Attilio Corrubia, Medaglia d’Oro al Valor Militare “alla memoria”
Nella mattinata del 5 luglio, alla presenza del Comandante Interregionale dell’Italia Meridionale della Guardia di Finanza, Generale di Corpo d’Armata Michele Carbone, del Comandante Regionale Campania, Generale di Divisione Giancarlo Trotta, del Prefetto di Avellino, Dott.ssa Paola Spena, nonché di altre Autorità Civili e Militari della Provincia e di una rappresentanza delle Fiamme Gialle della Provincia irpina in servizio e in congedo, si è svolta la cerimonia di intitolazione della caserma della Guardia di Finanza di Avellino, sede del Comando Provinciale, del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria e del Gruppo. La caserma porterà, quindi, il nome di Attilio Corrubia, Medaglia d’Oro al Valor Militare “Alla Memoria”. Presente alla cerimonia anche il Segretario del Gruppo delle Medaglie d’Oro al Valore Militare d’Italia, Tenente Colonnello M.O.V.M. Gianfranco Paglia, un’autorevole testimonianza della vicinanza del Gruppo proprio in occasione del suo centenario di vita. All’’intervento d’apertura tenuto dallo stesso Comandante Provinciale, Colonnello Salvatore Minale, ha fatto seguito quello di Gerardo Severino, Colonnello (in Ausiliaria) della Guardia di Finanza, Storico Militare, autore di un libro dedicato al giovane eroe edito per la circostanza dalle Edizioni Paguro. L’evento ha avuto il suo culmine nello svelamento della targa commemorativa di intitolazione da parte della nipote del Tenente Corrubia, la signora Liliana Franchi, madrina, accompagnata dal fratello Nicola, e dello stesso Generale Carbone.
Dopo la solenne benedizione officiata dal Cappellano Militare Don Ignazio Iacone, la cerimonia si è poi conclusa con le parole di ringraziamento della nipote e con l’esecuzione della Preghiera del Finanziere, dell’Inno nazionale e di alcuni brani musicali da parte del mezzosoprano Flavia Fioretti accompagnata, alla tastiera, da Lorenzo Savarese, del Conservatorio “Domenico Cimarosa” di Avellino. Come ha ricordato lo storico, Gerardo Severino, ’epilogo della breve esistenza di Attilio Corrubia, nato ad Avellino il 30 gennaio 1918, ultimo figlio di Giovanni Corrubia, un funzionario del Catasto e di Margherita Ginnari, entrambi originari di Barile (Potenza), ci porta nel Peloponneso, ove il giovane era Aiutante Maggiore del V Battaglione Mobilitato, all’indomani della proclamazione dell’armistizio con gli anglo-americani. L’inevitabile decisione colse tutti di sorpresa, ma, ciò nonostante, gran parte dei soldati italiani scelse la via della Resistenza. Attilio Corrubia scelse anche lui di darsi alla macchia, portandosi verso Kalavryta. Qui ottenne di poter far parte di un Battaglione partigiano del “E.L.A.S.”, il braccio armato del “Fronte di Liberazione Nazionale” della Grecia. Considerata la scarsità di uomini e di mezzi dei quali disponeva, il Battaglione accolse giocoforza i militari italiani, ivi compreso il nostro Attilio Corrubia, il quale sarebbe diventato ben presto un punto di riferimento per l’intera organizzazione, decimata dagli orribili crimini compiuti dai tedeschi anche contro la popolazione locale, tanto da colpire gli sperduti villaggi, ritenuti luoghi di rifugio dei partigiani, facendo così strage di gente inerme e indifesa. La durezza dell’inverno del ’43 indusse i responsabili del “E.L.A.S.” a disporre una frammentazione del Battaglione in tante piccoli Squadre, incaricate ciascuna di presidiare le varie località della regione, come accadde alla Squadra del Tenente Corrubia.
Ai primi di gennaio del ’44 la Squadra, dopo aver superato tormente di neve e disagi di ogni genere, giunse dalle parti di Arfarà-Abele, un minuscolo villaggio nei pressi di Eghion. Fu proprio qui che Corrubia ebbe la possibilità di mettere in piedi una modestissima guarnigione, la quale, grazie al Tenente medico della Regia Marina, Giulio Venticinque e al Brigadiere dei Carabinieri Reali, Paolino Fragale, fu ben presto dotata anche di una piccola infermeria. Pur tuttavia, la battaglia che il prode Avellinese aveva intrapreso nel settembre del ’43 non avrebbe, purtroppo, superato quei primi momenti del ’44. La storia del glorioso Battaglione ci ricorda che all’alba del 19 gennaio, verso le ore 6, un Commando composto da circa una cinquantina di alpini cacciatori tedeschi, guidato da alcune guide locali, peraltro fornito di precise informazioni pervenute da collaborazionisti greci, irruppe violentemente nel villaggio di Arfarà, sorprendendo praticamente nel sonno la Squadra del Corrubia, la quale non ebbe il tempo materiale di reagire. I tedeschi penetrarono all’interno dell’infermeria, catturando i tre militari italiani, ma anche un’infermeria di nome Maria. Sarebbe stata, poi, la stessa Maria a tradire i partigiani, cedendo sotto interrogatorio. Purtroppo, sia per il Tenente Corrubia che per il collega della Regia Marina non ci fu alcuna possibilità di scampo, anche perché dopo la fuga del Fragale, i tedeschi evitarono di perdere di vista tutti i fermati. Anzi, come ricordarono alcuni testimoni, fu proprio nello stesso luogo della cattura che gli aguzzini germanici iniziarono l’interrogatorio della Fiamma Gialla, nella speranza di ricavarne notizie utili onde pervenire all’annientamento dell’intero Battaglione.
Seguendo il loro tradizionale rituale, i tedeschi tentarono vari approcci pur di convincere Attilio a parlare. Di fronte al fiero contegno dimostrato dal Finanziere, dalle promesse di liberazione passarono alla violenza, sottoponendo il povero ragazzo ad ogni sorta di tortura. Secondo la testimonianza fornita dal Brigadiere Fragale, i due eroici ufficiali furono condotti, verso le 11 dello stesso giorno ad Eghion, ove nel frattempo erano giunti altri reparti tedeschi di rinforzo. Legati ad una sedia e bendati, Attilio e l’amico Giulio furono inizialmente schiaffeggiati; quindi, percossi con il calcio dei fucili, addirittura con scarponi chiodati, ma anche frustati con corde bagnate. Nonostante il forte dolore provato, i fieri italiani non parlarono. Non lo fecero né in quel tragico giorno, né nei tre che gli rimasero da vivere. Ingiurie, sevizie, minacce e intimidazioni non li avrebbero certamente piegati.
I tedeschi sapevano benissimo, grazie ai propri informatori, che il Tenente Corrubia non era solo un mero Comandante di Squadra. Ciò spiega il perché essi reiterarono ostinatamente gli interrogati per quattro lunghi giorni. A quel punto i tedeschi si dovettero arrendere di fronte alla scelta di non tradire, intrapresa dai due italiani. Fu così inscenata una sorta di Corte Marziale, ove ovviamente non fu ammessa alcuna forma di contraddittorio, né tantomeno la difesa degli imputati. Scontata fu naturalmente la sentenza: la condanna a morte mediante impiccagione, piuttosto che la fucilazione, procedura certamente più consona e prevista dalle stesse leggi di guerra. E fu così che la giovane vita di Attilio Corrubia, così come quella dell’ufficiale medico Giulio Venticinque, si spense verso le ore 10 del 23 gennaio 1944, nella piccola piazza principale del villaggio di Eghion.
Attilio Corrubia esalò l’ultimo respiro senza un grido, senza un lamento, da vero soldato che sa morire per la Patria. Il 30 gennaio avrebbe compiuto 26 anni. Le uniche parole che ebbe modo di pronunciare prima che il cappio gli avvolgesse la gola furono di disprezzo contro i tedeschi, così come ricordarono alcuni testimoni oculari. Nonostante le ricerche compiute sia dalla Croce Rossa Internazionale che da quella Italiana, alla quale si era rivolta, la famiglia Corrubia non seppe mai dove fosse stato realmente sepolto il proprio congiunto.
Giulio Marsili