José Maria Barreto, il diplomatico peruviano “Giusto tra le nazioni” (1875 – 1948)
In questi ultimi giorni, in occasione dell’ottantesimo anniversario del rastrellamento del ghetto di Roma e della deportazione degli ebrei Romani ad Auschwitz si è parlato anche dei “Giusti tra le Nazioni”, quelle speciali persone alle quali lo Stato di Israele (Istituto dello Yad Vashem) ha concesso, molto spesso “alla memoria”, un’apposita medaglia, in riconoscimento di quanto da loro fatto durante la Seconda guerra mondiale, per salvare gli ebrei dall’Olocausto. Ebbene, tra i “Giusti tra le Nazioni”, i cui nomi sono incisi nel “Memoriale della Shoah”, a Gerusalemme vi sono persone provenienti da ogni angolo del Pianeta, di ogni estrazione sociale e appartenenti a varie religioni, a dimostrazione di quanto sia stata importante la loro opera a favore delle tantissime vittime dell’odio raziale teutonico. Fra questi vi sono stati anche dei cittadini Peruviani, a cominciare dal poco conosciuto Diplomatico José Maria Barreto, il primo a ricevere tale premio, il quale, da Console Generale del Perù a Ginevra, sfruttò la sua alta carica istituzionale, andando contro agli ordini impartiti dal proprio Governo, pur di salvare molti gli ebrei dalla deportazione e, quindi, dall’orribile fine cui li aveva condannati la nota “soluzione finale”. Quella che segue è la sua vicenda…
José Maria Barreto, un uomo di cultura e di grande umanità (1875 – 1948)
José María Barreto Bustios nacque a Tacna, allora città Peruviana, il 16 novembre del 1875, figlio di Federico María Barreto, Colonnello di fanteria dell’Esercito Peruviano e di Ventura Bustios. Abile negli studi sin da ragazzo, in seguito si sarebbe laureato in Scienze Politiche. Egli fu soprattutto un uomo di cultura, così come lo sarebbe stato suo fratello, il poeta Federico Barreto, conosciuto come “Il cantore della prigionia“. José Maria Barreto è stato immortalato nella storia della Letteratura Peruviana per aver fondato, nel 1896, la celebre rivista “Letras”, alla quale collaborarono grandi nomi della cultura letteraria Sudamericana, del calibro di Rubén Darío e José Enrique Rodó, tra i tanti altri importanti scrittori conosciuti in tutto il mondo. A partire dal 1893, Barretto aveva diretto “La Voce del Sud”, per poi essere cofondatore di “Talia Tacneña”, membro del “Bohemia Tacneña” e del “Círculo Vigil”. José María Barreto, essendo rimasto a vivere a Tacna, durante l’occupazione cilena che seguì la nota “Guerra del Pacifico”, vi svolse un’intensa vita intellettuale e giornalistica, in virtù della quale difese l’identità peruviana dei territori occupati dal Cile, opponendosi di conseguenza, unitamente al fratello Federico, a quella che potremmo definire una sorta di “cilenizzazione forzata”. Di lì a qualche anno, nel frattempo (era il 24 marzo 1895) unitosi in matrimonio nella stessa Tacna con la signorina Teresa Carolina Musters Williams, il Barreto fu costretto dalle autorità Cilene a lasciare la sua amata terra natia. Raggiunta, quindi, Lima, nel corso del 1911 divenne Direttore del giornale ufficiale “El Peruano”, pur continuando a collaborare con altre testate giornalistiche, firmando i suoi pezzi con vari pseudonimi, quali: Joseph Marius, René Tupic e Ramón Román. Josè Maria Barreto iniziò la carriera diplomatica nel corso del 1925, allorquando fu nominato Segretario Generale della Delegazione Peruviana al plebiscito di Tacna e Arica, evento che avrebbe deciso le sorti delle due città un tempo appartenute al Perù. In seguito, egli rappresentò il Perù presso le Missioni diplomatiche in Messico, Bolivia, Venezuela, Francia, Panama, Germania, Svizzera, ma soprattutto nella Delegazione Peruviana presso la “Società delle Nazioni”, peraltro membro del Comitato incaricato della risoluzione del conflitto Cino-Giapponese sulla Manciuria. José Barreto si spense a Ginevra l’11 agosto del 1948, settantaduenne. Riposa presso il Cimitero Monumentale “Presbítero Matías Maestro”, a Lima. È doveroso ricordare, prima di passare al prossimo capitoletto, che il Console Barreto era membro della Reale Accademia di Storia e della Reale Accademia Geografica di Madrid, delle Accademie di storia e geografia del Brasile e della Bolivia e della prestigiosissima “Washington International Law Association”. Durante la sua carriera Diplomatica fu insignito di varie Onorificenze da parte di vari Stati del mondo.
Gli aiuti agli ebrei e la riconoscenza postuma di Israele (1943 -2014)
Bisogna premettere che nel corso degli anni ’30, il Perù subiva i pesanti effetti della crisi economica globale, ragion per cui il Governo approvò una legislazione che limitò drasticamente l’immigrazione nel Paese. Nel 1938 fu, quindi, vietato alla Sedi diplomatiche sparse in Europa di rilasciare visti agli immigrati stranieri, divieto che purtroppo, come vedremo a breve, avrebbe colpito soprattutto gli ebrei, in fuga dalla Germania nazista. Allorquando il Presidente degli Stati Uniti d’America, Franklin Delano Roosevelt convocò in Francia la nota “Conferenza di Evian” (6-15 luglio 1938), onde affrontare la questione dei rifugiati, per lo più ebrei provenienti dalla Germania, il Perù, inizialmente, si rifiutò di partecipare, accettando solo successivamente l’invito. Per quanto il Delegato Peruviano avesse espresso solidarietà per le vittime della persecuzione, egli si unì agli altri Delegati nell’astenersi dal proporre qualsiasi soluzione pratica alla difficile situazione dei rifugiati. Non solo, ma Il 17 settembre 1938, il Console americano a Lima riferì al proprio Governo che il Perù aveva ordinato alle sue Delegazioni diplomatiche di rifiutare il visto proprio agli ebrei[1]. Due anni dopo, esattamente il 18 maggio 1940 l’immigrazione in Perù fu totalmente vietata e la vita degli immigrati precedentemente entrati nel Paese fu fortemente limitata, tanto da “penalizzare” le loro attività economiche. Non solo, ma iniziò persino a serpeggiare una sorta di atteggiamento xenofobo, rivolto soprattutto alle Comunità cinesi e giapponesi, allora molto più numerose rispetto ad altri gruppi di immigrati. Tornando al protagonista di questa storia, ricordiamo che nel 1943, Josè Maria Barreto era Console Generale del Perù a Ginevra (vi era giunto nel 1938), un incarico di altissimo prestigio, soprattutto in un contesto storico nel quale, Ginevra che la Confederazione Elvetica erano divenute il crocevia di varie “attività”, sia diplomatiche che di intelligence. Fu, quindi, proprio in tale ambito che Abraham Silberschein, a capo di RELICO – l’organizzazione di aiuti creata in Svizzera dal Congresso Mondiale Ebraico – chiese al Console Barreto di procurare passaporti Peruviani agli ebrei che si trovavano nei territori sotto il controllo tedesco, in primo luogo la vicina Francia. A confermarci il fatto vi è una lettera, redatta il 27 agosto ’43 dallo stesso Silberschein, il quale scrisse che: <<Barreto, profondamente commosso dalle sofferenze di milioni di esseri umani nei Paesi occupati, decise di partecipare al soccorso, per alleviare la situazione di queste persone innocenti, e decise di fornirci un certo numero di passaporti affinché potessimo inviarli a diverse persone nei Paesi sotto il dominio tedesco. Barreto era convinto che attraverso questo gesto così umano avrebbe salvato molte persone>>. Il grande gesto umanitario fu, tuttavia, scoperto dalle Autorità Svizzere, nel momento in cui una delle persone che avevano ricevuto i passaporti, un ebreo tedesco di nome Gunther Frank raggiunse la Confederazione, provenendo proprio dalla Francia.
A quel punto, la Polizia Svizzera, insospettita a riguardo, informò l’Ambasciata del Perù, a Berna, chiedendo se il passaporto fosse o meno autentico. L’Ambasciata informò immediatamente il Ministero degli Affari Esteri, a Lima, il quale rispose che il passaporto era stato rilasciato contro le norme in vigore: quelle emanate nel 1938, che vietavano l’immigrazione in Perù di stranieri, e in particolare degli ebrei. Sulla base di tale informativa, l’Ambasciata ordinò al Consolato a Ginevra di presentare un elenco dei passaporti e dei visti rilasciati. Fu a quel punto che il Console Barreto “scoprì le carte”. Nel rispondere ufficialmente alla richiesta, con una lettera del 10 agosto 1943, il Grande Diplomatico Peruviano ammise di aver fornito visti a 58 ebrei – tra i quali 14 bambini – al solo fine di salvare loro la vita[2]. Non solo, ma Barreto concluse la missiva con la speranza che l’Ambasciatore prenda: <<… in considerazione le circostanze particolari e agisca con comprensione e considerazione>>. L’Ambasciatore, nell’inviare a Lima la lista dei “visti” firmati dal Barreto, chiese istruzioni a riguardo, aggiungendo che i 27 passaporti: <<erano stati rilasciati senza permesso agli ebrei nei campi di concentramento>> e che la motivazione del Console era effettivamente umanitaria. La risposta da Lima non si fece attendere. Un telegramma, datato 19 agosto 1943, firmato dallo stesso Ministro degli Affari Esteri comunicò quanto segue: <<Si prega di informare il governo svizzero che i passaporti rilasciati dal nostro Console Generale a Ginevra sono annullati e che dovranno esserci restituiti. Inviateci i dettagli di ciascun passaporto in modo che ai loro titolari venga negato l’ingresso in Perù>>. A tale ordine seguì anche la chiusura del Consolato Peruviano a Ginevra e la drastica espulsione di José Maria Barreto dal Corpo Diplomatico. Nel frattempo, Fanny Schulthess, Capo del Comitato internazionale per il collocamento degli intellettuali con sede a Ginevra, alla quale Barreto aveva consegnato i passaporti fu arrestata dalla Polizia Svizzera e interrogata sul suo coinvolgimento nell’operazione. Silberschein, dal canto suo, scrisse al Nunzio Apostolico Vaticano a Berna, Mons. Filippo Bernardini, chiedendogli di intervenire presso il Governo Peruviano in favore di Barreto, ma senza successo, tanto è vero che il 24 agosto 1943 giunse a Ginevra la lettera ufficiale di licenziamento. Molti anni dopo tali eventi, così come dalla stessa scomparsa del Console Barreto, esattamente il 4 marzo del 2014, lo Yad Vashem riconobbe José María Barreto “Giusto tra le Nazioni”, piantando così un ulivo in suo onore, nel giardino del “Memoriale della Shoah” il successivo giovedì 12 giugno. A tale proclamazione ne seguirono delle altre, ma questa è un’altra storia…
Col. (a) GdF Gerardo Severino
Storico Militare
[1] Non furono fatte eccezioni a questa politica, tanto è vero che nel 1942, dopo l’inizio delle deportazioni di massa nei campi di sterminio, il Governo Peruviano respinse la richiesta della Comunità ebraica di Lima di garantire l’ingresso a 50 bambini ebrei provenienti dalla Francia.
[2] I salvati erano prigionieri nel campo di concentramento di Vittel, in Francia, peraltro già destinati ad Auschwitz, in Polonia.