100 anni fa la nascita di Héctor Decio Rossetto. Lo scacchista argentino di sangue italiano
Avrebbe compiuto cent’anni, il prossimo 8 settembre, se un infarto improvviso non lo avesse strappato ai viventi, il 23 gennaio del 2009, in una calda giornata porteña, rimanendo così sconfitto nella sua ultima partita: quella giocata con la vita. Stiamo parlando di Héctor Decio Rossetto, il quale, dopo Miguel Najdorf[1], è stato il più importante giocatore di scacchi argentino del suo tempo. Maestro Internazionale dal 1950 e Grande Maestro dal 1960, Rossetto fu uno dei più forti giocatori argentini del periodo 1940-1972, ma anche un uomo che ebbe la fortuna di conoscere e frequentare i grandi personaggi di quell’epoca, fra capi di Stato, attori e attrici ed icone dei movimenti giovanili internazionali, come lo era il compatriota Ernesto “Che” Guevara. Il Rossetto fece parte del c.d. “periodo d’oro” degli scacchi in Argentina, rappresentato da una squadra composta da autentici campioni, guidata proprio dal prima citato Miguel Najdorf e della quale facevano parte Maestri del calibro di Erich Eliskases, Herman Pilnik, Carlos Guimard, Julio Bolbocháne e Oscar Panno. Héctor Decio Rossetto – lo diciamo sin d’ora – vinse cinque volte il Campionato Nazionale (nel 1942, 1944, 1947, 1962 e 1972), ma soprattutto partecipò a ben sei Olimpiadi di scacchi (dal 1950 al 1972), vincendo sei medaglie, tra cui un oro individuale a Helsinki, nel 1952 e tre argenti di squadra. Nelle sue vene, come ci rivela il cognome, scorreva sangue italiano. Questa è la sua affascinante storia di sportivo, ma soprattutto di uomo[2].
Da Bahia Blanca a Buenos Aires (1922 – 1936).
Héctor Decio Rossetto nacque a Bahia Blanca, una delle città argentine ove più massiccia era la presenza di italiani, l’8 settembre del 1922, figlio di Agueda Boni e di Arnaldo Rossetto, oriundi della lontanissima Penisola italiana, essendo di origini piemontesi. Arnaldo era stato, almeno un tempo, un apprezzato giornalista, ma anche un uomo di vasta cultura, drammaturgo e amante della letteratura e della musica[3]. La sua esistenza in Argentina non era stata, tuttavia, sempre idilliaca e felice, soprattutto se pensiamo che suo padre era morto un mese dopo essere arrivato in Argentina dall’Italia, attorno al 1900, per lavorare ad un tratto della ferrovia, a Bahía Blanca. Sua madre, rimasta sola in una terra straniera, dovette badare ai suoi tre figli, cercando di sopravvivere, tra mille difficoltà, pur di non tornare a mani vuote in Italia. Arnaldo aveva allora 15 anni, ma nonostante ciò non si era perso d’animo, almeno in quella circostanza. Per uno strano caso del destino, anche l’infanzia di Héctor non fu certamente felice, avendo perso la mamma, ventisettenne, ancor prima di compiere il suo primo anno di vita. Con il tempo la situazione peggiorò, tanto è vero che il bambino fu costretto ad assistere a quella che per il padre sarebbe stata una “nuova vita”. Arnaldo, che certamente avrebbe potuto raggiungere la notorietà intellettuale, poiché ne aveva le caratteristiche, si lasciò andare completamente al dolore e ben presto, dopo essersi gradualmente ritirato dall’attività professionale, abbandonò anche la passione per l’arte e la cultura. Fu, infatti, quel secondo, durissimo colpo riservatogli dal destino che costrinse Arnaldo ad una resa definitiva. Diventò così un uomo di strada, peraltro rifiutandosi di lasciare il suo unico figlio alle cure della famiglia d’origine. Ecco giustificato il perché Héctor non ebbe modo di andare a scuola, anche se il padre gli avrebbe fatto comunque da insegnante, consentendogli persino di imparare il greco. Arnaldo e suo figlio condussero, quindi, una vita di stenti, tanto è vero che, come ha ricordato in alcune interviste anche Cecilia Rossetto, figlia del celebre scacchista, i due dormivano spesso sulle sedie dei bar che li ospitavano. Quando il figlio ebbe qualche anno in più, Arnaldo si diede ad una sorta di esistenza da bohémien, dedicandosi così alla vita notturna, quella cioè fatta di lunghe notti trascorse nei caffè e nei biliardi. A quel punto anche il giovanissimo Héctor Decio, grazie alla complicità del padre, iniziò a scoprire i segreti dei giochi di carte, dei dadi, del biliardo, ma soprattutto degli scacchi, che di lì a poco si sarebbe trasformato nel suo hobby preferito.
ll ragazzino avrebbe, quindi, imparato inizialmente a giocare agli scacchi guardando proprio suo padre, impegnato ai tavoli del famoso hotel “Central Muñíz”, sito all’angolo fra le Calli Chiclana e O’Higgins. Ben presto, l’aver saputo osservare scrupolosamente i più incalliti giocatori di scacchi, rubandone le mosse più azzardate, consentì ad Héctor di divenire padrone di questo difficile gioco, dimostrando di avere in sé un talento veramente innato. Ebbene fu all’età di 12 anni che Héctor Decio Rossetto si affermò come campione di scacchi della sua città natia, la frenetica Bahia Blanca. Confortato da tale successo, il giovane pensò di “fare il salto di qualità”, al punto da voler tentare il professionismo. In tale direzione si rivelò indispensabile il suo trasferimento nella Capitale. Era il 1936, quando il quattordicenne italo-argentino si spostò a Buenos Aires, onde partecipare alla vita scacchistica porteña, peraltro molto vivace e riconosciuta a livello internazionale. Ma anche quella “svolta” non fu semplice. Per quanto già abituato a tale vita, anche quando giunse a Buenos Aires, Héctor, rimasto nei modi e nel pensiero un ragazzo di strada, per quanto belloccio, essendo biondo e dagli occhi chiari, andò incontro a non pochi ostacoli. Iniziò, quindi, a dormire nei teatri, ovvero a casa di alcune “donne di strada”, le stesse che di tanto in tanto gli passavano anche qualcosa da mangiare, oltre a qualche spicciolo. Ciò finché la sua vita non cominciò a cambiare radicalmente, grazie a qualche sporadico lavoretto, ma soprattutto al gioco degli scacchi[4]. Anche se ci volle del tempo, cinque anni dopo il suo arrivo a Buenos Aires, al culmine, quindi, di una frenetica attività agonistica, troviamo il diciannovenne Héctor Campione dell’Argentina.
L’attività agonistica e la celebrità (1936 – 1972).
Qualche anno dopo, Héctor fu raggiunto a Buenos Aires proprio dal padre Arnaldo, che purtroppo, nel frattempo, si era ammalato di cancro. L’uomo sperava di potersi curare, forse in un estremo tentativo di attaccarsi ad un’esistenza che solo adesso, con il successo riscosso dal figlio, sembrava essere mutata. Il maestro di vita e di scacchi della giovane promessa argentina, ma anche l’instancabile insegnante, traduttore, editore di giornali, scrittore e amante della lirica e del nostro Giuseppe Verdi, sarebbe poi morto nella stessa Capitale, nel settembre del 1941, nel pieno di quella 2^ Guerra Mondiale che tanti lutti stava procurando anche alla sua Patria natia, la nostra Italia. Quattro anni dopo, nel 1945, Héctor si recò negli Stati Uniti per partecipare a un torneo panamericano. Ne rimase completamente affascinato, tanto che il suo soggiorno fu ritardato di altri sei mesi. Fu, quella, anche l’occasione per conoscere il fantastico mondo di Hollywood, che lo colpì fortemente, al punto da farlo tornare più volte nel corso degli anni futuri. Come ci ricordano i biografi del Rossetto, fu proprio nel “Tempio del Cinema” mondiale che Héctor divenne amico di grandi attori del momento, quali Humphrey Bogart, con il quale condivise notti, drink e soprattutto il gioco degli scacchi, ma anche di Marlene Dietrich, Charles Boyer, Carmen Miranda, Margarita Xirgú e Bing Crosby. Il mondo del cinema lo eccitava moltissimo, tanto da volersi cimentare come artista. Accettò, quindi, di interpretare ruoli secondari in alcuni film. Ma la nostalgia per Buenos Aires ebbe ben presto il sopravvento sulla mondanità e su quel genere di vita, che in verità gli apparteneva solo in parte. Fu così che il giovane fece ritorno in Argentina, ove riprese il ruolo di giocatore professionista, e non solo quello.
Tornato in Patria, lo scacchista si unì, infatti, in matrimonio con Oneida Alicia Irigoita, dalla quale avrebbe avuto due figli, Cecilia ed Hector Pablo. In realtà sarebbe stato proprio il gioco degli scacchi che avrebbe permesso ad Héctor Decio Rossetto di viaggiare per il mondo e, quindi, come si evidenziava in premessa, di fare amicizia anche con personaggi politici allora molto importanti, quali Ernesto “Che” Guevara, che il Rossetto conobbe a Cuba nel 1964, in occasione del celebre torneo “Capablanca Memorials”. Fu egli stesso, in una delle sue rare interviste, a ricordare che ciò era avvenuto nel bel mezzo di una partita con il Maestro Silvino García. Fu lo stesso Che, anche lui appassionato di scacchi, a confessargli di essere stato un suo fan, e ciò sin da quando Héctor giocava partite veloci presso la pasticceria “Rex”, in Corrientes Avenue, sempre a Buenos Aires. Da quel giorno nacque tra i due un’amicizia, che il Maestro Rossetto avrebbe portato nel proprio cuore fino all’ultimo giorno di vita, peraltro rinvigorita sia da una vecchia foto che li ritraeva che da un prezioso dono ricevuto proprio dal famoso guerrigliero.
Tra i suoi ricordi più cari vi era, infatti, una scatola di legno, dove riporre i pezzi degli scacchi, con la leggenda “III Magistral Capablanca” e il nome Héctor Rossetto, regalatagli a Cuba proprio da Che Guevara. Tornando alla sua professione ricordiamo – in linea generale – che Héctor Rossetto rappresentò l’Argentina in sei Olimpiadi di scacchi: Jugoslavia, Finlandia, Olanda, Bulgaria, Svizzera e Macedonia, classificandosi secondo a Dubrovnik (1950), Helsinki (1952) – in quella circostanza vinse anche la medaglia d’oro come miglior 4^ tavola – e Amsterdam (1954).Tra gli altri migliori risultati che lo avrebbero reso celebre vi furono i seguenti: 1º a Mar del Plata, nel 1949, 2º-3º a Mar del Plata, nel 1950, 1º a Rio de Janeiro, 1º a Barcellona, 1º a Tarragona, 1º-2º a Mar del Plata, nel 1952, 2º-3º al torneo zonale del Sud America, ottenendo l’ammissione al torneo interzonale di Portorose, nel 1957, 1º Montevideo, 2º-4º a Santa Fe, 2º-5º a Mar del Plata, nel 1961. Nello specifico è importante, invece, ricordare che nel 1950, lo scacchista italo-argentino aveva conseguito il titolo di Maestro Internazionale, partecipando con grande successo alla prima citata Olimpiade di Dubrovnik, ove avrebbe conosciuto il Maresciallo Tito. A tal riguardo i suoi biografici ci ricordano che fu proprio in quella circostanza che la squadra olimpica argentina, prima di raggiungere la Jugoslavia, fu ricevuta da Evita Perón, la quale, nel raccomandare agli scacchisti di tornare vincitori, promise loro di finanziare un tour sportivo in diversi Paesi, ovviamente dopo le Olimpiadi, promessa che la Presidenta mantenne regolarmente. I suoi successi perdurarono per gran parte di quel decennio, mentre fu nel 1958, in occasione dell’Internazionale di Portorose che scoprì il talento di un giovanissimo Bobby Fischer, con il quale terminò la partita in pareggio, per poi diventare amici per sempre. Due anni dopo, nel 1960, Héctor Rossetto sarebbe diventato Gran Maestro. E fu proprio in quella stessa circostanza – che coincideva fra l’altro con il 150° anniversario della “Revolucion de Mayo” – che si era tenuto a Buenos Aires il Magistrale di scacchi, nel corso del quale Héctor si concesse il lusso di battere il russo Víctor Korchnoi, vincitore di quell’evento. Fu, infine, nel 1972 che Rossetto vinse il suo quinto, ma anche ultimo campionato argentino.
L’epilogo di un Grande Maestro (1972 – 2009).
Pian piano, come del resto succede ai grandi uomini dello sport, Héctor Decio Rossetto iniziò ad allontanarsi dal professionismo, dedicandosi completamente alla famiglia. Ma la sua fama non lo abbandonerà mai. In occasione delle Olimpiadi di scacchi di Buenos Aires, nel 1978, gli venne, infatti, affidata la direzione del torneo, incarico che il Grande Maestro assolse egregiamente, ossequiato e riverito dai tanti Maestri e giocatori giunti da ogni angolo della Terra, felici di aver finalmente conosciuto un vero campione di quel magnifico gioco. Del resto il “Palmares” di Rossetto parlava chiaro, includendo vittorie contro ex campioni del mondo, quali Alexander Alekhine e il dottor Max Euwe, così come altri grandi, come B. Ivkov, L. Pachman, W. Uhlmann, O. Panno e molti altri ancora. Come si ricordava in premessa, Héctor Decio Rossetto, circondato dalla sua famiglia, morì a Buenos Aires il 22 gennaio del 2009, ottantasettenne, a causa di un arresto cardiorespiratorio. La notizia portò sgomento in tutto l’Argentina, ma soprattutto nel mondo scacchistico internazionale, che mai aveva smesso di ricordare le sue epiche gesta. Anche per tale ragione, la veglia funebre si tenne nelle sale del “Club Argentino de Ajedrez” di Buenos Aires, ove gli avrebbero reso omaggio molte personalità del Paese, ma soprattutto insegnanti internazionali e giocatori, oltre naturalmente ad un gran numero di fan: gli stessi che il giorno seguente gli avrebbero dato l’ultimo saluto. Freddo e ludicissimo, come lo sono tradizionalmente i giocatori di scacchi, il grande Rossetto aveva pianificato già in vita, sia i dettagli delle esequie che della relativa sepoltura. Durante i funerali il momento più emozionante fu quando sua figlia, l’amata Cecilia, attrice e cantante di grandissimo successo, intonò, in onore del padre, i versi della sua canzone preferita, la struggente “Canción de las simples cosas” , un omaggio sincero a quella che in effetti era stata una vita semplice, almeno secondo il punto di vista di Héctor Decio Rossetto, anche se a noi appare, invece, come una vita straordinaria e, per certi versi, incredibile.
Col. (a) Gerardo Severino
Storico Militare
Vincenzo Grienti
Giornalista
[1] Miguel Najdorf nacque a Varsavia il 15 aprile 1910 e morì a Malaga il 4 luglio 1997. È stato un Grande Maestro di scacchi argentino, membro di una famiglia di ebrei polacchi trapiantata in Argentina.
[2] Per maggiori dettagli vgs. Chicco Porreca, Dizionario enciclopedico degli scacchi, Milano, Mursia Editore, 1972.
[3] Appassionato di Giuseppe Verdi, Arnaldo aveva pubblicato un testo di circa 200 pagine, con le quali, nell’interpretare l’opera del grande compositore italiano, fornì al lettore nuovi spunti di ricerca e conoscenza.
[4] Sembrerebbe che di nascosto il giovane accettasse anche le scommesse su chi vinceva la partita, potendosi così autofinanziare il classico tozzo di pane.