Addio all’ex IMI Michele Montagano, testimone di storia e di memoria
Michele Montagano non c’è più. Ci ha lasciati nella notte tra il 3 e il 4 agosto 2024. Se ne va uno dei 44 eroi di Unterlüss, uno degli ufficiali del Regio Esercito prigionieri che si ribellarono ai nazisti. Era il 24 febbraio 1945 e quell’episodio di coraggio e di amore verso l’Italia il tenente Montagano lo ricordava sempre ai familiari, agli amici, ai membri dell’ANRP di cui era Presidente Onorario e testimone di quel “NO” al nazifascismo detto a poco più di vent’anni. Lui che era nato il 27 ottobre 1921 e che come tanti altri giovani si trovò dopo l’8 settembre 1943 a fare una scelta di campo. Ma era soprattutto ai giovani che Michele Montagano si rivolgeva e la commozione era impossibile da trattenere come quella volta quando chi scrive lo ha incontrato nel 2014, nella sede dell’ANRP (l’Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia, dall’Internamento, dalla Guerra di Liberazione e loro Familiari). Nel 2015 in un’intervista sugli IMI e sulla sua storia da internato militare italiano Montagano ripercorse per Tv2000 la sua incredibile avventura che sembrava un film ma era vera come autentico era il suo afflato per trasmettere ai giovani i veri valori della vita: la libertà, la giustizia, la correttezza, l’onestà, l’attaccamento alla famiglia, alla bandiera e all’Italia che lui stesso aveva deciso di servire a favore della democrazia e della Repubblica.
Un impegno a favore della pace e della fratellanza tra i popoli scaturito dall’esperienza vissuta sulla propria pelle. Dopo l’armistizio si rifiutò, così come altri 650mila militari italiani, di collaborare con nazionalsocialisti e con i fascisti. Per questo venne fatto prigioniero nei lager tedeschi. Patì la fame, le angherie, i soprusi, ma sopravvisse e per tutti questi anni ha potuto raccontare la sua storia e quella degli IMI, gli internati militari italiani, che non aderirono alla Repubblica sociale italiana e per questo furono impiegati coattivamente in lavori pesanti nei campi di concentramento tedeschi e polacchi.
“In mille occasioni ho raccontato la mia storia che rimane ancora viva nella mia vita, così come su migliaia di altri miei compagni che, come me, hanno condiviso un destino dietro il filo spinato, sottoposti a violenze e umiliazioni e affrontando momenti difficili e molto duri per aver detto NO alla collaborazione con il nazifascismo – raccontò Montagano da Presidente anziano dell’ANRP a chi scrive -. Ogni volta che rendo la mia testimonianza, ci tengo a sottolineare che, pur essendo difficile perdonare, sono riuscito a passare attraverso il tragico mondo concentrazionario senza odiare nessuno, neppure i nazisti, anche se loro, per quasi venti lunghi mesi, hanno cancellato dal consorzio umano il nome del tenente Michele Montagano, sostituendolo con il numero 27539 come IMI e con il numero 370 come politico KZ”.
Era il nonno d’Italia Michele Montagano e ogni volta che lo incontravi infondeva coraggio, lui che di coraggio ne aveva profuso fino al rischio della vita.
I tedeschi, infatti, non considerarono i soldati italiani catturati dopo l’8 settembre 1943 quali prigionieri di guerra, ma, con disposizione unilaterale, voluta da Hitler e accettata da Mussolini, a capo del governo della Repubblica sociale italiana appena costituita, li classificarono come “internati militari”, categoria ignorata dalla Convenzione di Ginevra.
Vennero così privati quasi del tutto dell’aiuto della Croce Rossa Internazionale. In questo contesto gli IMI furono condotti in diverse zone del Reich: in Germania, Austria, Polonia e Cecoslovacchia. I lager erano contrassegnati da un numero romano che indicava la circoscrizione militare e da una lettera dell’alfabeto che ne stabiliva il numero progressivo all’interno di ciascun distretto. I militari di truppa e i sottufficiali vennero rinchiusi negli Stammlager (detti Stalag), per essere adibiti al lavoro coatto nelle miniere, nelle fabbriche e nelle campagne sopperendo all’esigenza di mano d’opera dell’economia tedesca. Chi si rifiutava di lavorare era destinato ai campi di punizione (Straflager), spesso dipendenti dai campi di sterminio dove le possibilità di sopravvivenza erano minime.
I circa 30.000 ufficiali del Regio Esercito vennero collocati negli Offizierlager (detti Oflag) o in blocchi separati degli Stalag, dove non erano obbligati a lavorare, ma furono sottoposti a continue pressioni per convincerli a ritornare con gli ex alleati. La maggior parte di loro, nonostante le crescenti e drammatiche difficoltà in cui si trovarono, non si piegò. Arrivati nei lager, ciò che attendeva gli IMI erano il bagno, la disinfestazione, le vaccinazioni e la schedatura. Veniva quindi assegnato a ciascuno un numero al quale dovevano imparare a rispondere in tedesco negli interminabili appelli quotidiani. La loro dimora, di norma, erano delle baracche in legno e mattoni, costruite dai prigionieri rastrellati in Europa dopo l’invasione della Polonia nel 1939.
Tra le testimonianze delle loro condizioni di vita c’è una serie di fotografie, circa 400, scattate dall’ufficiale Vittorio Vialli, internato nei campi di Luckenwalde, Benjaminowo, Sandbostel e Fallingbostel, il quale, con l’aiuto dei compagni, riuscì a nascondere una piccola Leica sequestrata, poi sostituita alla Zeiss Super Ikonta. Oggi è possibile ripercorrere questa storia attraverso la visita virtuale al “Museo vite di IMI” di Via Labicana a Roma.
Il momento più drammatico della storia degli IMI resta comunque l’atto di trasformazione degli Internati militari italiani in “lavoratori civili” avvenuta nell’agosto del 1944, a seguito di un accordo siglato tra Hitler e Mussolini il 20 luglio. Questo passaggio in realtà non migliorò molto le loro condizioni di vita, ma ne rese più efficiente lo sfruttamento in un momento in cui i tedeschi avevano una crescente necessità di mano d’opera coatta.
A partire dal dicembre 1944 la coercizione lavorativa riguardò anche gli ufficiali, tranne i generali, i cappellani, i medici, i malati e gli ultrasessantenni, violando qualsiasi norma di diritto internazionale. Eppure, uomini come Michele Montagano si rifiutarono. Il caso forse più emblematico è proprio quello che avvenne nel lager di Wietzendorf, rimasto nella storia come il giorno dei “44 eroi di Unterlüss” fu quando 214 ufficiali si rifiutarono di lavorare, rimasero nelle baracche e per alcuni giorni non si presentarono agli appelli quotidiani. Le SS, sopraggiunte sul posto, ne richiamarono 21 fuori dai ranghi per avviarli alla fucilazione. allora che 35 volontari si offrirono per sostituire i condannati, ma 9 non vollero approfittare di tanta generosità.
In 44, dopo la commutazione della pena in carcere, furono avviati nello Strafflager di Unterlüss, in Germania, campo di lavoro e sterminio dove le possibilità di sopravvivenza erano minime. Tra quei coraggiosi ufficiali, che con il loro gesto si erano voluti richiamare ai valori del Risorgimento, sentendosi emuli dei “martiri del Belfiore”, vi era Michele Montagano, che vide morire alcuni dei suoi compagni e che, come lui stesso ha più volte ricordato, si salvò solo grazie al repentino arrivo degli Alleati.
“Nel lungo percorso tra Memoria e Storia la sua vita è stata sempre coerente e non ha mai tradito una profonda umanità. Con grande passione ed efficacia, ma senza rancore, lo abbiamo sentito trasmettere la sua testimonianza, in particolare ai giovani, per lasciar loro
un messaggio della sua esperienza di ufficiale deportato nel KZ di Unterlüss – ricorda in un comunicato l’ANRP nel giorno della sua scomparsa -. L’ironia, l’onestà, l’amore profondo per l’Italia hanno caratterizzato le scelte della sua vita, impegnata costantemente a perpetuare i valori portanti e formativi in cui ha creduto e che, anche nel momento drammatico della cattura, gli fecero scrivere “Viva l’Italia”. L’ANRP – prosegue il comunicato ha avuto in lui una figura portante, impegnata a livello nazionale e internazionale. Non lo dimenticheremo noi dell’ANRP come le migliaia di persone in Italia e in Germania alle quali ha saputo porgere con efficacia, forza e delicatezza un messaggio di pace e solidarietà tra i popoli. Grazie Michele, continueremo a tramandare il tuo esempio di coraggio per la libertà”.
Vincenzo Grienti
Il desiderio di Michele Montagano: la Giornata degli Internati
Una vita spesa per rendere viva la testimonianza degli IMI, non ultimo il desiderio di giungere a una rapida e unanime approvazione della Legge nei due rami del Parlamento poter celebrare la Giornata degli Internati il 20 settembre 2024. Proprio il 18 luglio 2024 l’ANRP in un comunicato ribadiva l’importanza “di istituire una Giornata dedicata alla celebrazione, alla riflessione e alla memoria degli Internati Militari Italiani. Per questo ha appoggiato con convinzione la proposta di legge presentata dal Vicepresidente della Camera, onorevole Giorgio Mulé, e plaude all’unanime approvazione della proposta da parte della Commissione Difesa della Camera, che ha visto convergere tutti i gruppi parlamentari. L’unanimità politica di oggi – si legge nel comunicato ANRP – riflette come in uno specchio l’unanime rifiuto di massa di circa 650mila militari italiani i quali, dopo la cattura e la deportazione nei lager del Terzo Reich da parte dei nazisti, scelsero la prigionia invece di un ritorno a casa, condizionato però dall’obbligo di combattere con l’esercito tedesco o con il costituendo esercito della Repubblica Sociale Italiana, come Mussolini e Graziani auspicavano. La loro “Resistenza senz’armi” ha già avuto, dopo decenni di rimozione e di oblio, un primo riconoscimento con la fondamentale legge 211 del 2000, che ha istituito il Giorno della Memoria il 27 gennaio, in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti. Ma la sovrapposizione di esperienze così diverse tra loro ha finito col mettere ai margini e appiattire in forme di generico vittimismo la scelta degli IMI, offuscando il loro consapevole sacrificio e di conseguenza quello delle milioni di famiglie italiane che ne condivisero la sorte. L’ANRP – conclude il comunicato – si è sempre battuta per unificare la memoria degli Internati Militari Italiani, custodita nel Museo “Vite di IMI” di via Labicana a Roma, con la storia di tutti i prigionieri della Seconda guerra mondiale, non solo militari, ma anche civili, rastrellati e costretti al lavoro coatto da Hitler con la complicità della Rsi. La proposta di legge dell’On. Mulé va nella medesima direzione, condividendo questa comunione delle memorie nella “Giornata degli internati italiani nei campi di concentramento tedeschi”.