Giorni di Storia

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7 settembre 1943. L’affondamento del sommergibile Velella e la morte del piccolo “scheggia”

Ricorre, in questi giorni, l’ottantesimo anniversario di uno storico giorno: la proclamazione ufficiale della firma dell’Armistizio, avvenuta il 3 settembre 1943 a Cassibile, in Sicilia, ma annunciata dal generale Pietro Badoglio soltanto cinque giorni dopo, alle ore 19.42 dell’8 settembre [1], così come avevano chiesto i nuovi Alleati. Nell’inevitabile dramma che, sia in Patria che nei vari fronti di guerra, colpì il popolo italiano a seguito di tale circostanza, va inserita anche la terribile fine toccata al Velella, un glorioso sommergibile della Regia Marina. Questo fu infatti affondato al largo di Punta Licosa, a circa 5 miglia a ovest dell’omonimo promontorio con il quale termina il Golfo di Salerno, il 7 settembre 1943, un giorno prima della resa del nostro Paese agli Anglo-americani. Autore dell’attacco fu il sommergibile inglese Shakespeare che stazionava in zona con compiti di radiofaro in favore delle navi che di lì a poco avrebbero trasportato le unità della V^ Armata americana in procinto di sbarcare fra Agropoli e Salerno (trattasi della nota operazione “Avalanche”).

Il sommergibile Velella in navigazione di superficie (Foto: collezione Gerardo Severino)

7 settembre 1943, la fine di un eroico sottomarino italiano

Nel settembre del 1943 il Velella, varato nel 1937 nei Cantieri Navali di Monfalcone e destinato alla 42^ Squadriglia Sommergibili di Taranto, si trovava ormeggiato nel porto militare di Napoli. L’unità, in quella che sarebbe stata la sua ultima missione, aveva ricevuto l’ordine, nell’ambito del “Piano Zeta”, di sbarrare il percorso a un convoglio nemico che stava risalendo le coste tirreniche alla volta di Salerno[2]. Il Velella salpò dunque da Napoli in quel fatidico 7 settembre per non farvi mai più ritorno. Da quella data e sino al 1948 dell’equipaggio del Velella, compreso il gattino Scheggia, mascotte del battello, non si seppe più nulla. Ricordiamo brevemente la cronaca di quell’epilogo, precisando che fu solo nel 1948, appunto, in una Commissione militare anglo-italiana, che si conobbe la sorte del Velella. Il sommergibile aveva avuto, infatti, la sventura di incrociare proprio nei pressi di Punta Licosa una squadra navale della Royal Navy composta da due incrociatori, un cacciatorpediniere e un sommergibile.

Il mare di Castellabate dove si consumò la tragedia del Velella

Il convoglio italiano aveva deciso di ingaggiare battaglia nonostante l’inferiorità numerica per adempiere con coraggio al proprio dovere militare. Erano le ore 19.53 del 7 settembre quando il Velella e il Benedetto Brin – che si dirigevano verso sud-ovest naviganti in emersione e alla distanza di circa un miglio l’uno dall’altro – passarono accanto al sommergibile inglese Shakespeare. Dei due sottomarini italiani quello a est dello Shakespeare, il Benedetto Brin, non si distingueva sullo sfondo ormai scuro della costa, mentre il Velella, che dal lato occidentale si stagliava contro gli ultimi bagliori del crepuscolo, era facilmente individuabile e  raggiungibile[3]. Fu così che alle ore 20.03 il sommergibile inglese, almeno secondo il resoconto del suo comandante, scagliò contro il Velella ben sei siluri, quattro dei quali colpirono l’obiettivo, affondandolo, nella posizione di 40° 15′ N e 14° 30′ E. Questa, purtroppo, fu la fine toccata all’unità navale italiana che, così, passò alla storia per un triste primato, quello di essere stato l’ultimo sommergibile italiano perduto nella guerra contro gli Alleati[4]. Nessuno dei 51 uomini dell’equipaggio (il comandante, il Tenente di Vascello Mario Patané, 5 altri ufficiali e 44 fra sottufficiali e marinai) si salvò, così come non si salvò il micetto Scheggia che da tempo ormai allietava la triste vita di bordo[5]. All’affondamento del Velella, a questo punto per “mano amica”, seguì  l’operazione “Avalanche”, iniziata il 9 settembre  1943, che aveva come obiettivo la liberazione di Napoli e l’avanzata verso il Nord.

Il comandante e gli ufficiali del sommergibile Shakespeare

Conclusione

Non tutti sanno che, quasi sei ore dopo il sacrificio di Patané, dei suoi marinai e del graziosissimo Scheggia, il Generale Eisenhower da Radio Algeri annunziava al mondo intero l’avvenuta firma dell’armistizio con l’Italia. Secondo alcuni storici militari quando il Generale Castellano firmò la resa incondizionata a Cassibile cinque giorni prima, lo fece probabilmente all’insaputa dei vertici della Regia Marina, ivi compreso lo stesso Ministro della Marina, Ammiraglio Raffaele de Courten il quale, a quel punto, avrebbe osservato appieno il citato “Piano Zeta”. L’affondamento del sommergibile Velella fu, dunque, un sacrificio inutile e certamente evitabile se solo il Generale Badoglio avesse avvertito in tempo i vertici delle tre Forze Armate. I 51 marinai del Velella e la loro mascotte a quattro zampe si addormentarono per sempre nella consapevolezza di aver adempiuto fino in fondo al proprio dovere ma, questa volta, di aver avuto purtroppo la peggio nella guerra degli abissi. Per molti anni i resti del sommergibile furono cercati in lungo e in largo sia dai marinai del posto che dagli archeologi del mare. Solo il 13 maggio del 2003, a quasi sessant’anni dal suo sacrificio, il relitto del Velella fu individuato da un gruppo di esperti e coraggiosi subacquei (capeggiati da Rizia Ortolani) a circa 8-9 miglia da Punta Licosa, a 138 metri di profondità e ancora pressoché intatto. Da allora, nonostante non fosse stato mai dimenticato soprattutto dagli abitanti di Castellabate e dalla benemerita Sezione locale dell’Associazione Nazionale Marinai d’Italia, il Velella è stato al centro di importanti cerimonie e il suo nome onora oggi il porto di San Marco di Castellabate.

Il crest del sommergibile Velella

Ci piace pensare che in Paradiso, ove sicuramente albergano quegli sfortunati marinai caduti ottant’anni orsono, scondinzoli anche il piccolo Scheggia, una delle tantissime bestioline domestiche che persero la vita in quell’immane tragedia che fu la Seconda guerra mondiale; animaletti molto spesso morti assieme ai loro padroni sia sui fronti di guerra che all’interno di case bombardate e ai quali, purtroppo, la storia non fa quasi mai cenno. Impossibile affermarlo con certezza, ma è probabile che lo stesso gattino sopravvisse per qualche ora nella camera stagna del sommergibile, allietando così gli ultimi momenti di vita dei pochi superstiti della micidiale esplosione. Scheggia, gioiosa creatura che saltava da una branda all’altra in cerca di coccole e amico fedele di quelle 51 vite spentesi così tragicamente, non poteva sperare di finire diversamente i suoi giorni. Salpò, quindi, anche lui verso la meta celeste, tenendo così compagnia al Tenente Patanè, impegnato al timone del Velella nella sua ultima missione di guerra…

Alcuni membri dell’equipaggio del Velella

Col. (a) GdF Gerardo Severino
Storico militare

 

[1] Dagli studi romani dell’EIAR (l’odierna RAI).

[2] Sull’argomento vgs. Giuliano Manzari, La partecipazione della Marina alla Guerra di Liberazione (8 settembre 1943 – 15 settembre 1945), in <<Bollettino D’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare Italiana>>, Roma, 2015, p. 9.

[3] Brano tratto da Gerardo Severino, La punta e l’isola di Licosa nella storia militare, marittima ed economica d’Italia, Acciaroli, Edizione Centro di Promozione Culturale per il Cilento, giugno 2016.

[4] Il “Velella”, nel solo Mar Mediterraneo aveva svolto ben 16 missioni offensivo-esplorative e 14 di trasferimento, per un totale di 19.430 miglia di navigazione in superficie e 2441 in immersione.

[5] Cfr. Gerardo Severino, L’ultima missione del Velella, in <<Eserciti nella Storia>>, numero di novembre 2000.