Gli italiani d’Argentina accanto alle gente di Buenos Aires colpita dalla “febbre gialla”
Centocinquant’anni orsono, fra gennaio e maggio del 1871, la bellissima città di Buenos Aires fu sconvolta da una terribile epidemia di “febbre gialla”, la malattia virale acuta trasmessa dalle zanzare, meglio nota in campo scientifico col nome di “tifo itteroide”, ovvero con quello di “ittero tifoide”. L’epidemia si trasformò in una vera e propria apocalisse, soprattutto se si pensa che la popolazione di Buenos Aires in quel frangente storico ammontava a circa duecentomila abitanti, per non parlare di tutte le persone che occasionalmente vi si trovavano in quanto addette ad attività mercantili e commerciali. Secondo le cronache del tempo, ben due terzi della popolazione porteña fuggì, dandosi a girovagare per i campi, emigrando in Brasile o addirittura affrontando il Rio de la Plata in direzione di Montevideo, peraltro colpita anch’essa dallo stesso morbo. Il picco maggiore si verificò agli inizi di aprile e nella stessa settimana di Pasqua, facendo registrare il numero più elevato di vittime, calcolato in media fra gli 800 e i 1000 morti al giorno. L’epidemia causò, purtroppo, moltissimi morti tra i porteños (ben 13.614, anche se altre fonti parlano di più di 20.000 perdite), moltissimi dei quali erano emigrati italiani, buona parte già naturalizzati argentini, mentre altri erano giunti in città da pochi mesi, all’indomani di quel grandissimo esodo del quale abbiamo già trattato in altri contributi storici pubblicati su questo stesso sito. L’epidemia, in realtà, vide gli italo-argentini impegnati anche nella delicatissima fase dei soccorsi e delle cure mediche, meritando il plauso sia delle autorità argentine che di quelle del Regno d’Italia. Si tratta, questa, di una pagina poco conosciuta della tormentata storia dell’emigrazione italiana nel mondo: una storia intrisa di altruismo, di generosità e di altissimo valore civico, come cercheremo di documentare attraverso questo modesto contributo.
- La strage della comunità italiana di Buenos Aires.
I primi casi di “febbre gialla”, portati, molto probabilmente, secondo alcune fonti, da alcuni soldati reduci dalla recente campagna di guerra contro il Paraguay, ove l’epidemia era scoppiata mesi prima (secondo altre, invece, dai prigionieri di guerra tornati dal Brasile, contagiando la città di Corrientes), si registrarono a Buenos Aires già nel corso del 1870, come è emerso da un’ordinanza di Sanità Marittima emessa dal Regno d’Italia nella primavera di quello stesso anno. L’epidemia, in realtà, fu inizialmente sottovalutata dalle autorità Governative, tant’è vero che già verso la fine di gennaio del 1871, essa fece temere il peggio, portando alla memoria degli argentini quanto era accaduto appena pochi anni prima. Esattamente tra il 1867 e il 1869, la città, così come gran parte dell’Argentina centro-occidentale, erano state, infatti, colpite da una violenta epidemia di colera, la quale avrebbe causato nella sola capitale più di 3.000 vittime. Quella degli italiani fu, purtroppo, la comunità straniera stanziata a Buenos Aires fra le più colpite dall’epidemia. Secondo alcune fonti, il numero supererebbe le seimila unità, mentre risulterebbe più attendibile il dato fornito dalla Statistica Generale del Regno d’Italia, stilata alla data del 31 dicembre dello stesso 1871, secondo la quale, invece, il numero esatto fu di 5.000 perdite[1]. In ogni caso si tratta di un numero considerevole, essendo poco più di un terzo del numero complessivo di tutte le vittime che la città ebbe a soffrire[2].
Gli italiani pagavano, così, il durissimo prezzo di una “scelta di vita”, quella cioè di aver lasciato la propria Patria in cerca di una vita migliore. Le zone più colpite dal morbo furono i quartieri di San Telmo e Monserrat, noti per le drammatiche condizioni di sovraffollamento, e gli insediamenti lungo il Riachuelo. Gran parte delle vittime italiane della “febbre gialla” vivevano, oltre che nel popoloso rione de “La Boca”, soprattutto nel barrio detto “Barracas” (magazzino), uno dei più popolosi quartieri bonaerensi ove si era attestata gran parte della considerevole comunità di liguri e lombardi, trapiantata in Argentina ancor prima dell’unificazione italiana del 1861. Il “Barracas” è collocato nell’area a sud della capitale, lungo la sponda destra del fiume Riachuelo, che praticamente rappresenta il confine fra il territorio porteño con la provincia di Buenos Aires. Il suo nome era dovuto al fatto che sul finire del Settecento vi erano sorte numerose baracche, magazzini, mattatoi e persino concerie. Queste, in seguito furono lentamente soppiantate da abitazioni private, spesso di proprietà di famiglie benestanti, conseguenza logica di quella crescita e di quell’espansione urbanistica cui fu oggetto la capitale porteña. Ciò nonostante, il quartiere aveva continuato ad ospitare non solo molte baracche di emigrati, ma anche e per motivi logistici alcune delle predette attività economiche, che necessitavano di forti quantitativi di acqua ed a causa delle quali il Riachuelo aveva aumentato il livello di contaminazione, con conseguenti problemi per la salute umana. L’epidemia del 1871 avrebbe devastato letteralmente il quartiere degli italiani (e degli emigrati in generale) e ne cambiò per sempre la composizione della popolazione. Il morbo, infatti, nel fare strage fra gli abitanti, determinò il trasferimento altrove delle famiglie più ricche sopravvissute alla tragedia, le quali presero a sistemarsi a Nord della città, nel c.d. “Barrio Norte” (dando vita agli attuali quartieri di Retiro e Recoleta, più arieggiati e salubri), abbandonando così il “Barracas” alla gente più povera, ovvero ai tanti emigranti che man mano arrivavano dall’Europa. Negli anni successivi, infatti, la popolazione di “Barracas” cambiò decisamente composizione, grazie all’arrivo di masse sempre più elevate di emigranti italiani, spagnoli ed ebrei, i quali avrebbero conferito al quartiere un aspetto ancor più popolare ed operaio, peraltro mantenendo ancora in vita i c.d. “conventilli”, grandi casermoni ove le condizioni di vita non erano certo ottimali.
- La generosità e il valore degli italo-argentini.
Fra gennaio e maggio del 1871, lo squallore, il lutto, la miseria, e la disperazione più nere sembrarono regnare in quella ricchissima e bellissima città, che tanti italiani aveva attratto, consentendo loro una vita più decorosa, ma soprattutto un futuro migliore. Era chiaro, a quel punto, come quei “nuovi argentini” dovessero essere «primi fra i primi» nel tentare il tutto e per tutto pur di soccorrere la popolazione sofferente, e non certo solo quella di origine italiana, come si potrebbe erroneamente supporre. A tal riguardo, un elemento poco noto, riguardo alla storia di questa grande tragedia argentina, tira in ballo la storica “Società Italiana di Unione e Benevolenza”, in quel frangente presieduta da Achille Maveroff (celebre imprenditore milanese fondatore del quotidiano “La Nazione Italiana”), un nobilissimo sodalizio fondato a Buenos Aires il 18 luglio del 1858, la cui sede, proprio durante la devastante epidemia del 1871, fece le veci di un vero e proprio lazzaretto, assicurando l’assistenza sanitaria non solo ai propri connazionali, ma anche agli altri cittadini bonaerensi. Anche l’Ospedale Italiano, situato all’incrocio B di calle Olívar e avenida Caseros, nel barrio di San Telmo, a breve distanza dai quartieri della Boca e di Barracas, ancora non del tutto terminato, servì allo scopo, tanto da essere trasformato in un sanatorio, così come era già accaduto ai tempi del colera[3]. Molti furono i medici italiani che rischiarono in prima persona pur di salvare quante più vite umane fosse possibile, come fecero, tanto per citare un esempio tangibile, il dottor Carlo Gallarani, un ex ufficiale medico della Regia Marina di cui tratteremo a breve, il dottor Gaetano Cadario, originario di Besozzo, in provincia di Varese, ma anche il dottor Achille Gemme, che sul morbo scrisse anche un apposito trattato[4]. Come era già accaduto in passato e così come sta accadendo ancora oggi, con la pandemia in corso, molti furono i caduti nell’ambito degli addetti al servizio sanitario. Il solo “Corpo Medico” di Buenos Aires avrebbe lasciato sul campo ben 14 morti a fronte di un organico di 75 unità che operavano in una città così grande e con un altissimo numero di abitanti. Alcuni di loro erano per l’appunto di origini italiane.
Lo stesso Ministro Plenipotenziario del Regno d’Italia a Buenos Aires, Conte Enrico della Croce di Dojola, coadiuvato dal Console Generale, Cav. Candido Negri (lo stesso che in seguito, colpito anch’egli dal morbo, scamperà alla morte per puro miracolo), fornì la massima collaborazione, sia alle autorità municipali porteñe, che alla “Commissione Popolare”, composta da personalità scelte appartenenti alle varie comunità cittadine, la quale avrebbe provveduto, giorno e notte, alle numerose incombenze connesse all’organizzazione del “cordone sanitario” e della cura dei sofferenti, ma non solo a queste, evidentemente, come vedremo nel prossimo capitoletto. Il Ministro plenipotenziario italiano rimase a Buenos Aires finché le condizioni di sicurezza lo resero possibile, costretto in seguito (aprile 1871), così come accadde per le altre Rappresentanze diplomatiche straniere, a trasferire la sede della Legazione in località Chivilcoy, ad una trentina di chilometri da Buenos Aires, una delle ultime stazioni della linea ferroviaria che portava in Cile. Sia da Buenos Aires che da Chivilcoy, il Conte della Croce non mancò di relazionare il Ministro degli Affari Esteri, Conte Emilio Visconti Venosta, inviando a Firenze (la Capitale del Regno non si era ancora trasferita del tutto a Roma), frequenti resoconti riguardo alla gravissima situazione in cui versava della nostra Colonia. Fu, infatti, proprio una sua “informativa” spedita il 29 maggio 1871 che annunciò al Paese la circostanza secondo la quale sul finire di quello stesso mese l’epidemia di “febbre gialla” stava lentamente scomparendo[5].
La tragedia Argentina era, del resto, tenuta sotto attenzione dallo stesso Governo italiano, così come dall’intera comunità nazionale, la quale si strinse attorno alle famiglie delle tantissime vittime, dando vita ad un’apposita “Commissione per le famiglie bisognose vittime della febbre gialla a Buenos Aires”, la quale, anche grazie al Consolato Argentino in Italia (allora retto dal Console Filipani, con sede in Roma, via Roma, n.7), si diede da fare onde inviare in Argentina sia i fondi raccolti che le derrate alimentari e i medicinali, colà trasferite a mezzo di alcune navi della nostra Regia Marina. Uno dei risvolti più tristi che la comunità italiana di Buenos Aires dovette affrontare fu rappresentato dai tentativi, risultati spesso vani, di evitare il contagio del morbo. Seguendo l’esempio di molti porteños gran parte degli italo-argentini tentò di varcare i confini della provincia di Buenos Aires, che rimaneva la più colpita, ma anche di guadagnare il mare in direzione dell’Italia. Le cronache del tempo ci ricordano, purtroppo, il fatto che tutta Europa fu costretta a ricorrere ai ripari, emettendo ordini che vietassero l’approdo nei propri porti di navi provenienti sia dall’Argentina che dall’Uruguay, ovvero che ne ordinassero la quarantena per quelle ammesse all’ancoraggio. Il provvedimento, peraltro, era stato preso anche da parte del Regno d’Italia, il cui Ministro dell’Interno, Giovanni Lanza, già il 20 maggio 1870 – quindi esattamente un anno prima della fine dell’epidemia – aveva emesso, come anticipato prima, un’apposita ordinanza di Sanità Marittima, con la quale si ordinava che tutte le navi provenienti dal litorale della Repubblica Argentina, partite dopo il 1° aprile di quell’anno fossero sottoposte ad isolamento contumaciale. Questo avvenne principalmente presso il grande porto di Genova, ove fu trasformato in lazzaretto il bagno penale del Varignano, operazione per la quale fu autorizzato, con Regio decreto del 27 luglio 1871 lo stanziamento di £. 40.000[6].
- La benemerita “Commissione Popolare”.
Occorre ricordare che in quel momento storico, l’Argentina stava affrontando uno dei suoi momenti più difficili, essendo uscita da poco dalla guerra contro il Paraguay, scoppiata il 4 maggio del 1865 e terminata nel corso del 1870. A tale dato bisogna aggiungere anche il fatto che il presidente in carica, Domingo Faustino Sarmiento stava impegnando tutte le forze militari in campo, peraltro reduci dalla guerra appena conclusa, onde contrastare la rivolta che il colonnello Ramon Lopez Jordan aveva innescato nella provincia di Entre Rios, determinando la morte del Generale Urquiza. Il Jordan, speranzoso di prendere il potere di quella importante provincia della Repubblica Argentina, poneva per l’ennesima volta le distanze dei “confederati” da Buenos Aires, come abbiamo già ricordato in altri contributi pubblicati su questo stesso sito. L’ennesimo “stato di guerra civile” nel quale piombò nuovamente il Paese Sud Americano determinò un forte disorientamento da parte delle autorità, sia nazionali che locali, le quali non furono immediatamente in grado di organizzare le opportune “contromisure sanitarie”, onde fermare in tempo la diffusione del morbo nei vari e popolosi quartieri di quella che alcuni ritenevano essere ancora la “capitale provvisoria” della Repubblica. E fu proprio in tale ambito che nacque l’idea di istituire la citata “Commissione Popolare”. Ebbene, prima di ricostruire il ruolo avuto dalla “Commissione” occorre dire che la vera anima pulsante della stessa fu l’ex Medico di Corvetta del Corpo Sanitario Militare Marittimo della nostra Regia Marina, il dottor commendator Carlo Gallarani di Sant’Ambrogio[7]. Questi, originario di Cento, nel Ferrarese, ove era nato nel 1839 da nobile famiglia di origini Senesi (localmente registrata “Gallerani”), in quel contesto storico viveva a Buenos Aires (calle Tacuari, 77), ove esercitava la professione di medico[8]. Il Gallarani aveva fatto parte della Regia Marina sino al 1° giugno del 1868, imbarcato sulla piro cannoniera “Veloce” della Stazione Navale del Plata, che la Forza Armata aveva da molti anni allestito in quell’area onde vigilare sul Rio de la Plata, e che in quel frangente storico (1871) si trovava agli ordini del capitano di vascello Corrado Jauch[9], con le piro-cannoniere “Veloce” e “Ardita” e il magazzino galleggiante “De Geneys”[10].
Le cronache del tempo ci ricordano che fu proprio il dottor Gallarani il primo sanitario che diagnosticò la presenza in Buenos Aires della “febbre gialla”, grazie anche al ruolo da lui svolto all’interno di quel porto. Non solo, ma il coraggioso ex ufficiale medico della Marina italiana ne fu contagiato per ben due volte, riuscendo per fortuna a guarire, potendosi così dedicare anima e corpo alle opere della citata “Commissione”. Ebbene, la “Comision Popular” sorse spontaneamente sul principio della stessa epidemia, allorquando alcuni esponenti dell’aristocrazia e della buona società porteña decisero di darsi da fare personalmente, pur di alleviare le sofferenze della popolazione, afflitta e disarmata dinanzi a tanta miseria. Erano, quelli, giorni nei quali a Buenos Aires i negozi erano tutti chiusi, le strade deserte, i luoghi di culto transennati, i medici ridotti al lumicino, ma soprattutto giorni nei quali il Governo era stato decisamente assente. A quel punto, chi avrebbe potuto lottare contro quel flagello? Fu così che un gruppo di uomini valorosi, sia civili che militari, compresi alcuni sacerdoti, animati da non comune zelo, peraltro esponenti di varie comunità, come si ricordava prima (quindi sia Argentini che di altre nazionalità), diedero vita ad una sorta di Corporazione filantropica. Questa, raggiungendo un considerevole organico, si organizzò in pattuglie di due persone, le quali, nel bel mezzo dell’epidemia si misero a percorrere la città, portando ovunque aiuto. Ma la “Comision” non si sarebbe occupata solo di tali aspetti. La storia di quella terribile epidemia che falcidiò Buenos Aires ci ricorda, infatti, che alla cronica assenza di adeguate strutture sanitarie, si dovette registrare anche l’esaurimento dei cimiteri cittadini a causa dell’enorme numero giornaliero di vittime. Per cercare di contenere una situazione già di per sé catastrofica, le autorità Municipali porteñe decisero di aprire un nuovo cimitero in località Chacarita, ove quotidianamente avrebbero fatto la triste spola le lettighe messe a disposizione da parte della stessa “Comision”. Non pochi di loro furono i contagiati dal morbo, rimanendo così vittime di quella gara di coraggio e spirito di abnegazione. A capo della “Comision Popular” fu posto, con la qualifica di presidente, l’avvocato don José Roque Perez, originario di Cordoba, il quale seppe coordinare efficacemente l’opera del nobile sodalizio, al punto tale da rimetterci la sua stessa vita, il 26 marzo ‘71.
La sua opera verrà consacrata da un celebre quadro del pittore Juan Manuel Blanes. Successivamente tale incarico fu assunto da don Ettore Varela, celebre giornalista e amico personale del generale Giuseppe Garibaldi, il quale diresse quei bravi volontari sino alla fine dell’emergenza sanitaria. Vari furono gli esponenti italo-argentini che ne fecero parte, fra i quali, oltre al citato dottor Gallarani, è doveroso ricordare anche il dott. Basilio Cittadini, un distinto letterato, all’epoca Direttore del giornale “L’Italiano” ed in seguito professore di lingua latina ed italiana presso l’Università di Buenos Aires. Il lavoro svolto dal Sodalizio filantropico fu veramente incredibile ed encomiabile, tanto da riscuotere sin da subito la riconoscenza da parte della Municipalità bonaerense. Appena cessata l’emergenza, un gruppo di «cittadini eletti e ben in vista», nel corso di una riunione tenutasi il 6 giugno 1871 nominò un’apposita Commissione, destinata a deliberare riguardo alla necessità di ricompensare adeguatamente i membri della “Comision Popular”. Il 21 giugno seguente, sotto gli auspici del “ricomparso” Governo argentino, venne, quindi, fondato un Ordine di Cavalleria che prese il nome di “Ordine dei Martiri – Croce di Ferro”, volendo semplicemente richiamare l’attenzione sul metallo utilizzato per le relative insegne, caratterizzate da una croce latina biforcata e raggiata di ferro, con gli orli bruniti, appesa ad un nastro a righe gialle e nere. La Commissione del nuovo Ordine cavalleresco, che ovviamente non va confuso con la famosa ricompensa militare tedesca, istituita dal Re di Prussia, Federico Guglielmo III, il 10 marzo del 1813, presieduta da don Ramon Vallejo, fu composta da un vice presidente, un tesoriere, un segretario e da cinque consiglieri, alcuni dei quali di origini italiane. I diplomi e le croci furono consegnati solennemente sia ai sopravvissuti della “Comision” (nel giugno-luglio 1871 ne erano rimasti 41), sia alle famiglie dei membri morti durante l’epidemia[11]. Ci sia consentito un ultimo, ma non trascurabile particolare riguardo al Sodalizio: nello scorrere l’elenco dei 41 insigniti si notano nomi poco conosciuti – riguardo, bene inteso, alle vicende argentine e della stessa Buenos Aires – ma anche i nomi di uomini che hanno fatto la storia di quel grande Paese dell’America Meridionale, come nel caso del generale Bartolomé Mitre, del quale abbiamo recentemente ricordato, sempre su questo portale, il bicentenario della nascita e del colonnello Lucio Victorio Mansilla (23 dicembre 1831 – 8 ottobre 1913), il quale fu anche un celebre giornalista, oltre che uomo d’arme, politico e diplomatico argentino[12].
Il Gallarani, oltre al Cavalierato dell’Ordine della Croce di Ferro fu insignito, da parte della Municipalità di Buenos Aires, anche della Gran Medaglia d’Oro. Il suo valore non fu dimenticato nemmeno dal Regno d’Italia, il quale gli fu riconoscente per il fatto di aver soccorso e salvato centinaia e centinaia di connazionali, in quei frenetici mesi del primo semestre del 1871. L’ex Capitano medico dottor Carlo Gallarani fu, infatti, insignito dal Re d’Italia, Vittorio Emanuele II della medaglia d’oro al Valor Civile, un’alta ricompensa che fu salutata con grande affetto sia dalla Comunità italiana rimasta a vivere in Argentina, sia dal personale tutto della Stazione Navale della Regia Marina sul Rio de la Plata, che assistette alla cerimonia di consegna. L’opera svolta dal dottor Gallarani fu, infine, ricordata anche da uno degli Ordini Cavallereschi cui il nobile apparteneva, quello Gerosolimitano del Santo Sepolcro, che proprio a Buenos Aires aveva una propria rappresentanza, tanto da inserirla nell’apposito capitolo dedicato alla Delazione del Rio del la Plata[13]. Il dottor Gallarani non avrebbe certo “tirato i remi in barca”, dopo tale estenuante esperienza, dimostrando il suo coraggio e la sua determinazione sino agli ultimi giorni di vita, sempre in prima linea, prestando la sua opera indefessa presso l’Ospedale Italiano, il quale gli avrebbe poi dedicato un busto ricordo.
Ten. Col. Gerardo Severino
Direttore del Museo Storico della Guardia di Finanza
[1] Cfr. Statistica Generale del Regno d’Italia, Censimento degli Italiani all’Estero (31 dicembre 1871), Roma, Stamperia Reale, 1874, p. 26.
[2] Il novero effettivo delle perdite subite dalla comunità italiana innescò in Italia non poche polemiche, tanto da indurre l’on. Luigi Pissavini a presentare alla Camera dei Deputati un’apposita interpellanza parlamentare, alla quale rispose il Ministro degli Esteri, Visconti Venosta, nella tornata dell’11 dicembre 1871. Il Ministro, nel ribadire le forti difficoltà del momento, assicurò un ulteriore richiesta di chiarimenti ai Consoli italiani stanziati in America Latina, dalle cui informative, evidentemente, scaturì poi il dato richiamato nel censimento di cui alla nota precedente. Vgs. Rendiconti del Parlamento Italiano – Sessione del 1871 – 1872, Discussioni della Camera dei Deputati, vol. I., Roma, Tipografia Eredi Botta, 1872, pp. 143, 144.
[3]La prima pietra dell’Ospedale Italiano fu posta il 12 marzo 1854. L’edificio, progettato dall’architetto Pietro Fossati, fu poi inaugurato l’8 dicembre del 1872, con una capacità iniziale di 50 posti letto.
[4] Cfr. Achille Gemme, Breve trattato sulla febbre gialla del 1871 in Buenos Aires, Buenos Aires, Tipografia italiana, 1871.
[5] L’epistolario diplomatico sviluppatosi fra Buenos Aires e Firenze è riportato in Marco Fano, Il Rio de la Plata e la guerra del Paraguay negli archivi italiani, Edizione «Il Rombo del Cannone», Vol. 2°, 2000, p. 456 e ss.
[6] Cfr. Progetto di legge presentato dal Ministro delle Finanze nella tornata del 1° dicembre 1871 “Convalidazione di decreti reali per prelevamento di somme dal fondo per spese impreviste dello stato di prima previsione 1871 del Ministero delle finanze”, in Camera dei Deputati, «Legislatura XI – Sessione 1871-72. Raccolta dei documenti stampati per ordine della Camera, vol. I, dal n. 1 al n. 39», Roma, Tipografia Eredi Botta, 1873, p. 2
[7] Il Dottor Gallarani aveva lungamente militato nelle Forze Armate italiane, dapprima come Luogotenente veterinario dell’Esercito Meridionale, nel 1860. In seguito, il 27 marzo del 1862 entrò a far parte del Regio Esercito italiano, Tenente veterinario presso lo Squadrone di Cavalleria “Lancieri di Lodi”. Collocato in aspettativa il 29 gennaio del 1865, il 1° giugno dell’anno seguente fu nominato Medico di Corvetta di 2^ classe nel Corpo Sanitario della Regia Marina, ove prestò servizio sino al 1° giugno del 1868, data nella quale si dimise, rimanendo così a vivere nella sua amata Buenos Aires, ove avrebbe continuato ad operare presso il “Circolo Italiano”, di cui fu tra i fondatori (1873) e primo Presidente, e lavorando anche presso lo stesso Ospedale Italiano, oltre che membro di vari enti Municipali e Commissioni operanti in ambito sanitario, nonché docente presso l’Università di Buenos Aires e membro del Consiglio Nazionale dell’Educazione.
[8] Cfr. Miguel Angel Scenna, Cuando muriò Buenos Aires, 1871, Buenos Aires, Ediciones La Bastilla, 1974, pp. 257, 387.
[9] Cfr. “Situazione del Regio Naviglio Armato al 30 dicembre 1870”, in «Rivista Marittima – gennaio 1871», Firenze, Ministero della Marina, 1871, p. 2621.
[10] A seguito dell’aumento dell’emigrazione italiana in Sud America, con l’intensificazione dei legami commerciali e, quindi, allo scopo di assicurare protezione agli emigranti e agli interessi italiani, fin dal 1837, la Regia Marina sarda aveva istituito la Stazione Navale del Rio della Plata, vale a dire un nucleo di navi semi-permanentemente dislocate in quelle acque, la quale ebbe vita lunga e movimentata anche dopo l’unificazione del 1861, tanto da assumere, in talune circostanze di particolare gravità militare, la forza di una Divisione navale. Sull’argomento vgs. Carlo Randaccio, Storia delle Marine Militari italiane dal 1750 al 1860, Vol. I, Roma, Tipografia Forzani e C. Tipografi del Senato Editori, 1886, p. 41.
[11] Oltre al primo presidente, José Roque Perez, caddero sul campo della generosità Fiorenzo de Ballesteros, Adolfo e Manuel de Argerich, E. Govvland, Francisco de Torres e Campolican Molina.
[12] Cfr. Giovan Battista di Crollalanza, Giornale Araldico Genealogico Diplomatico – anno 1883-1884, Pisa, Direzione Giornale Araldico, 1884, pp. 65-67.
[13] Cfr. Ferruccio Pasini, Il Sacro Militare Ordine Gerosolimitano del Santo Sepolcro – Cenni Storici, Pisa, «Giornale Araldico», 1888, pp. 117, 118.