Cima Grappa. Architetture della memoria
“Come per l’individuo ricostruire la propria storia è un modo per conoscersi e per creare un’immagine di sé, altrettanto avviene per il gruppo sociale, che grazie al ricordo degli eventi passati crea un’identità e un sistema di valori in grado di compattarlo e di farlo funzionare. L’iscrizione del proprio passato nello spazio è quindi una modalità di conservazione della memoria, pratica presente e centrale in qualsiasi gruppo sociale”.
Con queste parole Paola Sozzi introduce quello che è il primo studio semiotico della Zona Monumentale di Cima Grappa, che con il complesso architettonico composto dal Sacrario italiano, dalla Via Eroica, dal Portale di Roma e dall’Ossario austro-ungarico rappresenta uno degli esempi più emblematici della selezione e della manipolazione della memoria storica operata dal regime fascista. Se la memoria collettiva, infatti, ha bisogno di tradursi in discorsi o luoghi, quella che prende le forme di un sacrario militare trasmette una precisa immagine degli eventi bellici passati.
Il Massiccio del Grappa fu nell’ultimo anno della Grande Guerra teatro di tre grandi battaglie che portarono alla vittoria finale italiana contro gli austro-ungarici: di quei fatti così sanguinosi quale memoria è stata trasmessa, e come è stata rappresentata? Quale immagine della guerra si è voluto rimandare, e mediante quali percorsi si è pensato di coinvolgere il visitatore di allora? Che cosa può davvero comprendere invece il visitatore di oggi, di fronte a questa soverchiante opera in pietra, che per lui rischia di rimanere silenziosa? E infine, come mai il Monumento al Partigiano, successivo di qualche decennio, non po’ dialogare con il vicino Sacrario?
A queste domande risponde in maniera organica ed esaustiva non solo il presente testo, ma anche la serie di fotografie inedite realizzate appositamente da Giuseppe Dall’Arche.
In esclusiva per Giorni di Storia il racconto di un luogo della memoria approfondito nel libro a cura di Giovanna Frene con i testi di Paola Sozzi, corredato dalle fotografie di Giuseppe Dell’Arche.
Cima Grappa. Architetture della memoria
di Paola Sozzi
“Cima Grappa. Architetture della memoria” è un libro corale. Nato in occasione del centenario dalla fine della Grande Guerra, ha lo scopo di raccontare la storia del Monte Grappa da una prospettiva diversa, ossia a partire dai luoghi della memoria che vi sono stati costruiti per preservare il ricordo dei combattimenti avvenuti sul monte nella seconda metà della Prima Guerra mondiale.
Il libro nasce da una tesi magistrale in semiotica, che scrissi circa 8 anni fa, ma è ora un’opera a sei mani, in cui la saggistica divulgativa si intreccia alla fotografia e alla poesia. Un esperimento sicuramente insolito che si deve alla mente di Giovanna Frene, poetessa e studiosa nata sotto il Monte Grappa. Imbattutasi nella mia tesi, Giovanna immagina che possa diventare il libro che è oggi e mette in piedi un nutrito gruppo di persone che possano seguire il lavoro: il sindaco di Crespano del Grappa Annalisa Rampin e il suo staff, gli storici Lorenzo Capovilla e Daniele Ceschin, e soprattutto il fotografo Giuseppe Dall’Arche, al quale affida il compito di costruire un vero e proprio controcanto visivo al testo, di modo che immagini e parole si bilancino in un discorso dai forti colori emotivi, che aggiunge uno spessore vivido all’esperienza di lettura.
Tutti sanno che il Piave mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il 24 maggio. Non tutti sanno però che il Piave e le sorti della guerra che vi fu combattuta, da Caporetto in poi, si devono anche ai combattimenti svoltisi sul Monte Grappa, che sorge su uno dei lati del fiume. Forse chi è andato a scuola negli anni Sessanta ne ha studiato la canzone e riesce a connetterlo all’Arma degli alpini. Forse gli appassionati di storia lo conoscono ancora meglio, ma il Monte Grappa è passato nel corso del Novecento dall’essere una delle figure più famose della memoria e dell’identità nazione (incluso nel libro “Luoghi della memoria. Simboli e miti dell’Italia unita” di Mario Isnenghi) ad un posto quasi sconosciuto alle nuove generazioni, meta al massimo di piacevoli gite fuori porta per visitare il maestoso cimitero e sacrario che trova posto sulla sua cima.
Il libro “Cima Grappa” è dedicato proprio allo studio di questo luogo, al sacrario e cimitero costruito dal fascismo e a tutti i monumenti, cippi e memoriali che vi sorgono intorno. Si ripercorre così la storia di questo luogo, e quindi la storia dell’ultimo secolo d’Italia, mentre si cerca di ricostruire l’esperienza di visita del visitatore odierno, attraverso lo sguardo “decostruttivo” della semiotica. Disciplina connessa alle scienze del linguaggio, la semiotica negli ultimi anni è stata applicata anche agli spazi: siamo abituati a vedere un libro o un quadro come un’opera uscita dalle mani di un autore e quindi come qualcosa che incarna una determinata visione della vita o del mondo, che esprime un punto di vista che si può studiare e analizzare. Ma le scienze sociali hanno scoperto nel secolo scorso che dovremmo avere questa abitudine anche con i sistemi di leggi, con i riti sociali che cimentano la nostra collettività, con l’organizzazione dello spazio nel quale viviamo. Ciascuna di queste sfere, infatti, ciascuno di questi linguaggi o pratiche incarna una certa prospettiva, individuale o collettiva, sul mondo. La modifica e l’organizzazione dello spazio di vita di una società è così uno dei meccanismi più efficaci per cimentare una determinata ideologia, per tramandare una memoria, per costruire un modo di vivere e quindi un’identità collettiva.
Ci si può allora chiedere: perché costruire un monumento in questo luogo? Come mai il governo fascista volle costruirlo così? Che tipo di narrazione porta avanti di quel tremendo episodio che fu la prima guerra mondiale, primo grande trauma collettivo del giovane Regno d’Italia? É infatti chiaro che sul monte si è giocata una “partita ideologica” di estremo interesse: dal 1901 ad oggi, qualcuno ha costruito, distrutto, aggiunto o tolto qualcosa da questa piccola cima. Prima un sacello alla Madonna, poi un fortino di guerra, poi un cimitero interrato, che il fascismo chiuse per costruire l’enorme percorso ascensionale in pietra che oggi accoglie un cimitero italiano, un cimitero austroungarico, un nuovo santuario alla madonna, una via eroica. E poi, ancora, visto che il Monte Grappa fu anche teatro di una delle più sanguinose battaglie della Resistenza, vi si eressero un piccolo cippo e poi un vero e proprio memoriale. Seguì la sistemazione di un museo, una lunga serie di piccoli cippi, di nuovi interramenti; il tutto in uno spazio che cambia incessantemente, da più di cento anni.
Che senso ha allora tornare ancora a parlarne? Cosa coglie il visitatore di oggi di tutto ciò? Come il Monte Grappa divenne il “monte sacro” degli italiani, simbolo del coraggio della difesa? E come mai, oggi, abita la memoria di pochi, se vi si dedicarono canzoni e monumenti in pietra? A tutte queste domande il libro prova a rispondere e lo fa usando tre voci e tre linguaggi: testo, fotografia e poesia si uniscono a costruire un piccolo viaggio tra le pietre del monte, architetture di una memoria che, per non morire, ha necessità di essere costantemente letta, attraversata e messa in discussione.
A cura di Giovanna Frene, testo di Paola Sozzi, fotografie di Giuseppe Dall’Arche
ZeL edizioni, Ponzano Veneto, 2018