Antonio Mairo. L’eroismo di un carabiniere italo-argentino
Sappiamo tutti come la storia ultra bicentenaria dell’Arma dei Carabinieri sia ricca di eroismi, sia collettivi che individuali: esempi luminosi di coraggio, valore e spirito di sacrificio che sono propri di un’Istituzione molto amata dal popolo italiano, ma anche molto apprezzata a livello internazionale. Non sempre, però, la storiografia, sia quella specializzata che generalistica, ha reso onore ai tantissimi caduti che la Nobile Arma ha avuto sin dal lontano 1814, troppo spesso “sacrificati” alle logica della mancata notorietà del loro nome. Eppure, di splendide prove di eroismo, l’Arma ha accompagnato la storia del nostro Paese, con fatti accaduti sia nella Penisola che nei c.d. “territori italiani d’oltremare”, come lo era l’Etiopia, fra gli anni ’30 e ‘40. Ebbene, fra i tanti Carabinieri che irrorarono col proprio sangue quella Colonia vi fu anche un giovane sottufficiale di origini Argentine, il brigadiere Antonio Mairo, al quale dedichiamo il presente saggio, a 85 anni da quel triste evento. Il Mairo cadde eroicamente nella regione del Beghemeder nel settembre del 1937, in un contesto storico nel quale l’Arma Benemerita si trovava impegnata nelle c.d. “operazioni di Polizia Coloniale”, a contrasto della guerriglia ribelle sorta dopo la fine della guerra “Italo-Etiopica” del 1935-36. Anticipiamo solo un dato molto importante: alla sua memoria fu concessa la Medaglia d’Argento al Valor Militare, alla quale, purtroppo, non è seguita nemmeno l’intitolazione di una via.
- Da Buenos Aires a Massafra (1900 – 1918).
Antonio Mairo nacque a Buenos Aires, la bellissima Capitale federale dell’Argentina, il 13 giugno del 1900, figlio di Giuseppe, un abile barbiere, e di Rachele Castiglia, casalinga, entrambi originari di Massafra, in provincia di Taranto. Purtroppo non disponiamo di ulteriori notizie riguardo alla composizione e allo stato della famiglia d’origine del nostro protagonista, pur avendo inoltrato a suo tempo un’apposita e motivata richiesta al Sindaco di Massafra, alla quale non è seguita a tutt’oggi, purtroppo, alcuna risposta ufficiale[1]. I Mairo, come è facile intuire, appartenevano alla lunga schiera di italiani che erano emigrati nell’ospitale Argentina a cavallo fra Ottocento e Novecento, trovando in Buenos Aires un livello di vita molto più decoroso rispetto alla Madrepatria italiana, soprattutto riguardo al Mezzogiorno. Antonio visse in Argentina praticamente sino ai diciotto anni, seguendo il padre nella sua professione di barbiere, ovviamente dopo aver assolto agli obblighi scolastici presso le Scuole italiane da anni attive nella stessa Capitale federale. E tale professione egli avrebbe svolto anche negli anni seguenti, qualora non fosse scoppiata quella maledettissima guerra mondiale, che ancora oggi, in tutto il mondo, viene definita per convenzione o per abitudine “Grande”, pur avendo sconquassato la vita di intere generazioni, procurando milioni di vittime. Antonio fu, infatti, uno dei tantissimi giovani italo-argentini per i quali “scattò” l’obbligo di ritornare in Italia a causa della mobilitazione militare. Era, infatti, il 9 settembre del 1918 quando il giovane, iscritto sin dalla nascita nei “Registri di Leva” del Comune di Massafra, dovette presentarsi presso il Regio Distretto Militare di Taranto, onde sostenervi la tradizionale visita per l’arruolamento nel servizio militare obbligatorio. Non abbiamo idea di come avesse fatto a varcare l’oceano, ma sta di fatto che – come conferma il suo “ruolo matricolare” ottenuto dall’Archivio di Stato di Lecce – il giovane italo-argentino si presentò <<spontaneamente>>, quindi senza alcuna forma di costrizione (ingiunzione dei Carabinieri o minaccia di denunzia ai Tribunali Militari), come, invece, accadde a molti altri giovani che preferirono rimanere dov’erano, pur di scansarsi il fronte. Dall’esito della visita medica, che il giovane sostenne nella medesima giornata apprendiamo che Antonio era alto 1,65 m., misurava un torace di 81 centimetri, aveva capelli e occhi neri e un colorito roseo. Al termine della ricognizione sanitaria, il nostro Antonio fu arruolato e, di conseguenza, destinato a un reparto combattente, visto che il Paese di trovava ancora impegnato in guerra. In attesa della chiamata definitiva, Antonio fu rispedito a Massafra, ove la locale Stazione dei Reali Carabinieri ben presto gli avrebbe comunicato il reparto di assegnazione e, soprattutto, la sede da raggiungere.
- Dai campi di battaglia della “Grande Guerra” alla Legione Allievi Carabinieri (1918 – 1920).
Il 17 settembre 1918, trascorsa poco più di una settimana dalla visita, i Carabinieri di Massafra consegnarono ad Antonio Mairo il “foglio di via”, documento con il quale il giovane diciottenne, così come era capitato ai famosi “Ragazzi del ‘99”, si sarebbe dovuto presentare presso il 39° Reggimento Fanteria della gloriosa “Brigata Bologna”. Il reparto proprio in quei giorni si trovava a combattere, agli ordini del Colonnello Gaetano Napoletano, sul fronte del Piave, che aveva raggiunto da poche settimane, dopo aver tenuto importanti posizioni sul Montello, operando nei ranghi dell’8^ Armata. Giunto faticosamente in zona di combattimento, il fante Mairo avrebbe di lì a poco partecipato alle ultime fasi della guerra. Proprio in quei giorni, infatti, la “Brigata Bologna” riuscì a respingere il nemico sulla sponda opposta del Piave, godendo poi di un brevissimo turno di riposo, terminato il quale, sia il 39° che il 40° Reggimento, che la componevano, furono di nuovo in linea sul Grappa. A partire dal 24 ottobre 1918, nel corso della celebre Battaglia di Vittorio Veneto, la “Bologna” operò con le truppe della 4^ Armata, alla quale era stato affidato il compito di sfondare il settore Primolano-Feltre, onde separare le masse nemiche del Trentino da quelle sul Piave. Nella stessa giornata del 24 la “Bologna” si slanciò all’attacco della fronte V. Stizzon – M. Forcelletta, posizione, quest’ultima, che fu conquistata in serata. Dopo i primi giorni di accanita resistenza, le truppe austro-ungariche iniziarono a cedere terreno, tanto che il 31 ottobre la “Brigata Bologna”, travolte le ultime difese a Malga Fossa di Confin e Val di Pez, ebbe la possibilità di entrare in Feltre, la quale fu liberata dal giogo austriaco, catturando quasi un migliaio di prigionieri e una grande quantità di materiale. Il 2 novembre, il reparto si sarebbe spinto sino al Col del Melone – Altin e al Col della Croce. Transitata nella 9^ Armata, la Brigata si riunì con la 47^ Divisione nuovamente a Feltre, dove avrebbe atteso la fine della guerra, per poi fare ritorno alle proprie sedi: nel caso in questione Napoli, antica sede del 39° prima dello scoppio del conflitto . Il fante Mairo rimase in forza al 39° Fanteria sino al 3 maggio del 1919, data nella quale fu posto in congedo provvisorio, quindi in attesa di un’eventuale e futura chiamata alle armi. Ciò, in effetti, avvenne il 28 gennaio del 1920, data nella quale Antonio dovette lasciare Massafra, ove nel frattempo si era stabilito, alla volta di Napoli. In verità il richiamo durò solo pochi giorni, in quanto già il 9 di febbraio il giovane fu rimandato a casa. Fu a quel punto che l’ex combattente, non avendo probabilmente la possibilità materiale di tornare in Argentina, operò una scelta importante: rimanere in Italia e trovare un’occupazione lavorativa definitiva, ma che non fosse quella di barbiere. Sia in guerra che nella stessa Massafra egli aveva ammirato da vicino il lavoro dei Carabinieri Reali, Arma della quale s’innamorò e che decise di scegliere come sua professione. E fu così che presentò la classica domanda di arruolamento presso la stessa Stazione CC.RR. di Massafra, in attesa delle successive operazioni d’arruolamento.
- La brillante carriera nell’Arma Benemerita (1920 – 1937).
L’arruolamento nell’Arma avvenne il 1° di aprile del 1920, con l’invio di Antonio alla Legione Allievi Carabinieri di Torino, ove avrebbe frequentato il corso semestrale di formazione. Terminato il corso con la promozione a Carabiniere il giovane fu assegnato alla Legione territoriale della stessa Torino. Il “ruolo matricolare” di cui facevamo cenno in precedenza è purtroppo privo delle varie destinazioni locali, vale a dire dei Comandi territoriali (Compagnie, Tenenze o Stazioni) ove il militare in questione operò a partire da quello stesso anno. Possiamo solo rilevare che si trovava ancora in forza alla predetta Legione, quando il 15 ottobre del 1925 Antonio Mairo cucì sugli avambracci della sua amata uniforme i galloni di Vice Brigadiere, prima tappa di una futura carriera nella categoria dei Sottufficiali dell’Arma. Si trattava di un grado molto impegnativo, almeno per l’epoca, in quanto allo stesso veniva spesso associato il Comando di una Stazione periferica, o quanto meno il vice comando della stessa. Come è facile intuire, i primi anni di servizio di Antonio Mairo nella Benemerita non furono certo facili, trattandosi di un contesto storico nel quale il Paese fu costretto ad affrontare uno dei suoi periodi più drammatici, caratterizzato dai forti turbamenti dell’ordine pubblico, ma soprattutto dall’avvento e dall’affermazione del fascismo. Proseguendo la carriera nell’Arma, alla quale fu fortemente legato[2] sino alla morte, troviamo che il nostro protagonista fu trasferito a Roma, presso quella Legione Allievi, a far data dal 26 gennaio del 1931, molto probabilmente come istruttore delle reclute. In realtà si trattò di un incarico destinato a durare solo pochi mesi, in quanto già il successivo 10 di luglio, Antonio dovette rifare i bagagli per raggiungere la Legione territoriale di Bologna. Antonio Mairo fu promosso al grado di Brigadiere il 31 ottobre del 1932, mentre qualche mese dopo, esattamente il 7 dicembre ’32 dovette raggiungere Genova, ove avrebbe operato presso varie Stazioni di quella Legione. Ciò sino al settembre-ottobre del ’35, data nella quale il Sottufficiale italo-argentino avrebbe, purtroppo per lui, dovuto riprendere le armi, onde partecipare all’ennesimo conflitto. Per sommi capi ricordiamo che il 3 ottobre del 1935, l’Italia dichiarò guerra all’Etiopia, volendo dare sfogo all’espansionismo coloniale fascista. Com’è noto, la guerra “Italo-Etiopica” si sarebbe conclusa il 5 maggio del 1936, con l’occupazione di Addis Abeba, da parte delle truppe italiane del Generale Pietro Badoglio, le quali, per fortuna, non subirono perdite gravosissime, mentre il Paese ne uscì con le ossa rotte a causa delle sanzioni e dell’embargo decretato dalla Società delle Nazioni. Ebbene, nel settembre dello stesso 1935 il nostro Brigadiere Mairo fu uno dei tanti Carabinieri che andarono a costituire la 403^ Sezione Carabinieri Reali, reparto destinato in Africa Orientale per le esigenze della guerra. La Sezione intera s’imbarcò nel porto della stessa Genova il giorno 12, per poi sbarcare a Bengasi il successivo 14 settembre. Il reparto combattente dell’Arma rimase in Cirenaica sino al 24 dicembre del 1936, prendendo così parte sia ai vari cimenti di quel duro conflitto, che alle successive operazioni finalizzate al c.d. “primo impianto” dello schieramento operativo territoriale dell’Arma nella nuova Colonia, rappresentato inizialmente dalla Legione provvisoria dell’Amhara[3]. Imbarcatosi a Bengasi lo stesso 24 dicembre, il nostro Mairo e l’intera Sezione, nel frattempo passata alle dipendenze della citata Legione, sbarcarono a Massaua il successivo 30 dicembre, raggiungendo così ciascuno il proprio reparto di destinazione, nel caso di Antonio la piccola Stazioncina di Arbì Ghebià, nel territorio del Beghemeder (Governo dell’Amhara), uno dei tanti minuscoli reparti che dal successivo 1° maggio 1937 avrebbero fatto parte del “Gruppo Carabinieri dell’Amhara” della neo costituita Legione di Asmara.
- La sua vita per la Patria (10 settembre 1937).
E, purtroppo, fu proprio in quello stesso frangente storico (maggio-giugno 1937) che ebbe inizio la ribellione dell’Amhara, fomentata da <<agenti propagandistici stranieri>> come ebbe a ricordare il Magg. Giovanni Celi, in un suo interessantissimo articolo. <<Deposte le armi – ricorda l’ufficiale – per procedere alacremente alla realizzazione del nuovo ordinamento e disperdere le tracce di quello che era stato un governo primitivo, ogni regione fu orientata secondo le nostre leggi e le nostre istituzioni e, per rispettando – necessariamente – usi e consuetudini dei nativi nonché religioni e tradizioni, l’azione di ognuno si rivolse alla prosperità di quella terra in un clima di pace, di attrazione e di benessere>>[4]. La rivolta dell’Amhara e, in particolare, di quella che interessò la regione del Beghemeder è stata dettagliatamente ricordata dalla storica Federica Saini Fasanotti, la quale evidenzia come il fulcro della medesima <<erano le terre aspre e montuose solcate dal fiume Tacazzè>>, luoghi ebbero inizi i primi scontri, esattamente il 24 agosto ’37, allorquando i ribelli attaccarono una Colonna italiana, la “Nobile”, composta da due Compagnie del XXV Battaglione e da una banda musulmana, agli ordini del Capitano Nobile[5]. Ebbene, nel ricostruire l’eccidio di Arbì Ghebià, ove avrebbe trovato morte gloriosa anche il nostro Brigadiere Mairo, la storica – che erroneamente riporta la data del 15 settembre, anziché quella del 10 settembre – ricorda che in quella circostanza: <<…la vice residenza di Arbì Ghebià, nel Gaint, veniva attaccata da un grosso contingente di armati che avevano il sopravvento sulle truppe italiane: le notizie, ancora incerte, riferivano che il capo del fortino al momento dell’attacco si era dato alla macchia, che il combattimento era stato “accanitissimo” e che erano morti il capitano Raimondo, il capomanipolo Mariotti, un brigadiere, due carabinieri e otto zaptiè>>[6]. Il piccolo presidio, al comando del valoroso Capitano di Fanteria Domenico Raimondo, composto, come s’è compreso, sia da elementi nazioni che coloniali, si difese ad oltranza e con grande valore, tanto che <<…esaurite le munizioni e dopo un’epica lotta, fecero olocausto della propria vita all’ombra del Tricolore>>, come ricorda il Celi[7] e così come immortalò il pittore De Vita in un suo celebre disegno a colori. Il sacrificio dell’avamposto italiano non risparmiò ovviamente la minuscola Stazione dei Carabinieri Reali, i cui componenti trovarono morte gloriosa assieme al proprio Comandante, per l’appunto il Brigadiere Antonio Mairo. I loro nomi rispondono a quelli dei Carabinieri Giovanni Pazzaglia, originario di Montemonaco (Ascoli Piceno) e Luigi Medda, originario di Iglesias, così come a quello dello zaptié Eman Gherenchiel, tutti successivamente decorati al Valor Militare “alla memoria”. Fu solo il 2 dicembre del 1937 che il Capo di Gabinetto del Ministero della Guerra, Colonnello Antonio Sorice, firmò una scarna lettera, indirizzata al Comando Presidio Militare di Taranto, con la quale si comunicava che <<La salma del brigadiere Mairo Antonio è stata sepolta nel fortino della residenza di Arbì Ghebia>>, pregando, nel contempo, tale ufficio di darne partecipazione alla famiglia, che evidentemente, lasciata l’Argentina, era tornata a vivere a Massafra[8]. Riguardo alla valorosa pagina scritta dai nostri Carabinieri in Etiopia osserviamo che, tuttavia, i nastri azzurri per i valorosi difensori del fortino di Arbì Ghebià sopraggiunsero solo a fine aprile del 1939, per effetto di un apposito Regio Decreto e che, purtroppo, non furono uguali per tutti. Mentre al valorosissimo Carabiniere Pazzaglia fu riconosciuta quella d’oro, così come la ricevette lo stesso Capitano Raimondo, la Medaglia d’argento fu conferita al Brigadiere Mairo e al Carabiniere Medda, mentre una modesta medaglia di bronzo spettò al valoroso Carabiniere di colore, lo zaptié Gherenchiel. Quella che segue è la bellissima motivazione della ricompensa concessa al povero Mairo, dalla quale apprendiamo ulteriori particolari dell’eccidio: <<Comandante di stazione Carabinieri, sede di residenza in territorio di recente conquista contribuiva con la parola e l’azione personale, durante sette ore di accanito combattimento, alla difesa del fortino attaccato da preponderanti forze ribelli. Pur ferito gravemente alla testa da un colpo di scimitarra, mentre col lancio di bombe a mano cercava di allontanare la pressione dei ribelli, continuava a combattere. Esaurite le munizioni si adunava con i superstiti attorno alla bandiera innalzata al cielo nel centro del fortino, e li, fronte al nemico, trovava morte gloriosa>>[9]. Con tale atto veniva posta la parola “fine” sulla storia personale e professionale del Brigadiere Antonio Mairo, morto a soli trentasette anni, a migliaia di chilometri da Massafra, ma anche dalla sua natia Buenos Aires, che molto probabilmente – almeno ce lo auguriamo – avrà rivisto per l’ultima volta, in occasione di qualche licenza, prima che quell’assurda guerra di conquista di una terra altrui lo strappasse alla vita.
Col. Gerardo Severino
Direttore del Museo Storico della Guardia di Finanza
P.S. Si ringraziano il Generale B. Antonino Niosi, Direttore del Centro Beni Storici e Documentali del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri e il Ten. Col. Raffaele Gesmundo, Capo Sezione del medesimo, per il materiale documentale e per la preziosissima collaborazione fornita.
[1] Con email dell’autore in data 22 novembre 2021 indirizzata al Sindaco di Massafra.
[2] Nel maggio del 1927, tanto per citare un esempio tangibile, lo troviamo fra i generosi sottoscrittori della “Fondazione dell’Arma”, con il versamento di 2 lire, così in <<Bollettino Ufficiale dei Carabinieri Reali>>, anno 1927, p. 209.
[3] Sull’argomento vgs. Rocco Vadalà, Fiamme d’argento in Abissinia. Le bande dei Carabinieri Reali alla battaglia di Gunu Gadu, Roma, Unione Editoriale D’Italia, 1937.
[4] Cfr. Giovanni Celi, Gruppo Carabinieri dell’Amara. Ricordi d’Africa, in <<Il Carabiniere>>, n. 2 del 1950, p. 5.
[5] Cfr. Federica Saini Fasanotti, Etiopia 1936 – 1940. Le operazioni di Polizia Coloniale nelle fonti dell’Esercito Italiano, Roma, Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito, 2010, p. 267 e ss.
[6] Ivi, p. 270.
[7] Cfr. Giovanni Celi, op. cit.
[8] Nota n. 77027 del Ministero della Guerra in data 2 dicembre 1937, indirizzata al Comando Presidio Militare di Taranto e per conoscenza al Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri Reali, in Archivio Ufficio Storico Arma dei Carabinieri, f.lo “Brigadiere Antonio Mairo”.
[9] Cfr. Regio Decreto 24 aprile 1939, “Concessione di ricompense al valor militare per operazioni guerresche in Africa Orientale”, pubblicato sulla <<Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia>> del 12 luglio 1939, n. 161.