Il bicentenario dell’Università di Buenos Aires
Erano trascorsi appena 11 anni da quel magico giorno del 25 maggio (1810), data in cui l’Argentina iniziò a prendere le distanze dalla Spagna attraverso la storica “Revolucion de Majo”[1], quando l’allora Governatore della Provincia di Buenos Aires, Martín Rodríguez firmò – era il 9 agosto del 1821 – un apposito decreto con il quale nella bellissima città del Rio de la Plata, oggi Capitale della Nazione, veniva fondata la seconda Università del Paese.
L’Università di Buenos Aires, uno dei principali punti di riferimento dell’istruzione e della cultura della Repubblica Argentina rappresentò, sin dai suoi primi momenti di vita, il fiore all’occhiello del sapere nazionale. Prima di quella fatidica data, la formazione accademica della Colonia spagnola sorta lungo il Rio de la Plata era possibile solo accedendo all’Università di Córdoba, la più antica del Paese, che risale, infatti, al lontano 1613. Seguendo lo spirito libertario scaturito dalla stessa Rivoluzione del 1810, la intellighenzia argentina non poteva certo tollerare che la formazione dei futuri quadri dirigenziali del Paese rimanesse “ancorata” alla Chiesa cattolica. Fu per questa motivazione che l’Università di Buenos Aires, sebbene – occorre ricordarlo – avesse avuto in uomini di Chiesa i suoi primi cinque rettori, finalizzò, infatti, la sua missione orientandola esplicitamente nella formazione di professionisti, ma soprattutto della futura classe politica e, quindi, dirigenziale, nel pieno rispetto delle necessità del Paese, allora retto ancora in Confederazione. Nei primi momenti della sua esistenza, l’Università fu organizzata in Dipartimenti, tra i quali troviamo Lettere, Scienze esatte, Medicina e Giurisprudenza.
Si trattava di una scelta appropriata, ma anche mirata a voler fornire un’istruzione veramente superiore, capace di orientare, in buona sostanza, l’intero sistema sociale del Paese Sudamericano, tanto da inserire l’Università nell’architettura istituzionale dello stesso Stato. A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, man mano che in Argentina si rafforzava la presenza degli emigrati italiani, l’Università di Buenos Aires aprì i battenti anche a molti nostri connazionali, così come ai loro figli. Numerose sono state, infatti, le personalità di spicco emerse dalla Comunità italiana stanziata in Argentina a laurearsi tra quelle mura.
Troppo lunga sarebbe, però, la citazione dei grandi nomi che vi studiarono e vi insegnarono. In ogni caso, a dimostrazione di quanto l’Ateneo argentino abbia avuto un ruolo preminente nell’ambito della cultura mondiale, ricordiamo che l’Università ha formato ben cinque futuri Premi Nobel, primo dei quali il grande Carlos Saavedra Lamas (1878 – 1959), giurista, politico e diplomatico, che è stato anche rettore della stessa Università nei primi anni Quaranta, insignito di tale onorificenza nel 1936 <<Per la sua mediazione volta a porre fine al conflitto tra Paraguay e Bolivia>>, meglio nota come “Guerra del Chaco”. Ricordiamo, quindi, Bernardo Houssay (1887 – 1971), Premio Nobel per la Medicina nel 1947 per i suoi studi sul diabete; Luis Federico Leloir (1906 – 1987), Premio Nobel per la Chimica nel 1970 e Adolfo Pérez Esquivel (1931), anche lui Premio Nobel per la Pace nel 1980, premiato per aver denunciato i crimini delle dittature militari. Infine, César Milstein (1927 – 2002), Premio Nobel per la Medicina nel 1984, per i suoi studi su anticorpi monoclonali fondamentali nel trattamento di diversi tumori. Non solo, ma presso lo stesso glorioso Ateneo si sono laureati ben sedici Presidenti della Repubblica, alcuni dei quali di chiare origini italiane. Si tratta di Carlos Pellegrini (1890/1892), Luis Sáenz Peña (1892/1895), Manuel Quintana (1904/1906), Roque Sáenz Peña (1910/1914), Victorino de la Plaza (1914/1916), Hipólito Yrigoyen (1916/1922 e 1928-1930), Marcelo Torcuato de Alvear (1922/1928), Agustín Pedro Justo (1932/1938), Roberto Marcelino Ortiz (1938/1942), Ramón Castillo (1942/1943), Arturo Frondizi (1958/1962), Arturo Umberto Illia (1963/1966), Raúl Alfonsín (1983/1989), Adolfo Rodríguez Saá (2001), Eduardo Duhalde (2002/2003) e l’attuale, Alberto Fernández, che peraltro è stato anche docente presso la stessa Università. Un elemento d’interesse che fa, ancora adesso, dell’Università di Buenos Aires il centro nevralgico della cultura del Paese è quello di offrire a chiunque la possibilità di accedervi.
Si pensi che, a differenza di quanto avviene per la maggior parte degli altri grandi Atenei del mondo, l’accesso ad essa non prevede alcun test di ingresso, ma soprattutto è completamente gratuito. Anche per tali motivazioni, l’Università di Buenos Aires viene oggi classificata al 69° posto tra le Università del mondo, oltre ad essere la migliore dell’America Latina, ovvero di quelle che si ispirano alla tradizione ibero-americana. Attualmente, essa è articolata in ben tredici facoltà, con una media di circa 300.000 iscritti e 23.000 docenti di ogni ordine e grado. Numerosissimi sono, poi, sia i corsi di laurea che le occasioni per la formazione post laurea. Sul fronte della ricerca, si segnala, infine, l’opera di ben 69 Istituti, articolati, a loro volta in circa 1.800 gruppi di ricerca e 868 accordi di cooperazione, che vedono impegnata l’Università in un assiduo confronto con le altre realtà paritetiche del resto del mondo. Auguri, quindi, alla famosa Istituzione culturale argentina per il prestigioso traguardo raggiunto, al quale – ne siamo certi – hanno contribuito non pochi rettori, docenti e personale di origini italiane, ma anche il celebre architetto Rolando Levache, che ne progettò la sede storica.
*Ten. Col. Gerardo Severino
Direttore Museo Storico della Guardia di Finanza
[1] La “Rivoluzione di Maggio”, intervenuta nel mentre la Spagna si trovava ancora sotto il gioco Napoleonico, viene considerata dagli storici il punto d’inizio del processo secessionista, nonostante il fatto che la Prima Giunta di Governò agì ancora nel nome del deposto Ferdinando VII. In verità, molti storici considerano questa manifestazione di lealtà una manovra politica tesa a nascondere le vere intenzioni indipendentiste dei rivoluzionari. La dichiarazione di indipendenza ebbe, infatti, luogo solo sei anni dopo, il 9 luglio 1816, in occasione nel Congresso di Tucumán.