I ricoveri negli ospedali torinesi nella Seconda guerra mondiale
Nel Regolamento per la protezione contro-aerei del territorio nazionale e della popolazione civile, si sottolinea quanto
sia opportuno nelle città esposte agli attacchi aerei e prossime alle frontiere, predisporre uno sgombero di tutte le
cliniche, ed affidare un primo servizio d’intervento agli ospedali rimasti in città e ai posti di soccorso, fornendo il necessario per il trasporto dei feriti nelle nuove sedi degli ospedali sgomberati fuori i centri abitati. Nel 1939, vennero approvate le istruzioni per le nuove costruzioni ospedaliere e per la PAA a loro destinata: dovevano essere situati di preferenza, in posizione elevata sul terreno circostante, lontani dai bersagli dell’offesa aerea nemica, da caserme, aeroporti, centri ferroviari e stradali, officine militari, porti etc… Nei paraggi, in prossimità delle scarpate (se presenti), ricavare caverne-ricovero protette e di accesso facile, sicuro e rapido. Era consigliabile edificare i rifugi, ove possibile, in corrispondenza dei muri portanti. Il Ministero degli Interni, inoltre, diede disposizioni riguardo gli infermi: chi fosse stato in grado di camminare o comunque fosse stato trasportabile sarebbe stato accompagnato dal personale di servizio nel più vicino rifugio. Contrariamente, sarebbe stato assistito e protetto ugualmente ma in sale di degenza non sotterranee dovutamente attrezzate secondo le norme di PAA. Per tutti i rifugi era stata studiata con metodo, l’esigenza igienico-sanitaria rivolta ad ogni singola malattia.
Gli ospedali di Torino risultavano, in linea di massima, tutti provvisti in modo soddisfacente allo scopo:
-l’ospedale Maggiore San Giovanni Battista (Molinette) oltre ad aver adibito un numero rilevante di locali nella sua sede principale in corso Bramante ed in tutte le altre succursali, a tale scopo, aveva provveduto al trasporto malati nei ricoveri grazie all’istallazione di monta lettighe (ascensori), e all’apprestamento di apposite camere operatorie sotterranee allestite per i casi d’urgenza attive durante l’allarme. I percorsi per raggiungere in maniera diretta i rifugi vennero segnalati con indicazioni luminose. Nel 1943, con l’avvento dei
bombardamenti americani, si decise per la costruzione di un rifugio antibomba ricavato sotto il cortile principale, alla
profondità di 10 m, costituito da una grande galleria lunga 76 m, larga 2,6 m e alta 3 m, capace di proteggere oltre 500 persone delle quali 50 barellate. Si accedeva mediante 3 ingressi muniti di scale che collegavano l’ipogeo al Padiglione della Degenza Temporanea,
alla Farmacia e al Padiglione Ambulatori. Una quarta uscita di sicurezza metteva il rifugio in comunicazione con corso Bramante mediante una galleria di circa 11 m e un pozzo verticale protetto da un garittone in cemento armato.
Gli impianti di ventilazione antigas e rigenerazione dell’aria furono progettati in relazione alla capienza massima di persone di cui era capace il ricovero, tenendo conto dei molti malati, e prevedendo una permanenza di molte ore nel ricovero, nell’eventualità di incursioni di lunga durata.
– La Regia Opera di Maternità (Ospedale Sant’Anna) realizzò un rifugio per 300 persone.
– Il Maria Vittoria, seppe provvedere al rinforzo delle volte, alla chiusura di vani verso l’esterno con cassoni contenenti sabbia, e al prolungamento corsa degli ascensori in modo da facilmente disimpegnare con questi il trasporto dei malati. Tra il ’43 e il ’44, costruì due rifugi antibomba: il primo correva in sotterranea ad una profondità di 13 m collegando il reparto di ginecologia in direzione degli uffici dell’amministrazione per poi congiungersi al padiglione di ortopedia. Il secondo metteva in comunicazione l’ala opposta del reparto di ortopedia con ostetricia collegando a sua volta, tramite un corridoio sotterraneo, l’edificio di isolamento perpuerale. Muniti di numerose entrate ed uscite di sicurezza, quest’ultime in direzione dei cortili interni e protette da garitte in cemento armato, questi rifugi erano attrezzati anche per poter “operare” durante le incursioni aeree. Lungo le pareti erano state allestite su due ordini e fissate ai muri, lettighe in legno mobili, da montare all’occorrenza per evitare di occupare spazio e per permettere ai pazienti accorsi durante gli allarmi di muoversi con il minor intralcio, per questo si era preferito costruire a collegamento dei sotterranei con il corpo principale del ricovero, rampe invece che scale.
– La Regia Opera Pia San Luigi organizzò una logistica di trasferta dai reparti ai ricoveri, assegnando ad ogni ammalato il proprio posto all’interno del rifugio, in modo tale, che durante gli allarmi l’esodo potesse avvenire in modo preciso e ordinato.
– L’Umberto I (Mauriziano) ne predispose 5: uomini, donne, pensionanti, militari e personale ospedaliero non in servizio.
– Gli ospedali psichiatrici 8, uno per reparto.
– Il Maria Adelaide uno capace di proteggere gli abitanti dell’edificio, e quelli
della scuola per bambini rachitici sita
nei pressi, e posizionò brande e lettini in galleria per i degenti. L’Oftalmico un ricovero per 200 persone debitamente puntellato con re robuste e cassoni con sabbia nei pressi delle aperture.
L’unica struttura che al 1941 non possedeva nessun ricovero sotterraneo risultava essere l’Ospizio di Carità.
Marzia Gallo
da RISM- Rivista Italiana di Sanità Militare n.104