Africa, storia di un continente conteso. L’analisi di Matteo Giusti
La fine della seconda guerra mondiale che aveva visto l’Africa come uno dei campi più importanti di scontro, lascia nel continente africano una voglia di crescita e libertà, concretizzate entrambe con la nascita di tanti movimenti indipendentisti che a partire dagli anni ’50 iniziano un percorso storico-politico che trasformerà l’intero continente. Le nuove classi politiche africane ebbene alcuni sussulti partorendo figure di grande rilievo che tentarono subito di cambiare la storia dei propri Paesi. Patrice Lumumba in Congo, Kwame Nkrumah in Ghana, Leopold Sedar Senghor in Senegal, Jomo Kenyatta in Kenya e anni dopo Thomas Sankara in Burkina Faso sono tutti stati politici che hanno cercato di dare un’impronta politica all’Africa. I risultati sono stati alterni e quasi sempre pilotati dall’esterno sia dalle ex potenze colonialiste come in Congo, che dai nuovo centri di potere come l’Unione Sovietica accorsa a finanziare qualsiasi regime socialisteggiante si affacciasse nel continente africano. La storia di Patrice Lumimba è significativa di come le potenze esterne non avessero nessuna intenzione di smettere di sfruttare l’Africa, arrivando a favorire una secessione pilotata e armata da mercenari nell’area mineraria più ricca del Congo.
Il Katanga tornò così nelle mani del Belgio con il governo fantoccio di Moise Tshombe, riuscendo poi anche a catturare e giustiziare il presidente eletto Lumumba. Ma la crescita di molti Paesi e stata ostacolata da eventi esterni che hanno sempre preferito governanti addomesticati e pronti a scendere il proprio Paese. Questo ha creato delle dinastie di potere, passate di padre in figlio, che in realtà erano solo cleptocrazie gradite all’occidente. Così i Mobutu e i Kabila nella Repubblica Democratica del Congo, i Bongo in Gabon si sono passati il potere negli anni o sono nate delle presidenze a vita come quella di Paul Biya in Camerun, di Theodoro Obiang in Guinea Equatoriale o Denis Sassou Nguesso nella Repubblica del Congo.
Ma è la storia dei singoli stati che fa la storia di questo complesso cosmo che è il continente africano, che ha visto tante trasformazioni. Utilizzato come uno dei principali terreni di scontro durante la lunga “guerra fredda” fra occidente ed oriente, sono stati proprio gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica a tirare le fila della recente storia africana. L’esempio più significato è una guerra poco nota, ma che spiega tanto. Quando Hailè Mariam Menghistu, detto lo Stalin nero, prende il potere in Etiopia schierando il Paese con Mosca, gli Stati Uniti armano e gli lanciano contro la Somalia del dittatore filo-occidentale Siad Barre che alla fine degli anni ’70 combatte il regime di Addis Abeba in nome della causa della minoranza somala in Etiopia, ma in realtà come una vera pedina della “guerra fredda”. La crescita e la tentata emancipazione è stata frequente in molti stati con alcune eccellenze come Egitto, Algeria e Libia. Questi Paesi che affacciano tutti sul Mediterraneo hanno sempre giocato un ruolo da leader anche nei confronti dei partner regionali e per questo motivo sono stati fra i più corteggiati. L’Egitto, con il controllo del canale di Suez voluto fortemente dal colonnello golpista Gamal Nasser, scatena un’altra pagina di confronto fra Est e Ovest quando Gran Bretagna, Francia e Israele tentano di riprendere il controllo di questa vitale via di comunicazione e l’Unione Sovietica si schiera accanto all’Egitto. La posizione di un gigante geo-politico come Il Cairo ha significato molto nello scacchiere mediorientale degli anni ’60, ma già il successore di Nasser Anwar al-Sadat spostò l’Egitto su posizioni più liberiste aprendosi al dialogo con Israele su regia americana. Dopo l’assassinio di Sadat nel 1981, il potere passò al suo vice Hosni Mubarak che governò l’Egitto fino alla sua detronizzazione con le “primavere arabe” del 2011, ma la posizione del Cairo restò filo-occidentale. Le primavere arabe hanno avuto un ruolo deflagrante in tutta l’Africa mediterranea, o meglio in quasi tutta perché l’Algeria, gigante energetico con simpatie verso Mosca, ha resistito ad ogni tipo di riforma o trasformazione. Gli algerini dopo una lunga lotta per l’indipendenza dalla Francia che non aveva nessuna intenzione di mollare la gemma più preziosa del suo morente dominio coloniale hanno avuto guide politiche che si sono sempre distinte in questa area. Ahmed Ben Bella fu una figura determinante nell’indipendenza algerina, ma la sua presidenza a guida socialista durò meno di 3 anni finendo abbattuta dai militari guidati da Houri Boumediene rimasto in sella fino alla morte mantenendo il controllo del Paese con il pugno di ferro dell’esercito.
Oggi l’Algeria resta uno stato con un forte controllo governativo, dove l’opposizione e la stampa sono osteggiate e spesso ridotte al silenzio, ma la corsa a fare affari con Algeri non esclude nessuna delle grandi potenze mondiali. Un altro gigante che ha giocato sempre da protagonista il suo ruolo è la Libia che sotto il lunghissimo regime del colonnello Muammar Gheddafi ha flirtato con il socialismo e l’estremismo islamico finendo nella lista nera degli Stati Uniti e subendo un durissimo embargo che come al solito colpì soltanto il popolo libico. A metà degli anni 2000 Gheddafi riallacciò i rapporti con gli Usa ed intensificò quelli con l’Italia, un Paese con il quale non erano mia stati completamente recisi nemmeno alla nazionalizzazione dei beni italiani in Libia nel 1970. Fu anche in questo caso l’arrivo dell’effimera ventata delle primavere arabe e soprattutto gli interessi economici della Francia a scatenare una guerra civile in Libia che porterà alla morte di Gheddafi e di buona parte della sua famiglia. Ancora oggi, dopo oltre un decennio, il Paese arabo non ha raggiunto pace ed equilibrio, ma persistono violenza ed insicurezza per la popolazione con ben due governi che si fanno la guerra minacciando di spezzare a metà la Libia. In uno scacchiera così complesso ed articolato a partire dagli anni 2000 sono apparsi nuovi attori che hanno investito nel continente africano. La Cina in primis con i suoi prestiti a pioggia per il pantagruelico progetto della Via della Seta che coinvolge tutta la costa orientale africana, ma che con una visione geopolitica piuttosto elastica permette di finanziare quasi tutto il continente. Così con piani infrastrutturali enormi e costosissimi, portati avanti solo da aziende cinesi, scatta la cosiddetta trappola del debito che fa scivolare gran parte degli stati africani in una voragine di debiti dalla quale rimane impossibile uscire se non consegnando il proprio nelle capaci mani di Pechino. Porti, aeroporti, strade e ferrovie che attraversano l’Africa e che vedono cantieri cinesi ovunque altro non sono che la metodica con cui la Cina prende il controllo economico e politico di molte nazioni che diventano un prezioso pacchetto di voti nelle assemblee internazionali.
Un altro vecchio, ma nuovo player è la Russia di Putin divenuta il primo fornitore di armi in Africa e che utilizzando la compagnia di mercenari del Wagner Group, braccio ufficioso del Cremlino, ha rovesciato 4 governi in pochi mesi cacciando la Francia dalle sue ex colonie in Africa occidentale. Sottile e avvolgente la manovra della Turchia di Erdogan che utilizza l’islam per penetrare i cuori africani. La costruzione di moschee diventa così la scusa per crescere le nuove generazioni in maniera turchizzata organizzando anche viaggi formativi ad Ankara e scegliendo di investire in stati complicati e abbandonati come la Somalia che è ormai sotto controllo turco da tempo. Anche Israele vende intelligence e tecnologia in Africa ritornando, un po’ a singhiozzo, anche all’interno dell’Unione Africana, mentre i Paesi del Golfo si muovono per il controllo della costa del Mar Rosso e in funzione anti-iraniana. Una situazione complicata e sempre in divenire nella quale l’Europa ha perso gran parte della sua influenza dimostrando una scarsa capacità di comprensione di come le vecchie tattiche di neo-colonialismo fossero diventate invise alle nuove classi politico-economiche africane. Menzione a parte meritano gli Stati Uniti che dopo le batoste subite in Somalia negli anni ’90 e il continuo disimpegno della gestione Trump, sta tentando un ritorno in Africa, ma la strada appare in salita anche per gli Usa.
Matteo Giusti
Giornalista – Rivista Limes