunale di tutte le nazioni.
Il nostro ideale è la costruzione di un nuovo mondo, nella pace e nella libertà. Lo dobbiamo ai nostri compagni uccisi e alle loro famiglie. Alzate la mano e giurate per dimostrare che siete pronti alla lotta.»
Il 13 aprile 1945, due giorni dopo la liberazione del campo di concentramento di Buchenwald, gli ex deportati tedeschi e austriaci si riunirono e, alla presenza dei francesi, polacchi, belgi, cechi, danesi, olandesi, italiani, stilarono il “Manifesto dei socialisti democratici dell’ex campo di concentramento di Buchenwald”. Si tratta di un documento particolarmente significativo poiché diede voce a migliaia di deportati che imploravano la costruzione di una Germania e di un mondo libero e democratico.
Le autorità delle SS istituirono Buchenwald, che insieme ai suoi numerosi campi satellite costituì uno dei più grandi campi di concentramento nazisti, nel luglio del 1937.
Situato circa 8 chilometri a nordovest di Weimar, nella Germania centro-orientale, il campo era inizialmente destinato alla detenzione di prigionieri politici e di altre categorie di individui ritenuti scomodi per il regime nazista quali i gruppi etnici Rom e Sinti, i Testimoni di Geova, i criminali comuni e i funzionari dei paesi occupati dai tedeschi.
Dopo più di un anno dall’apertura, nel novembre 1938, all’indomani della Notte dei cristalli, Buchenwald aprì le porte a circa 10.000 uomini ebrei che vennero sottoposti a un trattamento particolarmente duro.
Fu uno dei campi in cui venne maggiormente sperimentato l’annientamento per mezzo del lavoro. Infatti, non risultano prove della presenza di grandi camere a gas in pianta stabile. Lo sterminio avveniva tramite la denutrizione, il lavoro massacrante di quindici ore al giorno, le continue violenze e la diffusione di epidemie dovute alle deplorevoli condizioni igieniche e sanitarie, le quali costarono la vita a un numero cospicuo di prigionieri.
A partire dal 1941, Buchenwald divenne luogo di atroci sperimentazioni da parte di medici e scienziati. Essi si concentrarono principalmente sulle malattie infettive come la febbre gialla o l’influenza utilizzando i detenuti come cavie. Un altro tragico progetto che prese vita nelle mura di Buchenwald fu l’Aktion 14f13, guidato dal dottor Waldemar Hoven. L’Aktion 14f13 aveva lo scopo di eliminare i prigionieri mentalmente disabili e coloro che non erano più idonei a lavorare nei campi perché fisicamente debilitati.
Nel corso del tempo, il numero dei detenuti crebbe rapidamente e in maniera spropositata. Nel febbraio 1945, si arrivò a contare 112.000 persone. All’inizio dell’aprile dello stesso anno, all’avvicinarsi delle forze americane, i tedeschi evacuarono circa 30.000 prigionieri da Buchenwald e dai suoi sottocampi e circa un terzo morì per sfinimento o fucilato dalle SS.
L’11 aprile 1945, sentendo che la liberazione era vicina, i prigionieri si ribellarono al comando tedesco e presero d’assalto le torrette di guardia riuscendo a conquistare il controllo del campo. Più tardi, quello stesso giorno, le truppe americane della US 89th Infantry Division entrarono a Buchenwald trovandovi più di 21.000 sopravvissuti.
In totale, tra il luglio del 1937 e l’aprile del 1945, le SS rinchiusero a Buchenwald circa 250.000 persone provenienti da tutta Europa. La mortalità può solo essere stimata approssimativamente in quanto le autorità del campo non tennero una documentazione regolare, ma si calcola che vennero uccisi circa 56.000 detenuti, dei quali circa 11.000 ebrei.
La solidarietà di alcuni prigionieri più anziani consentì di salvare dallo sterminio un gruppo di 904 bambini e adolescenti, i cosiddetti “bambini di Buchenwald”. Essi vennero nascosti fondamentalmente in due baracche: la numero 8 la numero 66.
Tra i sopravvissuti troviamo Elie Wiesel, Imre Kertész, Yisrael Meir Lau, David Perlmutter, Izio Rosenman, Thomas Geve, Gert Schramm, Stefan Jerzy Zweig e Joseph Schleifstein (questi ultimi i più piccoli d’età) e i giovani ebrei italiani Sabatino Finzi e Gilberto Salmoni.
Per saperne di più, il film Il bambino nella valigia del 2015, diretto da Philipp Kadelbach e tratto dal romanzo Nackt unter Wölfen di Bruno Apitz (1958), è ambientato nel campo di Buchenwald nel marzo 1945. Esso narra la storia di un detenuto di nome Zahariash Jankowski, il quale nasconde in valigia un bambino di tre anni non registrato ai tedeschi. Costretto a separarsi dal suo bagaglio, il piccolo finisce per essere trovato da Hans Pippig, prigioniero che il maresciallo maggiore André Höfel ha preso da tempo sotto la sua ala. Con il favore di Höfel, Hans e i suoi compagni decidono di nascondere Stefan ai nazisti, mettendo a repentaglio le loro stesse vite. Il film si ispira alla vicenda reale di Stefan Jerzy Zweig, uno dei più piccoli bambini sopravvissuti nel campo.
Nel mondo della letteratura, i fatti di Buchenwald sono ricordati in La notte (1958), romanzo autobiografico di Elie Wiesel che racconta le sue esperienze di giovane ebreo ortodosso deportato insieme alla famiglia nei campi di concentramento. Infine, un altro titolo utile per approfondire la vicenda è Essere senza destino (1975), scritto da Imre Kertész, premio Nobel per la letteratura nel 2002.
Stella Merlini
Dottoressa in Storia