Punta Licosa e il Golfo di Salerno nei piani dell’U-boot tedesco “U.C. 53”
In un precedente numero abbiamo trattato della “guerra dei convogli”, raccontando, in particolare, le vicende accorse al Piroscafo “Adda”, rimasto incagliato sulle secche di Licosa, in provincia di Salerno, credendo di essere stato preso di mira – e a ragione, possiamo affermarlo oggi – da un sommergibile nemico. In effetti, l’episodio non fu mai chiarito a sufficienza dai vertici militari, e ciò anche perché, ad una manciata di mesi, il Paese sarebbe stato coinvolto in una tragedia ben più grande: Caporetto. Anche se in quella circostanza non si ebbe la possibilità di appurare la nazionalità del sottomarino avvistato in emersione a Licosa, unitamente al veliero che lo aveva affiancato, bisogna ricordare che il Golfo di Salerno non era stato certo risparmiato dall’azione nefasta dei sommergibilisti austro-ungarici, i quali non erano nemmeno estranei a veri e propri atti di pirateria. Esso – lo evidenziamo ancora una volta – rappresentava in effetti l’anticamera difensivo non solo del Golfo di Napoli, ma addirittura delle coste Laziali, peraltro molto prossime alla stessa Capitale del Regno, centro nevralgico del potere. Colpire i convogli e in generale i mercantili in cabotaggio, attraverso il posizionamento delle mine di profondità era stato uno degli obiettivi primari delle Marine Austriaca e Tedesca. Ce lo ricorda Tommaso Cobellis, in un suo articolo del 30 novembre 1925, dal titolo “Visione Totalitaria”, nel quale lamenta l’arretratezza in cui versava allora il Cilento sul fronte dei trasporti, nel contesto del quale evidenziò che: <<La linea litoranea, così detta Eboli – Reggio, oltre che rimanere lontanissima dai centri abitati, non è idealmente adatta ad essere difesa in tempo di guerra pur servendo al trasporto di ingenti materiali e di truppe dalla Calabria e dalla Sicilia, come si è dovuto constatare durante l’ultima guerra, prestandosi ad essere facilmente interrotta dal mare, mediante l’impiego opportuno di sottomarini>>[1]. Mentre le navi passeggere o mercantili che navigavano in acque internazionali rimasero vittime dei siluri, quelle in cabotaggio, che per loro caratteristica seguivano la costa, saltarono in aria proprio grazie alle micidiali bombe a riccio, che tuttora, talvolta, emergono dalle profondità del Golfo di Salerno, nonostante le bonifiche eseguite a partire dal 1919. Quella che presentiamo è una storia inedita, grazie alle quale scopriremo chi mise a segno questo grande “smacco” alle autorità marittime del Regno d’Italia, nonostante il ferreo servizio di vigilanza posto in essere anche in quel tratto del Tirreno. Pochi sanno, infatti, che, nonostante la vigilanza eseguita sia da terra che da mare, i sommergibilisti tedeschi, difficilmente individuabili durante la navigazione subacquea, riuscirono a collocare un non meglio precisato numero di mine proprio a Punta Licosa, così come ci conferma il grafico “Campi minati e difese costiere esistenti alla fine della guerra”[2].
Il sottomarino (U-boot) U.C. 53 della Marina imperiale Germanica
Il posizionamento delle mine nella vasta area costiera rappresentata dal Golfo di Salerno, anche se in realtà i sommergibilisti tedeschi si erano spinti più a Sud, circoscrivendo addirittura l’intera Sicilia, avvenne nel corso dell’estate del 1917, come cercheremo di documentare a breve. Ma, prima di farlo, forniremo qualche dato storico proprio sul sottomarino che si rese protagonista di tale opera. Stiamo per parlare del SM UC-53, un (U-boot) sottomarino posamine di tipo UC II della Marina imperiale tedesca, impostato in cantiere il 12 gennaio 1916 e varato il 27 febbraio del 1917[3]. L’UC-53 aveva un dislocamento di 434 tonnellate (427 tonnellate lunghe) in superficie e 511 tonnellate (503 tonnellate lunghe) in immersione. Una lunghezza complessiva di 52,69 m (172 piedi 10 pollici), una larghezza di 5,22 m (17 piedi 2 pollici) e un pescaggio di 3,64 m (11 piedi 11 pollici). Ben 26 erano gli uomini che ne componevano l’equipaggio[4]. Durante la sua breve esistenza, l’U-boot U.C. 53 si rese protagonista dell’affondamento o comunque danneggiamento di ben 47 navi (13 delle quali di bandiera italiana), e ciò sia attraverso i propri siluri che con le mine da esso stesso posizionate nei fondali dei Paesi nemici. Entrato in servizio il 5 aprile 1917, il successivo 24 luglio, mentre operava ancora lungo le coste italiane, fu assegnato alla “Flottiglia Sommergibili del Mediterraneo”, costituita il precedente 1° giugno sulle ceneri della precedente “Flottiglia Sommergibili Pola”, alla quale l’unità era stata assegnata al momento del varo. Inizialmente avrebbe operato da Pola e Cattaro, per poi spaziare in tutto il Mediterraneo. Allorquando la Flottiglia fu nuovamente divisa (il 1° gennaio 1918), il sottomarino fu unito alla “2^ Flottiglia Sommergibili del Mediterraneo”, con sede sempre a Cattaro. L’UC-53 fu affondato dal suo stesso equipaggio a Pola, dopo la resa dell’Austria-Ungheria, il 28 ottobre del 1918.
Il minamento navale da parte tedesca
La Marina Imperiale Tedesca, lo ricordiamo, fu la prima a utilizzare le mine navali, mediante l’uso delle Torpediniere, dei Sommergibili e delle c.d. “navi corsare”, velieri o barche a motore apparentemente innocue, ma che a bordo celavano il “micidiale carico”. Nel prosieguo del conflitto anche gli altri Paesi belligeranti fecero ricordo a veri e propri “campi minati”, sia a scopo difensivo, volendo evitare assalti a importanti postazioni militari, sia offensivo. In questo secondo caso si può parlare di “Campi minati da blocco”, i quali servivano per impedire il movimento delle navi dell’avversario, ed erano costituiti con sbarramenti che una delle due nazioni andava ad affondare di fronte alle principali vie di comunicazione o ai porti dell’avversario. Questi campi di mine venivano ancorati per mezzo di apposite navi di superficie, che si chiamavano “affondamine,” oppure anche per mezzo di sommergibili appositamente costruiti, come lo era il C.U. 53, nei casi in cui, come successe a Punta Licosa, l’area geografica era fortemente presidiata.
Il “campo minato” di Capo Licosa (giugno – settembre 1917)
Entrato in azione il 27 maggio dello stesso 1917, l’U.C. 53 operò inizialmente nel Mediterraneo del Sud, posizionando mine di profondità in varie località, ma soprattutto affondando tutto ciò che navigava, sia in superficie che negli abissi. Il 12 giugno si trasferì lungo le coste del Portogallo, posando mine nei pressi del Capo di Santa Maria, per poi rientrare a Cattaro il successivo 15 di giugno. Ripreso il largo sul finire dello stesso mese, il 24 giugno, sempre del 1917, l’U-boot tedesco si portò nei pressi dello Stretto di Bonifacio, tra la Corsica alla Sardegna, disseminando quelle acque di non pochi ordigni di morte. Qualche giorno dopo fece ritorno lungo le coste Continentali d’Italia, operando a Monte Circello[5]. Sul finire del mese, l’U.C. 53 minò, quindi, il Capo della Licosa, posizionando tre mastodontiche mine[6], per poi raggiungere, per lo stesso scopo, l’Isola del Giglio, Portoferraio, Capo del Vaticano, di nuovo la Provincia di Salerno, esattamente Capo Palinuro, poi Napoli, Scalea, lo Stretto di Messina e così via.
Una seconda missione a Licosa si sarebbe verificata il 18 agosto, allorquando silurò il mercantile inglese “Canara”, partito da Napoli alla volta di Orano (Algeria). Attaccato a 3 miglia a sud-ovest di Capo Licosa, il mercantile non affondò, pur perdendo 9 uomini d’equipaggio a causa dell’esplosione[7]. E fu proprio in questa circostanza che il sottomarino tedesco si salvo per miracolo dall’esplosione fortuita di una delle mine che stava posizionando[8]. Una terza “capatina” a Licosa, il C.U. 53 la eseguì sul finire del settembre successivo, assistito questa volta da una nave corsara, dovendo riposizionare le mine di profondità, nel frattempo rimosse dal servizio di dragaggio incessantemente eseguito dai Dragamine e Rimorchiatori della Regia Marina e della Regia Guardia di Finanza. E fu proprio il 20 settembre 1917, come abbiano già ricordato nel precedente articolo, che l’-U.C. 53, reduce dall’affondamento del piroscafo “Teresita”, avvenuto il giorno 19 a Nord della Corsica, colse di sorpresa il Piroscafo “Adda”, il quale rischiò seriamente di affondare, come abbiamo ricordato nel precedente contributo storico. Aggiungiamo, a completamento dello stesso articolo dedicato alle disavventure del piroscafo italiano, che il sottomarino tedesco U.C. 53 si trovava, in quel preciso momento intento evidentemente a caricare provviste di bordo, ivi comprese anche le micidiali mine. Il non ingaggiare combattimento con le unità della Regia Marina italiana che navigavano in convoglio fu una decisione saggia, anche a tutela del lavoro di minamento sin lì compiuto. Ecco spiegata, dunque, la ragione per la quale sia il sottomarino che il veliero (era, in verità, la nave corsara di cui parlavamo prima) suo complice non innalzavano bandiera di nazionalità, né tantomeno si fermarono a soccorrere il piroscafo “Adda”.
Conclusioni
Laddove non produsse effetti diretti, la “nefasta” opera di posizionamento delle mine a riccio lungo le coste Meridionali, ci pensò la stessa “guerra sottomarina”, che interessò massicciamente anche la Provincia di Salerno (ricordiamo da Capo Licosa a Capo Palinuro) e che avrebbe comportato la perdita di non poche imbarcazioni già a partire dallo stesso 1917. E fra le navi colpite vi furono il brigantino-goletta “Carlo T”, del Compartimento Marittimo di Viareggio, della Ditta ”Magrini & C.”, colato a picco da un siluro il 28 marzo, a largo di Capo Palinuro, nonché il piroscafo mercantile “Enna” (1001 tonnellate di stazza, varato nel 1874), appartenente al Compartimento Marittimo di Palermo, di proprietà della Società armatrice “Sicilia”, affondato da un sommergibile tedesco il 25 novembre, al largo di Punta Acciaroli, anche se fortunatamente si registrò la scomparsa di un solo uomo d’equipaggio[9]. In ogni caso, dopo la fine della guerra, l’opera di dragaggio fu estremamente complessa, perdurando per tutto il 1919, tenendo peraltro presente che in tutto l’arco temporale nel quale operarono, i sommergibilisti austro-ungarici avevano collocato ben 5.946 mine lungo tutta la Penisola italiana, isole comprese, ma con esclusione di quelle Adriatiche, area massicciamente presidiata dalle Forze italiane, sia a terra che a mare. In verità, esplosioni di mine e sciagure in mare, specie nei pressi delle secche di Punta Licosa, a causa di esse si protrassero per molti decenni, persino nei primi decenni del 2° dopoguerra, allorquando furono recuperate dai nostri pescatori e poi fatti brillare dagli esperti della Marina Militare non pochi residuati di chiara matrice tedesca. Ma questa è un’altra storia…
Col. (a) GdF Gerardo Severino
Storico Militare
[1] Cfr. Nicola Cobellis (a cura di), <<La Voce del Cilento”, Salerno, Tipografia Raffaello Beraglia, 1927, p. 57.
[2] Cfr. Angelo Ginocchietti, La guerra sul mare, Roma, Libreria del Littorio, 1930, p. 242.
[3]Cfr. Guide to the Microfilmed Records of the German Navy, 1850 – 1945, N. 1 – U-boots and T. Boats 1914 – 1918, Washington, National Archives and Records Service, 1984, pp. 104 e 105.
[4] Il sottomarino era alimentato da due motori diesel a quattro tempi a sei cilindri, ciascuno dei quali produceva 290–300 cavalli metrici (210–220 kW; 290–300 shp) (per un totale di 580–600 cavalli metrici (430–440 kW; 570–590 shp)), due motori elettrici che producevano 620 cavalli metrici (460 kW; 610 shp) e due alberi di trasmissione. Aveva un tempo di immersione di 48 secondi ed era in grado di operare a una profondità di 50 metri (160 piedi). Il sottomarino poteva viaggiare ad una velocità superficiale massima di 11,8 nodi (21,9 km/h; 13,6 mph) e una velocità in immersione di 7,2 nodi (13,3 km/h; 8,3 mph). Una volta immerso, poteva operare per 56 miglia nautiche (104 km; 64 mi) a 4 nodi (7,4 km / h; 4,6 mph), mentre in superficie poteva percorrere da 8.820 a 9.450 miglia nautiche (da 16.330 a 17.500 km; da 10.150 a 10.870 mi) a 7 nodi (13 km / h; 8,1 mph). Esso era dotato di sei tubi mine da 100 centimetri (39 pollici), diciotto mine UC 200, tre tubi lanciasiluri da 50 centimetri (20 pollici) (uno a poppa e due a prua), sette siluri e uno da 8,8 cm (Cannone da ponte UK L/30 da 3,5 pollici).
[5] L’unità si trovava, sin dal precedente 5 aprile, al comando del Kapitänleutnant Kurt Albrecht, un giovane ufficiale nato a Magdeburg il 2 gennaio del 1887, entrato nella Marina Imperiale il 1° aprile del 1906. Il Capitano Albrecht morì in combattimento, nel Mediterraneo Occidentale il 18 giugno del 1918.
[6] Cfr. Luigi Ravenna – Mario Di Losa, Il traffico marittimo, Vol. I., Roma, Ministero della Marina – Ufficio Storico, Vol. I, 1932, pp. 209.
[7] Rimorchiato nel porto di Napoli, ove fu riparato, il mercantile riprese subito dopo la sua missione.
[8] Cfr. Ufficio Storico della Regia Marina, La Marina italiana nella Grande Guerra, Vol. V, Roma, 1939, p. 438.
[9] Cfr. Luigi Ravenna – Mario Di Losa, op. cit., pp. 284 e 285.