Pavia, alla scoperta dell’arte contemporanea del continente nero
Grande successo di pubblico dal 24 ottobre al 29 novembre 2015 al Castello Visconteo di Pavia per l’esposizione “Continente Africa”. Un momento che ha dato la possibilità a tutti i visitatori di gettare uno sguardo approfondito sull’arte africana contemporanea attraverso 70 lavori di 35 tra i suoi autori più rappresentativi. Si è trattato della più significativa mostra mai realizzata in Italia sull’arte africana contemporanea e segue, a distanza di un quarto di secolo, la prima grande mostra su questo genere d’arte tenutasi al Centre Pompidou di Parigi “Les magiciens de la terre”.
La mostra, promossa e organizzata dal Comune di Pavia – Settore Cultura e Turismo e dalla Fondazione Sarenco, con il sostegno dell’Associazione Pavia Città Internazionale dei Saperi, la collaborazione dei Musei Civici del Castello Visconteo, e con il contributo di UBI, in alcuni casi per la prima volta, 70 dipinti, sculture, fotografie e installazioni di 35 tra più rappresentativi esponenti dell’arte africana contemporanea, quali Mikidadi Bush, George Lilanga, Esther Mahlangu, Cheri Samba, Seni Camara, Efiaimbelo, Paa Joe, Graeme Williams, Guy Tillim, Ricardo Rangel e altri.
La rassegna ha approfondito il complesso e articolato panorama creativo africano che, a differenza di quello archeologico e antico, ben rappresentato nei musei di tutto il mondo, è stato spesso confinato all’interno di collezioni private e raramente accolto da istituzioni pubbliche. Oggi l’arte africana si muove tra un passato coloniale non ancora superato, un presente postcoloniale dalle molteplici sfaccettature e le rigide leggi del mercato dell’arte; una realtà problematica, ma per certi aspetti estremamente intrigante in forza del nomadismo intellettuale a essa correlato. La nascita dell’arte africana contemporanea può essere fatta risalire alla metà del secolo scorso, quando i vari paesi del continente iniziavano la loro lotta per l’indipendenza dal colonialismo europeo. È in questi anni che si afferma la tecnica della pittura – se non addirittura del disegno – prima confinata a una connotazione meramente decorativa della scultura. È indubbio che le maggiori novità, negli ultimi decenni, siano soprattutto pittoriche. Artisti come Cheri Samba, Lilanga, Ester Mahlangu, Mikidadi Bush, si fanno portavoce di un’arte che è riuscita ad affermarsi in maniera autonoma dagli influssi occidentali e dalla tradizione figurativa autoctona.
Per quanto riguarda la scultura, il panorama si connota per una estrema varietà di forme e tecniche adottate o inventate dagli artisti africani contemporanei – da Seni Camara a Paa Joe, da Simon Dastani a Efiaimbelo – al punto da rendere arduo ogni tentativo di raccoglierle in una prospettiva unitaria.
“Fin dall’inizio di questo mandato – ha sottolineato Giacomo Galazzo, Assessore alla Cultura del Comune di Pavia – abbiamo privilegiato le iniziative culturali di respiro internazionale: l’esperienza della mostra sull’arte africana sarà senza dubbio la più rilevante e affascinante di questo primo scorcio del nostro periodo amministrativo. Un viaggio emozionante in una delle frontiere artistiche del nuovo millennio e un’occasione imperdibile per alzare lo sguardo della nostra città su quella parte di mondo così tormentata ma così affascinante”.
(a cura di Vincenzo Grienti)
All’inaugurazione, oltre all’assessore Galazzo, sono intervenuti Susanna Zatti, Direttore dei Musei Civici di Pavia, e naturalmente Giosué Allegrini e Sarenco, curatori della mostra. Qui di seguito la riflessione di Giosué Allegrini, tra i maggiori critici d’arte italiani.
Contemporary African Art. La nuova frontiera della conoscenza del Terzo Millenio
“Nel XX secolo l’arte africana ha compiuto un deciso balzo in avanti, passando da simbolo della natura selvaggia del continente a rappresentazione del suo genio”. Kurtis Keim, 1999.
Con i suoi cinquantaquattro stati e una superficie tre volte superiore a quella dell’Europa, l’Africa è il secondo continente più grande al mondo. Un continente sterminato che, in correlazione storica con quella che ad inizio del XX secolo fu definita “art nègre”, divenne fonte d’ispirazione culturale e antropologica per nuove soluzioni formali e concettuali dell’intero mondo Occidentale.
Una frontiera, per certi aspetti selvaggia e inesplorata, che verrà perlustrata nella presente rassegna espositiva in nome della coesistenza della molteplicità e della diversità espressiva, ad un quarto di secolo decorso dalla fondamentale mostra “Magiciens de la Terre” tenutasi al Centre Pompidou di Parigi, nel 1989 e unanimemente considerata punto di riferimento mondiale della storia dell’arte moderna e contemporanea africana.
“L’ultimo passo sarà il riconoscimento della vitalità intellettuale dei produttori di arte esotica” Sally Price, 1989.
In termini di esegesi creativa, potremmo dunque definire il Continente Nero “la frontiera artistica del Nuovo Millenio”. Migliaia di culture, etnie e lingue, con modi di vivere concezioni del mondo, religioni, tradizioni e assetti sociali spesso completamente diversi tra loro. Numerosi piccoli cambiamenti e talvolta anche drammatici sconvolgimenti radicali hanno portato allo sviluppo di tradizioni artistiche tipicamente africane, molto diverse da quelle delle altre parti del mondo.
Agli occhi degli occidentali i cambiamenti più importanti sono stati quelli dovuti all’influenza islamica ed europea. Oggi l’arte africana si muove tra un passato coloniale non ancora superato, un presente postcoloniale dalle molteplici sfaccettature e i possenti miti del mercato dell’arte; una realtà problematica, ma per certi aspetti estremamente intrigante in forza del nomadismo intellettuale ad essa correlato e da essa sospinto, che non ci tratterrà dal mettere in risalto alcuni punti che appaiono indispensabili per approdare ad una concezione dell’arte africana più equa ed equilibrata.
“L’arte africana è sempre stata soggetta a cambiamenti, solo che le nostre conoscenze sono ancora insufficienti per giudicare la velocità di questi mutamenti” Frank Willet, 1971.
Il concetto di “africanità” sottende un tema articolato e al contempo affascinante, che ha influenzato il mondo dell’Arte Moderna e Contemporanea, a partire dalla avanguardie storiche del secolo scorso, da vari punti di vista. Da un lato c’è l’immagine festosa dell’Europa di primo Novecento, in cui la società borghese celebrava la propria crescita economica mutuata in seno al positivismo ottocentesco, dall’altro il manifestarsi di una volontà anticonformista, un desiderio di fuga da ambiti normativi preconcetti e dai codici sociali dominanti che trovavano il proprio naturale sbocco nel recupero di una presunta purezza primigenia, attraverso l’avvicinamento a culture extraeuropee, considerate primitive, con particolare riguardo all’africana e alla polinesiana.
“Per gli archeologi l’Africa è ancora una macchia bianca nella carta della storia dell’umanità”. Peter Breunig/Nicole Rupp, 2008
Và altrettanto rimarcato che il concetto di “africanità” e la relativa ricerca della condizione mitologica di autenticità si sia regolarmente rivelato, in maniera “trasversale”, lungo l’intera dorsale artistica dell’ultimo secolo di storia, coinvolgendo, a fattor comune, tematiche spesso antitetiche fra loro, in quanto legate al propugnare della ragione contro l’emozione, e viceversa, propagate dai vari movimenti-correnti susseguitisi nel corso del Novecento e sino ai giorni nostri, a partire dalle Avanguardie Storiche di primo Novecento. La scoperta dell’arte africana deve dunque essere attribuita ad alcuni precursori del modernismo, che ne subirono il fascino. Un fascino che deriva dall’espressione più intensa e spesso anche grottesca della forza, della gioia di vivere, rivelate nella loro forma più semplice ed incontaminata.
“Come è possibile che noi artisti siamo così spesso attratti dai manufatti dei popoli primitivi?” Emile Nolde, 1912
Due esempi, su tutti, lasciano presagire l’influenza che ebbe l’arte africana in termini di massiccio contributo alla cultura mondiale e, al contempo, il grande stupore che essa generò negli animi dei grandi artisti del XX secolo:
– “Sorpreso, mi resi conto che le figure africane erano concepite secondo un linguaggio plastico” asserisce Henri Matisse, nel 1906;
– “Era disgustoso…volevo andarmene. Non me ne andai. Rimasi” cita Pablo Picasso, nel 1907 mentre ricorda il suo primo approccio con l’arte africana, al Museo Etnografico di Parigi, il Trocadéro.
Due esempi in cui si avverte tutto il fascino e lo choc emotivo suscitati dai primi incontri degli europei con l’arte del continente nero; due esempi particolarmente rappresentativi di come la “art négre” influenzò sia Henri Matisse, padre del Fauvisme e della cosiddetta “Non Geometrical Abstract Art”, richiamata nel Diagramma di Barr, che rappresenta la condizione emozionale-gestuale della creatività umana, sia Pablo Picasso, fondatore del Cubismo e della “Geometrical Abstract Art”, da intendersi come la declinazione razionale-concettuale del fare artistico.
“La scoperta che gli scultori africani fossero così bravi a riprodurre la figura umana… mi incoraggiò, ancora giovane studente, a essere più audace.” Henri Moore 1981.
Dalla rinuncia della complessità chiaroscurale alla grafia primitiva ed elementare, dalla forma totemica primordiale alla scomposizione geometrica, da Rousseau a Gauguin, da Matisse a De Vlaminck, da Nolde a Pechstein, da Cézanne a Picasso. La sintesi figurativa con cui si esprimevano le culture extraeuropee influenzò i cubisti, i fauves e gli espressionisti; i primi interessati alla solidità formale che ne derivava, gli altri piuttosto influenzati dalla sua componente spontanea.
Fu proprio l’anima istintuale africana che pervase l’arte di Nolde e Pechstein ad essere nuovamente presente nella pittura neoespressionista degli anni ’70 e ’80 con Baselitz e Penck o piuttosto nei graffiti newyorkesi di artisti neri fedeli alle proprie origini per volontà trasgressiva, come Basquiat, giungendo fino ai nostri giorni, con artisti come Mondino e Sarenco.
“Le nostre categorie non rispecchiano quelle africane – e si sono modificate nel corso del secolo”. Susan Vogel 1988
Il concetto di “arte africana” come unità omogenea esiste tuttavia solo nell’immaginario extra-africano, ed è il risultato di una visione imprecisa e unificatrice delle numerose tradizioni artistiche del continente. Esattamente come le terrecotte “Nok”, risalenti a 3000 anni fa (le più antiche testimonianze figurative sviluppatesi a sud del Sahara, ad oggi conosciute) sono rappresentative di una cultura già fortemente feconda e consolidata legata a contesti rituali, così oggigiorno le realtà artistiche africane sono molto vitali e riflettono la concezione del mondo dei loro produttori e creatori, le società in cui vivono, le loro credenze religiose e le loro strutture politiche e sociali.
Ogni opera era, ed è, figlia di uno specifico contesto ed un particolare insieme di idee. Le generalizzazioni sull’arte africana sono perciò troppo spesso semplificatrici e difficilmente condivisibili.
“L’arte esotica non è né un modello né uno stimolo, ma un criterio di misura del valore di ogni attimo della nostra fugace esistenza”. Wilhelm Hausenstein, 1922
Qualcuno considera, ancora oggi, le opere di arte africana “primitive” o “primordiali”, “vergini” forse sì se vogliamo cogliere con questa espressione la specifica tendenza dell’arte africana autoctona nel voler essere fortemente radicata al territorio e alle proprie tradizioni. Tuttavia questo modo di pensare l’arte del continente nero come primitiva è piuttosto espressione della critica sociale degli artisti della avanguardie europee di inizio secolo scorso contro la società neo industrializzata e positivista, materialista e priva di fantasia. Inoltre in tale concezione sussiste un’eco di propaganda colonialista che ritraeva l’Africa come un continente statico e senza storia in cui il concetto di guida da parte delle nazioni europee, considerate più avanzate, diventava un elemento imprescindibile di crescita e sviluppo. Siccome all’Africa e ai suoi abitanti non veniva quindi riconosciuta la loro storia, si negava anche che in esso potessero essersi sviluppate tradizioni plastiche e scultoree rilevanti. In realtà l’Africa è tutt’altro che un continente senza storia.
“L’arte negra non ha niente a che vedere con i lampi ingannevoli dell’infanzia o della follia ma è anzi legata ai tratti più nobili della civiltà umana”. Jean Cocteau, 1917.
Si tratta, quella africana, di una storia dominata dalla lingua parlata e dalle immagini, mentre erano quasi totalmente assenti le testimonianze scritte. Molto importanti risultavano, di conseguenza, le sculture e i manufatti plastici, sia nell’organizzazione delle società e delle comunità, sia nei rapporti di alleanza o di contrapposizione tra singoli. Gli oggetti erano poi un mezzo di comunicazione tra le persone, e spesso tra i viventi e i membri non ancora nati, o ormai defunti di una società. I manufatti svolgevano così una funzione d’intermediazione tra la sfera terrena e quella ultraterrena; erano i punti di intersezione tra il mondo umano e quello soprannaturale.
Spesso nel loro contesto originale i manufatti d’arte africana facevano originariamente parte di reliquari o erano posti su altari. Questi ultimi erano e sono una sorta di centro magico in cui si concentrano le energie provenienti dagli oggetti e dalle sostanze più diverse. Luoghi ove le forze e gli spiriti dell’aldilà possono prendere parte alla vita umana in una nuova forma e non devono necessariamente soddisfare i gusti estetici degli uomini, ma devono prima di tutto piacere allo spirito cui sono dedicati.
“Non possiamo pensare di riuscire a capire le intenzioni di uno scultore africano semplicemente osservando i suoi lavori”. Frank Willett, 1971
Naturalmente il tempo degli sciamani e delle maschere rituali è passato; ma ancora oggi in Africa, più che altrove, le forme d’arte quali la pittura, la scultura e la fotografia risentono di questo senso mistico e spirituale, istintivo e coinvolgente, che le trasforma in un efficace medium di connessione tra la realtà vissuta, con i suoi “ismi” e le insolute contraddizioni, e la dimensione dello spirito.
In tale ottica le opere di arte contemporanea africana possono essere considerate alla stregua di moderni reliquari della quotidianità su cui si concentrano le energie provenienti dagli oggetti e dalle sostanze che li compongono. Un po’ come a dire esempi del dualismo tra l’anima e il corpo, tra l’immanente e il trascendente, fra il modello e l’unicità, che da sempre governa la storia del mondo.
“Ogni vasetto, ogni pipa, ogni cucchiaio è un’opera d’arte”. Leo Frobenius, 1933
Cita a tal proposito Eric Girard-Miclet in occasione della Prima Biennale di Malindi, nel 2006: “Claudio Costa vedeva sulla carta dell’Africa il profilo di un cranio preistorico, Sarenco e Blaine le ali di una farfalla, Rodney Place le tracce dei flussi migratori, ma possiamo anche intravedere l’impronta di un revolver. L’Africa è molteplice, mobile, mitica, mistica, e postmoderna nello stesso tempo. Il dhow incrocia la moto d’acqua, l’albero degli spiriti cresce accanto alla chiesa e alla moschea, i machete sfidano i kalashnikov . E’ su questo continente che si prefigura già la prossima forma di temporalità, la fase ulteriore del riciclaggio generalizzato: il mix radicale, feroce e gioioso delle epoche, delle credenze, delle pulsioni, delle lingue, dei modi di vivere, dei dogmi religiosi e dei sistemi politici (un Fluxus africano!).
Come nel giardino delle Esperidi anche qui vi è una porta di accesso, un varco sensoriale tra il reale e l’ideale, una prova d’iniziazione che bisogna superare per fendere la barriera e aprire il passaggio verso un luogo che si fa paesaggio interiore, dove l’uomo riesce a fondersi con gli elementi primordiali che lo circondano, diventando un tutt’uno con il cosmo. Dal Senegal di Seni CAMARA, al Benin di Cyprien TOKOUDAGBA, dalla Nigeria di Twins SEVEN SEVEN al Kenia di Cheff MWAI, dal Camerun di Jean-Baptiste NGNETCHOPA alla Repubblica Democratica del Congo di Cheri SAMBA, dalla Tanzania di George LILANGA al Sudafrica di Esther MAHLANGU, dal Madagascar di EFIAIMBELO al Mozambico di Reinata SADIMBA, questo passaggio straordinario si chiama Africa. E’ questo è il vero segreto dell’arte africana, questo il senso della sua storia che sarà rivelato e divulgato nella presente rassegna.
“Il mondo è una danza in maschera. Se vuoi comprenderlo non puoi rimanere fermo in un posto”. Chinua Achebe