Carlo Vicari. L’ultimo comandante della truppa di Finanza Pontificia
Il 17 settembre del 1870, in previsione della liberazione di Roma, l’allora Direzione Generale delle Gabelle del Regno d’Italia, per ordine del Ministro delle Finanze, On. Quintino Sella, mobilitò un contingente di Guardie Doganali, in atti definito “Forza Doganale Mobilizzata”. Il contingente, ripartito su quattro Compagnie, fu posto al comando dell’Ispettore delle Gabelle di 3^ classe Cesare Paghini, un ufficiale superiore appositamente inviato a Civitavecchia (luogo prefissato per la radunata generale) da Venezia, ove si trovava alla direzione della locale Ispezione delle Gabelle. Le prime tre Compagnie, poste organicamente a disposizione della 2^ Divisione Militare, comandata dal Generale Nino Bixio, risultarono così articolate: 1^ Compagnia al comando del Tenente di 2^ classe Spedalieri Luigi, già comandante della Luogotenenza di Scandriglia (Umbria); 2^ Compagnia al comando del Sottotenente Fenici Pietro, già comandante della Luogotenenza di Narni; 3^ Compagnia al comando del Sottotenente Melani Averardo, già comandante della Luogotenenza di Orbetello. Le tre Compagnie risultarono composte rispettivamente da 72 guardie doganali (fra sottufficiali e guardie semplici), la maggior parte delle quali tratte dalle Brigate di frontiera al confine pontificio. Vi era, infine, una 4^ Compagnia, al comando del Tenente Bisi Giovan Battista, già comandante della Luogotenenza di Pontecorvo, ma soprattutto uno dei “Mille” di Garibaldi.
Il reparto, composto anch’esso da una settantina di finanzieri, fu inviato, invece, a Velletri, a disposizione della 9^ Divisione Militare (Generale Angioletti). Armati ed equipaggiati per gli impieghi di guerra, i finanzieri furono riuniti tutti a Narni, da dove, secondo la testimonianza dello Spedalieri, raggiunsero il 20 settembre, la stazione ferroviaria di Orte[1]. Il mattino del 21 settembre, la “Forza Doganale Mobilizzata” partì in marcia alla volta di Viterbo, ove, giunti in serata, fu accolta dal Commissario Regio, Comm. Poggi, e da una “Musica” (lgs. Banda Musicale), alla quale facevano eco le grida: “Viva la Finanza Italiana”. Il giorno seguente, il piccolo contingente proseguì a piedi in direzione di Corneto, l’odierna Tarquinia. Da qui, tramite ferrovia, raggiunse Civitavecchia, ove ad attenderlo vi era l’Ispettore Paghini, che lo passò in rivista. Dalle memorie del Tenente Spedalieri apprendiamo che il 23 settembre gli furono consegnati, dal Comandante del Piroscafo di Finanza “Roma”, tutti i battelli della Marina di Finanza Pontificia, mentre da parte del Comando Genio Militare, che nel frattempo aveva preso alloggiamento presso l’ex Comando della Guarnigione francese, furono consegnati alle guardie doganali italiane tutti i “corpi di guardia” delle ormai ex guardie di finanza pontificie esistenti lungo la cinta portuale[2].
Nei giorni che seguirono, le guardie doganali stanziate a Civitavecchia furono adibite al servizio di vigilanza degli obiettivi militari, ma soprattutto nei servizi di ordine pubblico, alle dipendenze dell’Ispettore di Pubblica Sicurezza, Cav. Antonio Santagostino. Gran parte di tale contingente, sotto il comando dello stesso Ispettore Paghini, si trasferì poscia nella Città Eterna nei giorni che seguirono immediatamente la liberazione (probabilmente già il 22 settembre), impiegati, quindi, in servizi di ordine pubblico, in ausilio ai 150 Carabinieri Reali che avevano seguito il Corpo di Spedizione. Ebbene, uno dei primi atti formali fu quello di prendere in consegna le caserme, gli archivi, l’armamento e quant’altro era appartenuto alla disciolta Guardia di Finanza Pontificia. Il passaggio di consegna fu personalmente eseguito dal Maggiore Carlo Vicari, in quel frangente Ispettore Superiore in Capo della Truppa, di fatto l’ultimo comandante del Corpo, a 84 anni dalla sua fondazione. Al Maggiore Vicari, cui dedichiamo il presente saggio, in occasione dei 250 anni di fondazione della Guardia di Finanza, si devono alcuni importanti documenti, sottoscritti in data 24 settembre 1870, dai quali emergono notizie interessantissime sia riguardo al personale, alla composizione ed alla dislocazione dei reparti, ma anche riguardo alla citata Marina di Finanza Pontificia, un vero fiore all’occhiello della Reverenda Camera Apostolica[3].
Da Bologna a Roma. Uno sbirro dalle idee liberali (1803 – 1859)
La vicenda umana e professionale di Carlo Vicari, l’ultimo soldato pontificio che dismise la gloriosa uniforme della Truppa di Finanza Pontificia, il Corpo che vantava, già allora, il prestigio di essere stata una delle più remote Milizie Doganali sorte in Italia (il Corpo nacque nel 1786, quindi 12 anni dopo la Legione Truppe Leggere) ebbe inizio a Bologna. Fu proprio qui, nella città appartenente allo Stato Pontificio (Legazione Apostolica di Bologna) che in un non meglio noto giorno dell’anno di grazia 1803 venne alla luce il piccolo Carlo Vicari, figlio del Dottor Filippo, di storica e benestante famiglia bolognese, titolare di un’affermata farmacia, e di sua moglie, Anna Cristi. Carlo Vicari avrebbe vissuto gran parte della vita nella “Città Dotta”, che in seguito avrebbe lasciato, attorno ai primi anni Venti, entrando a far parte dei Carabinieri Pontifici. Il Corpo era stato istituito da Papa Pio VII, con Notificazione del 16 luglio 1816, ed era distribuito capillarmente in tutte le Legazioni dello Stato della Chiesa. Non avendo a disposizione lo “Stato di Servizio” dell’ufficiale in parola, non possiamo ricostruirne analiticamente la carriera, almeno sino al congedo, intervenuto sul finire del 1858. I dati più remoti ci portano, pertanto, al lontano 1831, allorquando l’allora ventottenne Tenente dei Carabinieri Carlo Vicari è uno degli ufficiali dello Squadrone di stanza a Pesaro (sede di Delegazione), dipendente dal 2° Reggimento del Corpo[4]. E fu proprio mentre si trovava nelle Marche che Carlo Vicari avrebbe “svelato” i suoi veri sentimenti politici, per quanto avesse giurato fedeltà al Soglio Pontificio. Nonostante il ruolo delicato che egli ricopriva, il Vicari sarebbe stato uno dei tanti patrioti bolognesi, ma anche dei tanti Carabinieri Pontifici, che avrebbero aderito ai vari Governi Provvisori, instaurati in alcuni territori Pontifici il 5 febbraio 1831, in seguito alla sommossa popolare esplosa a Bologna il giorno precedente, sulla scia di quanto era accaduto a Modena. Il 9 febbraio, il moto si estese, infatti, anche a Pesaro, coinvolgendo i Carabinieri di quella Compagnia, alcuni dei quali – come nel caso del nostro Carlo Vicari – si misero a disposizione di quel Governo Provvisorio, in vista dell’organizzazione della Guardia Nazionale. La storia di quel periodo ci ricorda, invece, che i Governi Provvisori ebbero termine il 26 marzo 1831, a seguito dell’intervento dell’Esercito austriaco, il quale, penetrato nei territori pontifici fino ad occupare Ancona, consentì nuovamente il ripristino del potere temporale del Papa su tutto lo Stato della Chiesa.
Di conseguenza, lo stesso 2° Reggimento fu sciolto, nel corso dello stesso 1831, in quanto reo di aver aderito alla nobile causa rivoluzionaria. Le sanzioni raggiunsero, quindi, anche il Vicari e i suoi colleghi, come ci ricorda un pamphlet storico del 1935, dal quale estrapoliamo la seguente scheda che lo riguarda: <<VICARI CARLO, d’anni 32, di Bologna, ex carabiniere. Nel tempo dell’accaduta rivolta trovavasi a Pesaro nel Corpo dei Carabinieri in qualità di collaboratore, ove continuò il servizio sotto i ribelli. Marciò con questi e poscia ripatriato, si fece sempre conoscere per un esaltato nemico del Governo, sparlando e motteggiando contro il medesimo e degli ecclesiastici tutti. Venne riammesso al Corpo, e per le sue cattive qualità, ed in particolare per averglisi rinvenute figure oscene, fu espulso, posto sotto processo e condannato>>[5]. Per gli stessi motivi meglio espressi sopra, non conosciamo i particolari della condanna e della pena inflitta al Vicari. Possiamo solo affermare che nel 1849, egli risulta risiedere nella sua città natia, Bologna, ove partecipò alle votazioni del 21-22 gennaio per la nomina, fra i 3.533 aventi diritto, dei “Rappresentanti del Popolo” all’Assemblea Nazionale dello Stato Romano (la famosa “Repubblica Romana” verrà ufficialmente proclamata il successivo 9 di febbraio)[6]. Nel frattempo, il suo amato Corpo non era certo rimasto a guardare. La storia dei Carabinieri Pontifici ci ricorda, infatti, che, in virtù di un Ordine del Triunvirato, in data 22 marzo 1849, il Corpo di Polizia fu posto alle dirette dipendenze del Ministero della Guerra. I Carabinieri romani, unitamente ai Finanzieri si sarebbero, quindi, distinti, con valore ed eroismo, anche nell’estrema e purtroppo vana difesa di Roma. Il 4 luglio 1849, infatti, la Repubblica Romana cadeva per mano dei Reparti francesi, scesi in campo in difesa del Papa. Con il ritorno a Roma di Pio IX, i Carabinieri e i Finanzieri pontifici pagarono definitivamente per le loro simpatie liberali. Con la Notificazione del 17 settembre 1849 a firma dei Cardinali Della Genga Sermattei, Vannicelli Casoni e Altieri, il Corpo dei Carabinieri fu ribattezzato “Reggimento dei Veliti Pontifici”, per poi assumere, circa 10 mesi dopo, quello di “Gendarmeria Pontificia”. E fu proprio in tale Milizia che “ritroviamo” Carlo Vicari nuovamente nei panni di Tenente. Il documento più remoto che ci conferma tale appartenenza risale, tuttavia, al 1853, allorquando lo troviamo al Comando del reparto di Gendarmeria alla sede di Faenza (Ravenna), ove è probabile sia rimasto per alcuni anni[7]. Nel 1858, l’anno in cui fu “giubilato” (lgs. “posto in congedo”), Carlo Vicari era Capitano, Comandante della Compagnia della Gendarmeria di Forlì[8].
Al Comando della Truppa di Finanza Pontificia (1859 – 1870)
Il pensionamento del Capitano Carlo Vicari, nel frattempo nominato Cavaliere (non sappiamo però di quale Ordine pontificio) durò solo pochi mesi, in quanto già nel maggio del 1859, mentre nel Nord Italia si stava combattendo la Seconda guerra d’Indipendenza, l’ufficiale fu richiamato in servizio, ma, questa volta, per ricoprire un incarico di altissimo prestigio: Ispettore in Capo (equivalente dell’odierno Comandante Generale) della Truppa di Finanza Pontificia, in sostituzione del Capitano Pietro Ossoli della Torre. A darne notizia, in prima pagina, fu il quotidiano <<Il Vero Amico del Popolo>>, nel suo numero del 27 di maggio: <<La Santità di nostro Signore con biglietto di Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Tesoriere Generale, Ministro delle Finanze, si è degnata richiamare in attività di servizio il giubilato Capitano della Gendarmeria, Cavaliere Carlo Vicari nominandolo Ispettore in capo della Truppa di Finanza col grado di maggiore>>. Fu, quindi, nel corso dello stesso maggio ’59 che il neo Maggiore Vicari, oramai cinquantaseienne, avrebbe messo piede nella storica caserma sita nell’immenso “Complesso di San Michele a Ripa”, con accesso primario da Via di Ripagrande. La caserma si articolava su tre piani ed era munita di ampi cortili, con una ben organizzata ed ampia scuderia, che aveva accesso anche da piazza di Porta Portese. L’immobile era di proprietà del celebre Istituto San Michele[9]. Presso il “Quartier Generale” del Corpo, Carlo Vicari avrebbe operato per i futuri dieci anni, alle dirette dipendenze della Direzione Generale delle Dogane, Dazi di Consumo e Diritti Uniti. Assieme alla famiglia, il Vicari andò, invece, ad abitare in Via Monserrato, n. 149 (nei pressi di Piazza Farnese). La nomina del Vicari coincise con l’ennesima riforma che aveva interessato il Corpo, tant’è vero che già in aprile, con Rescritto del giorno 30, era stato costituito una sorta di “Stato Maggiore” del Corpo di Finanza, dipendente direttamente dall’Ispettore in Capo, distinto, quindi, dalla “Divisione Truppa della Direzione Generale delle Dogane”, dotato di particolari attribuzioni in materia di servizio, movimenti del personale, arruolamenti e promozioni. Fu, inoltre, costituito anche un Ufficio di Disciplina[10]. L’Ispettore in Capo, Vicari si adoperò in prima persona al fine di riformare completamente il Corpo dei Finanzieri pontifici, tant’è vero che nel settembre del 1860 si registrò un primo aumento nell’organico, per quanto, in realtà già “ridotto” rispetto al passato, dopo la perdita delle Legazioni periferiche, a partire dalla fine della Seconda guerra d’indipendenza e degli avvenimenti che interessarono il Centro-Italia nel corso dello stesso settembre del ’60. Potenziò, quindi, sia il Servizio Navale che il Reparto a Cavallo del Corpo, al quale era demandato, fra l’altro, anche il servizio di scorta alle diligenze postali. Il Maggiore Vicari avrebbe avuto, infine, il suo “bel da fare” in relazione alla nota “Campagna dell’Agro Romano”, nell’ottobre del 1867, allorquando non pochi Finanzieri pontifici – e forse lo stesso Vicari – dimostrarono una notevole vicinanza ideologica, e talvolta anche pratica, nei confronti dei patrioti italiani che speravano di liberare Roma[11]. In quello stesso periodo, ebbe alle dirette dipendenze anche una sua vecchia conoscenza, il Capitano Francesco Bonesi, Comandante della 1^ Compagnia, in Via Savelli, 82, che l’Ispettore in Capo conosceva sin dall’agosto del 1848, allorquando il Bonesi, da Tenente dei Finanzieri, avrebbe capeggiato la difesa di Bologna, assalita dalle truppe Austriache. Nel frattempo – non lo avevamo ancora ricordato – l’ufficiale si era unito in matrimonio con la signorina Ottavia Nardoni, di ottima famiglia romana, dalla quale avrebbe avuto due figli: Pio, nato nel corso del 1860 e Maria, nata tempo dopo.
Epilogo del Corpo di Finanza pontificio e del suo ultimo Comandante (1870 – 1883)
Sul finire del settembre 1870, mentre il reparto delle Guardie Doganali del Sottotenente Melani si occupò di impiantare il servizio di vigilanza doganale presso la città franca e nelle Brigate della giurisdizione di Civitavecchia, la Compagnia del Tenente Bisi rimase in Velletri: <<… in attesa del plebiscito, che doveva sanzionare uno dei più grandi fatti della storia moderna e completare l’unificazione italiana>>, come ricordò il Generale Sante Laria nella sua opera dal titolo “I fasti militari dei finanzieri d’Italia”. In occasione del Plebiscito Popolare, indetto per il giorno 2 di ottobre in Roma ed in “Comarca”, i finanzieri mobilitati furono chiamati a concorrere nei servizi di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, prestando, quindi, opera di vigilanza anche presso i seggi allestiti in varie zone della città e della citata provincia. In seguito al plebiscito, la “Forza Doganale Mobilizzata” fu in parte disciolta, ed il relativo personale fece rientro ai reparti di provenienza, in parte destinata, invece, ai nuovi incarichi istituzionali demandati dal Governo di Firenze alla Guardia Doganale. Con Regio decreto n. 6044, in data 16 novembre 1870, fu approvato il “Ruolo Organico delle Ispezioni delle Gabelle e del Contingente della Guardia Doganale” per la provincia unica di Roma (comprendente i territori di Viterbo, Civitavecchia, Frosinone e Velletri). A differenza di quanto era accaduto tra il 1859 e il 1860, allorquando non pochi soldati della Truppa di Finanza pontificia furono “ammessi” inizialmente nel Corpo dei Preposti Doganali e, nel maggio 1862, in quello delle Guardie Doganali del neonato Regno d’Italia, solo pochissimi ex Finanzieri pontifici – principalmente ufficiali – furono “assunti” nel Corpo delle Guardie Doganali, il cui organico era del resto effettivo, non abbisognevole, quindi, di sostanziali ripianamenti. L’inevitabile sorte – il congedo – toccò, quindi, a gran parte del personale anziano (ufficiali, sottufficiali e truppa) della ex Finanza papalina, ivi compreso il Maggiore Carlo Vicari, che sul finire del mese di settembre, assolte le ultime incombenze del “passaggio di potere”[12], lasciò per sempre il suo ufficio, in Via Monserrato[13]. Raggiunto il traguardo dei 67 anni suonati, il maturo ufficiale bolognese rimase a vivere in quella che di lì a poco sarebbe stata proclamata come la nuova Capitale del Regno d’Italia. Con la sua famiglia, il Maggiore Vicari, al quale il Regno d’Italia accordò l’agognata pensione, avrebbe serenamente affrontato gli ultimi anni di vita, nel modesto appartamento, in Vicolo dei Venti, n. 2. E fu proprio qui, che il 26 febbraio del 1883, si spense ottantenne, assistito dalla moglie Ottavia e dai figli, Pio, studente, e Maria. Carlo Vicari chiuse gli occhi consapevole del fatto che di lui e della sua affascinate vicenda professionale non avrebbe fatto cenno nessun quotidiano, così come non lo avrebbe citato nessun libro di storia, nemmeno il testo che circa un secolo dopo avrebbe realizzato, come già ricordato in precedenza, il grande storico del Corpo, Generale Giuliano Oliva[14].
Col. (a) GdF Gerardo Severino
Storico Militare
[1] “Cfr. Storia della marcia nei giorni 19-20-21 e 22 settembre 1870”, memorie del Tenente Luigi Spedalieri in data 21 novembre 1910. Archivio Museo Storico Guardia di Finanza (AMSGF) – Miscellanea – Busta Campagna del 1870 – Liberazione di Roma, fascicolo n. 245/2.
[2] Secondo il prospetto della forza relativo ai giorni 10-15 settembre, fra i Corpi Pontifici di stanza a Civitavecchia e adibiti alla difesa della piazzaforte, vi erano anche le Guardie di Finanza pontificie, rappresentate da 2 ufficiali e 57 fra sottufficiali e truppa. I medesimi, all’indomani dell’occupazione italiana, furono prosciolti e, quindi, rilevati nell’impiego dalle guardie doganali del Regno d’Italia. Solo alcuni di loro, in verità, entreranno a far parte del Corpo a partire dello stesso anno.
[3] In AMSGF, fondo Miscellanea, Scheda 151, fascicolo n. 15. Cfr. Gerardo Severino – Luigi Marinanza, I primi finanzieri di Roma Capitale d’Italia (1870 – 1872, in <<Rivista della Guardia di Finanza>>, n. 2/2011.
[4] Gli Squadroni del 2° Reggimento operavano nelle tre Legazioni, e nelle tre Delegazioni di Urbino, e Pesaro, e delle Marche, secondo il Regolamento (“Disposizioni”) del 21 settembre 1818.
[5] Cfr. Albano Sorbelli (a cura di), Libro dei Compromessi Politici nella rivoluzione del 1831-32, Roma, Regio Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, 1935, pp. 177 e 178.
[6] Cfr. Commissione Elettorale di Bologna, Rapporto al Preside della Provincia sulle operazioni relative alla nomina dei Rappresentanti del Popolo all’Assemblea Nazionale dello Stato Romano, Bologna, Tipografia Sassi nelle Spaderie, 1849, p. 41.
[7] Cfr. Almanacco della Provincia di Ravenna – 1854, Ravenna, Tipografia del Seminario, 1853, p. 82.
[8] Cfr. Notizie per l’anno 1858, Roma, Tipografia della Reverenda Camera Apostolica, 1858, p. 493.
[9] Il primo nucleo del futuro Ospizio Apostolico del San Michele sorse a Ripa Grande nel 1686, anno del trasferimento del Conservatorio dei Ragazzi istituito, nel 1673, da Tommaso Odescalchi, per la rieducazione dei giovani attraverso un avviamento professionale che prevedeva l’istruzione in appositi laboratori o fabbriche. Edificato su progetto degli architetti Carlo Fontana e Mattia de Rossi, il complesso fu costituito da un corpo di fabbrica a quattro piani prospiciente il Lungotevere, dotato di due ali basse racchiudenti l’attuale Cortile dei Ragazzi. Rimaneggiata ed ampliata più volte attraverso i secoli, la struttura fu in seguito adibita anche ad ospizio per i vecchi e, a partire dal 1782, anche come caserma dei Doganieri Pontifici. Quest’ultimo corpo di fabbrica fu costruito verso il 1706-1709 di fronte alla Porta Portese, ed inizialmente fu utilizzato come sede di botteghe e stanze da affittare. La caserma rimase in uso ai finanzieri fino agli anni Venti del ‘900, allorquando, dopo essere stata ristrutturata, fu unificata al complesso dei due carceri minorili, rimanendo così attiva fi no al 1972.
[10] Cfr. Giuliano Oliva, La Guardia di Finanza Pontificia, Roma, Edizione Museo Storico della Guardia di Finanza, 1979, p. 132.
[11] Ivi, p. 139.
[12] Osserva Giuliano Oliva che la “Divisione Truppa della Direzione Generale delle Dogane” funzionò ancora per qualche tempo, presentando tutte le relazioni che venivano richieste a mano a mano dai funzionari del Governo italiano giunti da Firenze. Cfr. Giuliano Oliva, op. cit., p. 148.
[13] In quel frangente storico, la Truppa di Finanza Pontificia alla sede di Roma, oltre all’Ispettorato in capo, dal quale dipendevano vari Uffici (Sanitario, Cappellani Militari e Vestiario) disponeva anche della 1^ Compagnia, con caserma in Via Savelli, nonché le Tenenze di Via di Cimarra e di Via dè Cesarini, nonché vari comandi minori e i c.d. “Picchetti”.
[14] Cfr. Giuliano Oliva, La Guardia di Finanza Pontificia, Roma, Edizione Museo Storico della Guardia di Finanza, 1979.