Fronte dell’aria. Storie di cronisti nella Regia Aeronautica
Inviati di guerra con lo zaino pronto e gli occhialoni in mano per salire a bordo di bombardieri e velivoli da ricognizione, ma anche impugnando una cloche per atterrare sui campi volo più lontani e raccontare un conflitto che dal 10 giugno 1940 fino all’8 settembre 1943 diventerà sempre più difficile per la Regia Aeronautica nata il 28 marzo 1923. Storie, racconti, fotografie e documenti d’archivio pubblicati su “Fronte dell’aria” del giornalista e saggista Vincenzo Grienti che sta abituando il pubblico di lettori a inquadrarlo come un “inviato nella storia” sempre pronto a far emergere storie inedite ed originale. Grienti ha spulciato gli Archivi dell’Ufficio Storico dell’Aeronautica Militare tra il 2020 e il 2023, in pieno periodo Covid, per pubblicare un lavoro storico-divulgativo arricchito da un’ampia bibliografia e da un repertorio pubblicistico fatto di articoli, reportage, fumetti, corrispondenze dei cronisti che vennero “mobilitati” per seguire il “fronte aeronautico”.
Cronisti “con le ali” che volarono in Francia, Grecia, Albania, ma anche nella Battaglia d’Inghilterra e durante le operazioni in Africa Settentrionale e Orientale fino alla campagna di Russia. E’ il caso del capitano pilota di caccia e giornalista Enrico Meille oppure di Carlo Maurizio Ruspoli, l’ufficiale pilota che montò una cinepresa sul suo Macchi C. 200 per filmare i combattimenti aerei. Rischiarono la vita e spesso morirono durante le azioni come nel caso dello specialista fotografo Francesco Maiore, Medaglia d’Oro al valor militare, rimasto ucciso nel 1942 nei cieli del nord Africa.
Un’epopea, quella dei “Corrispondenti di guerra e operatori fotocinematografici” che vennero richiamati in servizio dopo l’ingresso dell’Italia nel conflitto il 10 giugno 1940. Altri, invece, erano già in armi. Tutti, pur di inviare le loro corrispondenze dovettero combattere con il nemico, ma anche con la censura del regime in un contesto storico di propaganda e di guerra delle informazioni. “Sarebbero diventati protagonisti e testimoni di una generazione che si consumò al servizio dell’Italia del tempo in una guerra combattuta anche a colpi di titoli a nove colonne, bollettini e messaggi radiofonici – spiega Grienti che ha condotto ricerche anche nell’emeroteca dell’Ufficio Storico dell’Aeronautica Militare riportando alla luce documenti e articoli di quotidiani e periodici che fotografano un periodo della storia del giornalismo italiano -. Se Indro Montanelli, Curzio Malaparte, Egisto Corradi, Dino Buzzati e Paolo Monelli, solo per citare alcune grandi firme, raccontarono le vicende belliche a bordo delle unità della Regia Marina oppure al seguito del Regio Esercito, giornalisti come Raffaello Guzman, Maner Lualdi, Leone Concato, Luigi Cucco, Vittorio Beonio Brocchieri e tantissimi altri scrissero reportage per il Corriere della Sera, Il Tempo, La Stampa, Il Messaggero e per periodici come Tempo, Cronache dalla Guerra, La Domenica del Corriere e Ali di Guerra. “Molti di loro avevano già conseguito il brevetto di pilota civile e, una volta mobilitati, chiesero di andare al seguito degli Stormi, dei Gruppi e delle Squadriglie della Regia Aeronautica – prosegue Grienti -. Altri invece erano già piloti militari, ma con un talento per la scrittura e la narrazione”. Il volume ripercorre le origini del giornalismo aeronautico e il suo sviluppo dopo il 28 marzo 1923 di pari passo con l’industria cinematografica che già nel 1938 aveva prodotto film come Luciano Serra pilota di Goffredo Alessandrini con Amedeo Nazzari e successivamente avrebbe distribuito nelle sale pellicole come Un pilota ritorna (1942) di Roberto Rossellini con Massimo Girotti.
“Se raccontare in diretta una guerra resta l’esperienza più pregnante, coinvolgente e professionalmente ricca che un giornalista può vivere, è però anche vero che la cosa si complica se nel conflitto è implicato da combattente anche il proprio Paese – spiega nella prefazione l’inviato del Corriere della Sera Lorenzo Cremonesi -. I motivi sono evidenti: in questo caso il reporter è inevitabilmente condizionato dalla censura militare, dalle scelte di campo della testata per cui lavora, dalle sue sensibilità personali. Non a caso, i servizi per il Corriere della Sera di Luigi Barzini – considerato il principe degli inviati di guerra italiani – concernenti il conflitto russo-giapponese nel 1904-5 sono molto migliori che non quelli che scrisse seguendo le unità italiane durante l’invasione della Libia nel 1911, o i reportage dalle battaglie delle due guerre mondiali. Di questi limiti è ben consapevole anche Vincenzo Grienti in questo ben documentato e importante volume che racconta episodi e dinamiche ormai sconosciuti dal grande pubblico, e probabilmente anche dalle nuove generazioni di lettori appassionati della storia della Seconda guerra mondiale, riferiti alle attività della Regia Aeronautica Italiana tra il 1940 e il 1943, così come narrate dai giornalisti che furono embedded con i piloti – aggiunge Cemonesi -. Per molti anni quei racconti, assieme ai ricchi reportage fotografici del tempo, sono stati dimenticati, quindi le sensibilità dettate dalle mode culturali tra la seconda metà degli anni Sessanta del Novecento e tutta la decade seguente hanno condotto a sminuirli, sino spesso a giudicarli in blocco come sottoprodotti del Minculpop e in generale della propaganda imposta dal regime fascista. In realtà, rileggerli oggi con mente aperta conduce a riscoprire un mondo di coraggio e abnegazione personale, oltre alla forza del racconto del giornalista determinato a stare davvero sul campo, che certamente merita di essere conosciuto”.
Non ci fu solo il “cronista volante” Vittorio Beonio Brocchieri, che col suo “caproncino” decollava a piacimento verso gli altopiani etiopi invasi dalle truppe italiane o seguiva dall’alto la sfida contro la Royal Navy per il mare di Malta e il controllo delle rotte per assicurare l’arrivo dei convogli navali al Nord Africa. Grienti, storico e narratore, ci ripropone per esempio le cronache avvincenti di giornalisti-piloti della bravura di Enrico Meille, il comandante della 371esima Squadriglia autore di decine di articoli sia per Le vie dell’aria che per il Corriere della Sera.
“Nel maggio del 1940, nell’imminenza dell’entrata in guerra, il ministro della Cultura Popolare, Alessandro Pavolini, riunì i direttori delle principali testate e i capi delle redazioni romane per avvertirli che un futuro ormai molto prossimo li avrebbe chiamati a recitare un ruolo di primo piano – scrive nella post-fazione il generale di brigata aerea Urbano Floreani, Capo del 5° Reparto Comunicazione dello Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare – . Il regime, che molto doveva alla spinta propulsiva e alla cultura del giornalismo, nell’incalzare dell’ora non poteva infatti fare a meno dell’apporto di quello che era, e in parte è ancora, un formidabile strumento di propaganda e di costruzione del consenso. Ne derivava l’intenzione di gestire gli inviati speciali, i corrispondenti di guerra, secondo un modello nuovo, inserendoli a pieno titolo nei comandi e nei reparti e ricorrendo a tal fine allo strumento del richiamo in servizio. Il progetto si ispirava in parte al modello tedesco e, nell’anticipare l’idea oggi familiare del giornalista embedded, aveva in sé elementi di forte modernità. I risultati non furono peraltro quelli sperati, almeno per quanto riguarda l’immediatezza e la continuità del racconto: i corrispondenti di guerra italiani mantenevano un forte rapporto di dipendenza con le loro testate, operanti in un regime di concorrenza, e alle conseguenze della competizione che ne derivava si aggiungevano gli inconvenienti dovuti al moltiplicarsi delle autorizzazioni necessarie, con il sovrapporsi di almeno quattro livelli di censura e le difficoltà legate all’inoltro degli articoli con mezzi di trasmissione occasionali – prosegue il generale Floreani -. Il concetto stesso di embedded risultava di difficile applicazione per la tendenza a presidiare soprattutto gli alti comandi, dove era più facile avere notizie e costruire un quadro d’insieme della situazione. Le corrispondenze finivano quindi con l’avere un contenuto finalizzato a illustrare la vita del combattente a uso del fronte interno piuttosto che a integrare il contenuto informativo dei bollettini diramati quotidianamente del Comando Supremo che, per il naturale esaurirsi di questo filone narrativo, lasceranno tutto lo spazio ai comunicati ufficiali e agli articoli di redazione”.
Una vicenda, quella degli inviati speciali, che resta complessa e nella quale si intrecciano tutte le contraddizioni della guerra italiana, spiega il generale Floreani “ed è merito dell’autore averla ricostruita in modo convincente ed efficace proponendone un quadro da cui emerge con chiarezza come il tentativo di utilizzare l’informazione a sostegno dello sforzo bellico sia riuscito solo in minima parte, e anche come il lavoro del corrispondente di guerra debba sempre far fronte a difficoltà strutturali che all’epoca erano enfatizzate dai limiti dei mezzi a disposizione. Proprio per queste sue caratteristiche il volume, che si legge con grande facilità, è di sicuro interesse non solo per il cultore di storia ma anche per quanti debbano confrontarsi con il tema della pubblica informazione nel contesto di operazioni militari comunque declinate”.
Il libro, disponibile nello store di Amazon dell’Aeronautica Militare, può essere richiesto in tutte le librerie d’Italia, e resta una pubblicazione utile a ricercatori ed appassionati come base di partenza per approfondire ulteriormente un tema spesso toccato da storici, studiosi e giornalisti, ma con un taglio differente.
Laura Malandrino