Cefalonia, nel baule della storia
Alle 19.42 dell’8 settembre 1943 la radio interrompeva i programmi e la voce del maresciallo Pietro Badoglio annunciava la firma dell’armistizio avvenuta nei giorni precedenti a Cassibile, in Sicilia. Dopo attimi di gioia per la fine della guerra e il pensiero di un immediato rimpatrio, i militari italiani precipitarono nell’incubo. Dopo il primo radiomessaggio la sera dell’8 settembre firmato dal generale Carlo Vecchiarelli del comando italiano di Atene ne giunge un altro il 9 settembre in cui si dice di cedere le armi pesanti e collettive ai tedeschi. Il generale Antonio Gandin, comandante della Divisione Acqui a Cefalonia, capisce che la situazione si fa drammatica e tra il 9 e l’11 settembre inizia con il tenente colonnello tedesco Hans Barge estenuanti trattative tese a prender tempo. Poi giunge secco l’ultimatum tedesco di deporre le armi. Il 13 settembre l’artiglieria italiana apre il fuoco su due motozattere tedesche cariche di truppe e rifornimenti. Barge invia ancora un nuovo ultimatum con la promessa di rimpatrio per gli italiani. Gandin si consulta con gli ufficiali e con i cappellani militari. Il dilemma resta: allearsi con i tedeschi, cedere le armi o combattere i tedeschi? Gli uomini della Divisione Acqui vivono ore convulse. Intanto dal Comando Supremo di Brindisi arriva l’ordine di resistere. Il 15 settembre scoppia la battaglia. Nonostante la superiorità numerica di circa 12mila italiani contro 2mila tedeschi, i militari della Wehrmacht hanno la meglio grazie all’intervento aereo degli Stukas della Luftwaffe che bombardano senza sosta le postazioni di artiglieria e di fanteria. Il 22 settembre il generale Gandin alza bandiera bianca. Seguono i giorni della rappresaglia e delle fucilazioni di massa. Gli ufficiali vengono sterminati nell’ormai noto e triste luogo della “casetta rossa”. Solo 37 di loro si salveranno grazie alle preghiere di padre Romualdo Formato e alla pietà di un ufficiale tedesco