Il Conte Carlo Sforza in America Latina. Dalla “Mazzini Society” al Congresso Panamericano di “Italia Libera” (Buenos Aires/Montevideo, aprile – agosto 1942)
Il 4 settembre del 1952, a poche settimane dal suo ottantesimo compleanno moriva a Roma il Conte Carlo Sforza, originario di Montignoso (Massa Carrara), ove era nato il 23 settembre 1872, figlio secondogenito dello storico Giovanni Sforza, discendente da un ramo secondario della storica famiglia dei Duchi di Milano. Del Conte Sforza abbiamo già fatto cenno su questo portale storico allorquando abbiamo ricordato l’accoglienza che egli riservò ad Evita Perón, in occasione del suo viaggio ufficiale in Italia, nel 1947.
In quel frangente lo Sforza ricopriva la carica di Ministro degli Esteri (ne era stato nominato il 2 febbraio 1947) della neonata Repubblica Italiana, un ruolo prestigiosissimo che il nobile avrebbe esercitato, sino al 16 luglio 1951, con grandissimo prestigio, firmando importantissimi trattati, quali quello di pace con le Potenze Alleate, nello stesso ’47, il “Patto Atlantico”, nel 1949, così come l’accordo per la creazione del “Consiglio d’Europa” e quello istitutivo della “CECA” (“Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio”), nel 1951.
Lo Sforza – come era allora giusta tradizione per il nostro Paese – non era giunto agli Esteri per “puro caso”, o comunque in ragione dei suoi trascorsi politici, ma doverosamente, quale giusto riconoscimento per il suo lusinghiero passato diplomatico. Questo era iniziato nel lontano 1896, appena laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Pisa, allorquando risultò vincitore dell’apposito concorso. Inizialmente distaccato al Cairo, quale Applicato Consolare, lo Sforza operò in seguito presso la Legazione di Parigi, così come presso altri importanti Uffici Diplomatici italiani sparsi per il mondo. Ciò sino al 1920, allorquando fu nominato Ministro degli Esteri (15 giugno 1920), in tale veste firmatario per conto dell’Italia del noto “Trattato di Rapallo”. Il diplomatico mantenne tale carica sino al 4 luglio 1921, allorquando fu destinato Ambasciatore a Parigi. Di lì ad un anno, con l’avvento al potere di Benito Mussolini, l’Ambasciatore Sforza avrebbe iniziato una nuova vita, quella politica, che ben presto lo avrebbe portato ad essere un acceso antifascista, ma anche un esule, come approfondiremo a breve.
L’antifascismo di Carlo Sforza e il suo lungo esilio dall’Italia (1922 – 1942).
La biografia del Conte Sforza ci ricorda che il 30 ottobre del 1922, a pochi giorni dalla famigerata “Marcia su Roma” e l’affidamento Sovrano della carica di Primo Ministro proprio a Benito Mussolini, il famoso diplomatico di Montignoso si dimise provocatoriamente dalla carica di Ambasciatore d’Italia a Parigi, tornando, quindi, in Italia. Essendo Senatore del Regno fu proprio tra gli scranni Parlamentari che ebbe inizio la sua battaglia contro il nascente regime totalitario, tanto è vero che il 3 gennaio del 1925 egli sarebbe stato uno dei tre soli Senatori che denunciarono in aula le responsabilità di Mussolini riguardo all’omicidio dell’Onorevole Giacomo Matteotti[1]. Nel 1927, dopo aver assistito alla definitiva presa del potere da parte dei fascisti, i quali si erano già resi protagonisti, tra le tante nefandezze, anche della morte dello stesso Giovanni Amendola, deceduto a Cannes il 7 aprile dell’anno precedente, a seguito delle precedenti percosse ricevute da una “squadraccia”, ma anche a causa delle minacce e persino di uno scontro fisico subito dai fascisti a Bardonecchia, Carlo Sforza decise di lasciare l’Italia. L’ex Senatore di recò, quindi, in Cina, ove avrebbe lavorato per qualche tempo come corrispondente per i giornali stranieri “Le Journal des débats” e il notissimo “Manchester Guardian”. In seguito emigrò in Belgio e, quindi, in Francia, esattamente a Tolone, ove avrebbe collaborato con il quotidiano radicale francese “La dépeche de Toulouse”, ma anche con le varie organizzazioni antifasciste molto attive in quella Nazione. Il Conte Sforza rimase praticamente in Francia sino al 17 giugno 1940, allorquando, dopo l’invasione tedesca[2], assieme alla sua famiglia e al giornalista antifascista Alberto Tarchiani, raggiunse Bordeaux, dal cui porto, il giorno dopo partì alla volta della Gran Bretagna, prima tappa di un nuovo esilio. Sforza e Tarchiani, dopo un breve soggiorno a Londra emigrarono così negli Stati Uniti, dove alcune Università gli avevano offerto delle cattedre d’insegnamento. Ben presto, la permanenza nell’America del Nord consentì al Conte Sforza di assurgere al ruolo di leader internazionale del movimento antifascista, che ovviamente si proponeva di lottare per una Italia libera da ogni forma di dittatura. Fu proprio in tale direzione che lo Sforza aderì alla benemerita “Mazzini Society”, un’associazione politica di matrice democratico-repubblicana, sorta nel pieno rispetto della tradizione risorgimentale per volere del famoso professore universitario e politico meridionale Gaetano Salvemini, nel settembre 1939, e di cui ne era Presidente il noto giornalista Max Ascoli.
In verità il principale artefice della strategia politica portata avanti dal Conte Sforza fu lo stesso Alberto Tarchiani, che di lì a poco avrebbe assunto la carica di Segretario della medesima Associazione. Secondo alcuni biografi dello Sforza, questi e Tarchiani contavano molto sull’appoggio degli Stati Uniti direttamente a favore della “Mazzini Society”, e ciò attraverso la costituzione di una sorta di “Comitato Nazionale Italiano”, praticamente una sorta di Governo italiano in esilio. A questo primo tentativo ne seguirono altri, tentati anche presso il Governo inglese, ma tutti senza il veder raggiungere l’obiettivo. A quel punto, sia il Conte Sforza che la stessa “Mazzini Society” rivolsero lo sguardo verso l’Argentina e l’Uruguay, ove, come abbiamo già ricordato in altri contributi, era molto sostenuta e attiva la comunità antifascista italiana, peraltro impreziosita proprio negli ultimi tempi anche grazie all’arrivo dall’Italia (fra il 1938 e il 1939) di non pochi compatrioti di religione ebraica, fra uomini di scienza e intellettuali di elevato prestigio.
La “Mazzini Society” a Buenos Aires e il Congresso Panamericano di “Italia Libera” (Montevideo, 14 – 17 agosto 1942).
I rapporti della “Mazzini Society” con le comunità italiane dell’America Meridionale e Centrale furono sin da subito ottimi e, soprattutto, forieri di importanti iniziative. Il maggior merito va però ascritto alla rete antifascista sorta nel frattempo in Argentina, peraltro sotto l’occhio vigile della locale Ambasciata d’Italia (che puntualmente riferiva a Roma) una parte della quale si riconosceva nel movimento “Italia libera”, con sede principale nella stessa Capitale Federale, la bellissima Buenos Aires[3]. Fu proprio grazie alla sinergia che sorse tra la “Mazzini Society” e “Italia libera” che si ebbe modo di concepire l’organizzazione di un Congresso italo-americano, che lo stesso Conte Sforza propose di predisporre a Montevideo, sulla sponda Uruguayana dello stesso Rio de la Plata. Il motivo per il quale fu prescelta Montevideo era dovuto, oltre che ad aspetti legati alla situazione interna argentina, ove erano in atto sia lo stato d’assedio, sia la proibizione di svolgere attività connesse con i Paesi in guerra, così come alle precarie relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti, Paese dal quale sarebbero giunti gran parte dei delegati, anche dalla circostanza che la Capitale uruguayana era anch’essa considerata come uno dei principali centri dell’attività antifascista italiana in Sud America. A Montevideo, infatti, anarchici come Luigi Fabbri e la sua celebre rivista “Studi Sociali”[4] erano stati una presenza importante nel corso degli anni Trenta, seguiti poi dalla costituzione di una sede della stessa associazione “Italia Libera”, la quale, come si ricordava prima, riuniva i rappresentanti oltreoceano dei movimenti d’opposizione al fascismo italiano. I lavori di organizzazione ebbero inizio già alla fine di aprile del 1942, sullo sfondo di un vero e proprio dissenso maturato tra lo Sforza e lo stesso Gaetano Salvemini, tanto che la riunione avrebbe, in seguito, preso il titolo di “Congresso Panamericano di Italia Libera”. Questo si tenne nella Capitale della c.d. “Banda Orientale” (Uruguay) nel successivo mese di agosto e vide le forze antifasciste concentrarsi verso un unico obiettivo: lottare per il ritorno della democrazia nella lontanissima, ma mai dimenticata Patria italiana.
A Montevideo furono tra i 1.200 e i 1.500 gli italiani liberi, tra quelli che risiedevano nel Continente Americano, che presero parte, dal 14 al 17 agosto, al noto Congresso. Si trattò di una straordinaria riunione al termine della quale lo stesso Carlo Sforza, leader antifascista di un’area laica e non certo marxista, fu acclamato all’unanimità <<capo spirituale degli italiani antifascisti>>. Il Congresso deliberò anche la costituzione di un “Consiglio Nazionale Italiano”, al quale sarebbe stato affidato il compito di coordinare la lotta contro il fascismo, di una futura Assemblea Costituente, la proposta di dar vita – e Montevideo era la sede giusta – ad una “Legione Italiana” la quale, al comando di Randolfo Pacciardi (già comandante della Brigata “Garibaldi” in Spagna (1936-37), avrebbe combattuto a fianco dei futuri “Alleati”, ma anche di difendere gli interessi degli italiani antifascisti operanti all’estero. Il Conte Sforza intervenne ai lavori congressuali, presentando un programma articolato in otto punti[5], manifesto che fu approvato dai presenti e che spaziava dalla scelta istituzionale, che avrebbe assunto il popolo italiano mediante un libero plebiscito (se ne auspicava la nascita di una Repubblica democratica), all’adesione dell’Italia alla Carta Atlantica e, soprattutto, ad un sistema organizzato di cooperazione e solidarietà internazionale, come sarebbe poi accaduto di lì a qualche anno. Il Congresso era stato animato, sin dalle prime fasi della sua organizzazione, dalla volontà di mettere da parte le divisioni interne, cercando così di dare un’immagine di vera unità antifascista, come ebbe in seguito a dichiarare lo stesso Carlo Sforza, nel corso della conferenza stampa conclusiva, pubblicata su di un noto quotidiano di Buenos Aires di ispirazione socialista: <<Entiendo que la lucha Coptra el fascismo debe ser total, sin exclusión de hombres o partidos. Liberales, socialistas, democratas, cristianos, comunistas, (…) deben actuar juntos, vigorosa y lealmente (…)>>[6]. In realtà, il “Congresso Panamericano di Italia Libera”, i cui esisti furono rapportati – in chiave ovviamente negativa – dall’Ambasciata di Buenos Aires a Roma[7], proprio in relazione all’auspicio espresso dallo Sforza riguardo alla scelta Repubblicana, non riscosse molto successo tra i Governi Alleati, soprattutto da parte di quello inglese. Ciò soprattutto dopo quanto sarebbe accaduto, esattamente un anno dopo, nel settembre del 1943, allorquando, dopo la firma del noto “Armistizio” la Gran Bretagna di Winston Churchill avviò relazioni preferenziali con il nuovo Governo italiano, ovviamente di ispirazione Monarchica, capeggiato, come è noto, dal Generale Pietro Badoglio.
Epilogo della vicenda.
I biografi del Conte Sforza ci ricordano che, allorquando il leader della “Mazzini Society” chiese l’autorizzazione a rientrare in Italia, il Governo americano (ed in particolare il Sotto Segretario di Stato Adolf Berle) tentò un’opera di mediazione tra le sue posizioni e quelle filo-monarchiche. A quel punto lo Sforza fu costretto a firmare un documento con il quale s’impegnò a non contrastare in nessun modo l’azione del Governo Badoglio, naturalmente sino alla completa liberazione del Paese dall’occupante germanico. In realtà, mentre il Conte Sforza interpretò restrittivamente e in modo letterale il documento firmato, Winston Churchill ritenne che la lealtà verso il Governo legittimo dovesse estendersi anche nei riguardi del Sovrano in carica e alla stessa istituzione monarchica. Per tale motivo, nell’ottobre 1943, prima di rientrare in Italia, Carlo Sforza fu convocato a Londra per un faccia a faccia con il Primo Ministro britannico. In realtà l’incontro si tramutò in un duro scontro, considerata l’irremovibilità dei due statisti. Al di là di questo, dopo il suo rientro in Italia, al termine di un esilio durato sedici anni, al Conte Sforza, proprio grazie all’opera preziosa da lui intrapresa tra Buenos Aires e Montevideo, fu riconosciuto un ruolo molto determinante nell’ambito dell’antifascismo democratico. Ciò indusse lo stesso Maresciallo Badoglio ad offrigli l’incarico di Ministro degli Esteri, mentre lo stesso Re Vittorio Emanuele III gli propose la poltrona dello stesso Badoglio, dopo la sua caduta. In entrambi i casi, il Conte Sforza pose come condizione imprescindibile proprio l’abdicazione del Sovrano. Ricordiamo, poi, che il Conte Sforza era stato nominato Ministro senza portafoglio, come personalità indipendente dai partiti (anche se su proposta del Partito d’Azione), in quello che fu il primo Governo politico post-fascista (il c.d. “Governo Badoglio II”), che si formò a Salerno Capitale il 22 aprile 1944, sostenuto dai sei partiti aderenti al Comitato di Liberazione Nazionale. Carlo Sforza fu nuovamente Ministro senza portafoglio nel Governo Bonomi (giugno 1944), e preposto all’Alto Commissariato per le Sanzioni contro il Fascismo. La forte opposizione inglese non consentì, tuttavia, al vecchio diplomatico di Montignoso di assurgere alla prestigiosissima carica di Presidente del Consiglio, allorquando il C.L.N. si orientò sul suo nome, all’atto delle dimissioni di Bonomi, nel novembre 1944. Il resto della sua vita professionale e umana lo avevamo anticipato già in premessa. Concludiamo solo con una breve riflessione. Il Conte Carlo Sforza non dimenticò mai – per quel poco che gli rimase da vivere dopo aver lasciato il Ministero degli Esteri – la grande ospitalità ricevuta in Sud America, sia a Montevideo (nel 1947 lavorò alacremente agli accordi commerciali che avrebbero unito ancor di più i due Paesi amici), che nella stessa Buenos Aires, dove era arrivato dagli Stati Uniti proprio per organizzare il noto “Congresso”. La città porteña, ove il Conte rimase per qualche tempo anche dopo la fine del “Congresso”, lo accolse con la grande disponibilità dei suoi abitanti, al pari della stessa cultura argentina, volendo ricordare la pubblicazione proprio a Buenos Aires della ristampa dei libri “Italia Libre” e “Francia Libre”, pubblicati dallo stesso editore del quotidiano “La Vanguardia”, di cui abbiamo già fatto cenno in precedenza, così come i suoi vari articoli ospitati dalla rivista “Domani”[8]. Non solo, ma quando nel 1950, anche in Italia fu celebrato il centenario della morte del grande Generale Don José de San Martín, “El Libertador di Argentina, Cile e Perù”, fu proprio il Ministro Sforza, dopo aver partecipato, il giorno 17 agosto alla messa solenne presso la Chiesa Nazionale Argentina (in Piazza Buenos Aires) e alla cerimonia presso l’Ambasciata dell’Esquilino, a dimostrazione della grande amicizia che legava i due Paesi, che indirizzò al popolo argentino un memorabile messaggio, riportato dal quotidiano politico “La Voce Repubblicana” del successivo giorno 19, messaggio al quale affidiamo il compito di porre fine al presente contributo. In esso il Conte scrisse: <<Sotto l’egida del gran nome del Libertador noi ci sentiamo ancor più vicini al popolo argentino e ci sentiamo fieri della fondamentale affinità tra i nostri due popoli, affinità che i nostri fratelli emigrati nell’antica repubblica confermano e rinnovano quotidianamente con la loro opera>>.
Col. (A) Gerardo Severino
Storico Militare
[1] Nel novembre 1924, lo Sforza aveva aderito al partito “Unione Nazionale”, che riuniva le forze liberali e democratiche, costituitosi subito dopo l’omicidio Matteotti per iniziativa di Giovanni Amendola, Luigi Einaudi, Carlo Rosselli, Ivanoe Bonomi, Meuccio Ruini, Luigi Salvatorelli e Ugo La Malfa.
[2] Parigi fu occupata il 14 giugno, mentre il Governo francese riparava a Bordeaux. La Francia avrebbe capitolato il successivo 25 giugno.
[3] Sulla fondazione di “Italia Libera” vgs. Maria Luján Leiva, “Il movimento antifascista italiano in Argentina (1922- 1945)”, in Bruno Bezza, (a cura di), <<Gli italiani fuori dall’Italia. Gli emigrati italiani nei movimenti operai dei paesi di adozione>>, Quaderni di Affari Sociali Internazionali, Milano, Franco Angeli, 1983, pp. 549-582, e Federica Bertagna, La stampa italiana in Argentina, Roma, Donzelli, 2009, pp. 139-162.
[4] La rivista antifascista “Studi Sociali” era stata edita, nei suoi primi otto numeri, a Buenos Aires, appoggiandosi alle strutture del quotidiano <<La Protesta>>. Fu, quindi, soppressa a causa del colpo di stato in Argentina del settembre 1930.
[5] Il programma fu pubblicato in appendice dallo stesso Sforza, in La guerra totalitaria e la pace democratica, Napoli, Edizioni Polis, 1944, pp. 104-106.
[6] Cfr. <<La Vanguardia>>, Buenos Aires, 19 agosto 1942.
[7] Cfr. Alfredo Breccia, Sicurezza ed Equilibrio nella Politica Internazionale, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2008, p.79.
[8] Interessantissimo fu l’articolo dal titolo “Indipendenza e interindipendenza delle nazioni”, in <<Domani>>, Buenos Aires, Edizioni Caboto, ottobre-dicembre 1943.