Giorni di Storia

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La mostra, i libri, il portale web sulla storia dei lavoratori italiani nella Germania nazista (1938-1945)

La narrazione che emerge dalla Mostra “Tante braccia per il Reich” sotto il profilo testuale, documentale e fotografico richiama alla nostra eredità culturale di italiani e di europei: da una parte la testimonianza tramandata attraverso i libri sacri, dall’altra gli scritti di storici greci e romani come Erodoto, Tucidide e Senofonte. Ed è una scrittura di storie: di un milione e 200mila storie inserite nella più grande Storia del secondo conflitto mondiale, della guerra di liberazione e degli anni che seguirono, quella viene illustrata dagli autori della mostra.

Ci si potrebbe chiedere perché tutto questo? La risposta potrebbe arrivare dallo stesso Tucidide: affinché si possa trasmettere ai posteri conoscenze degne di diventare “possesso per sempre”.

Ed è questo “possesso per sempre” che deve far riflettere. Ieri, come oggi e domani il rischio è e potrebbe essere l’accantonamento dei fatti storici e della memoria.

Il rischio è quello del “nomadismo eclettico” per citare lo storico Giorgio Rumi, ossia “la perdita di ogni riferimento identitario” con la conseguenza di uno “spaesamento culturale” che resta difficile da recuperare nei social e nei motori di ricerca.

Ecco allora la pista seguita dagli autori della mostra sia sul fronte pubblicistico – con la pubblicazione di libri e articoli -sia attraverso una mostra che ha voluto “tradurre l’intraducibile” per citare il sociologo francese Paul Ricoer o se volete ha cercato di dare “posto al disordine” per richiamare le parole di Richard Boudon, a un argomento, i lavoratori italiani in Germania da “riproporre per non dimenticare”.

“Tante braccia per il Reich” non è solo una mostra, ma un laboratorio di “storia pubblica”, o se si preferisce, di Pubblic History, di alta qualità perché nasce e si sviluppa attorno alle regole fondamentali della storiografia, cioè che chi scrive garantisce la verità degli eventi narrati.

La Mostra ha però il pregio di utilizzare un linguaggio divulgativo che arriva a tutti attraverso i filmati, le fotografie, i documenti e i testi che non sono stati redatti e assemblati a caso.

Ma c’è di più. La mostra nel raccontare ogni singola regione di provenienza dei lavoratori italiani che andarono nella Germania nazista, pone l’attenzione nella spiegazione della terminologia, non solo documenta in maniera dettagliata un macro-fatto poco conosciuto nel più ampio capitolo del secondo conflitto mondiale,  ma si inserisce pienamente nel lavoro che negli ultimi dieci anni sta compiendo l’ANRP (l’Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia, dall’Internamento, dalla Guerra di Liberazione e loro familiari), i presidenti dell’Associazione che si sono susseguiti, da Enzo Orlanducci a Nicola Mattoscio, al grande lavoro di storici di rango quali Luciano Zani e Anna Maria Isastia, così come il grande impegno della direttrice del Museo, Rosina Zucco, nonché dei ricercatori, dei giornalisti e degli studiosi che ruotano attorno all’Associazione.

Non solo un lavoro di recupero della storia e della memoria, ma soprattutto un’opera quotidiana che punta “sulla formazione della coscienza storica”. La presa di coscienza richiama all’identità storica e culturale. Avere consapevolezza della propria identità culturale, conoscere la propria storia pubblica apre al confronto con altre culture e alla condivisione dei saperi.

Dunque, se da una parte la mostra percorre piste di conoscenza scientifica, dall’altra parte c’è l’aspetto storico-divulgativo in un mondo dove l’informazione e la comunicazione corrono veloci.

La mostra occupa anche questi spazi: il web e i social network inserendosi anche in questi “ambienti” e mondi digitali che non sono immuni da fake-news e disinformazione.

Da giornalista Paolo Pillitteri, ex sindaco di Milano scomparso alla fine del 2024, scrisse un libro dal titolo emblematico Non è vero ma ci credo (2009), un percorso lungo la storia del cinema e della fotografia nell’analisi di moltissimi casi di falsificazione storica, a dimostrazione che le “bufale” ci sono sempre state e sulla Rete vengono amplificate e corrono più veloci fino al nostro smartphone e agli utenti più giovani. Ecco, la Mostra e le informazioni contenute in essa hanno un ulteriore merito: pubblicare la storia dei lavoratori italiani in Germania e la storia degli IMI corredata da fonti documentali e verificate.

Dunque non solo un laboratorio di Public History di qualità, ma anche WebDoc o LongForm da leggere, guardare e ascoltare grazie alla convergenza dei contenuti (testi, foto, video) e alla partecipazione collaborativa degli autori. Due elementi fondamentali per chi fa web storytelling e narrazione della storia in rete. A ciò si aggiunge un terzo elemento: quello della condivisione attraverso i social network che rendono la divulgazione storica ancora più innovativa sulla scia del lavoro di grandi giornalisti e scrittori come Luca Comerio, pioniere del reportage di guerra; Enrico Meille, giornalista e pilota di aviazione; Raffaello Guzman e Maner Lualdi oppure Paolo Monelli e Dino Buzzati fino a Indro Montanelli, Sergio Zavoli e Gianni Bisiach. Come dimenticare il “minuto di storia” di Bisiach che oggi viene riproposto sul portale del Quirinale? Non è facile fare divulgazione storica in un minuto, così come in 6000 battute spazi compresi, ma resta fondamentale per coinvolgere l’opinione pubblica e soprattutto i più giovani allo studio della storia per non dimenticare quel che è stato.

La Mostra “Tante braccia per il Reich” anche sotto questo aspetto dà una risposta fondamentale: non è tanto sul come e su quali strumenti gli utenti, giovani e meno giovani, si informano di storia nell’era degli smartphone, dei tablet e delle piattaforme digitali in cui tutto è asincrono e frammentato.  La domanda, invece, da porsi è dove si informano e quale fonte utilizzano.

“L’impiego di manodopera italiana nell’economia di guerra del Terzo Reich è stato un aspetto di fondamentale importanza all’interno del complesso rapporto tra Italia fascista e Germania nazionalsocialista dal 1933 al 1945”, ha spiegato lo storico Brunello Mantelli: “L’idea che la Germania avesse l’industria e l’Italia la manodopera, espressa da Mussolini in diverse missive ad Hitler, si sarebbe infatti risolta nell’emigrazione organizzata di circa mezzo milione di lavoratrici e lavoratori tra il 1938 ed il 1943 e si inserisce nell’involuzione del rapporto tra i due dittatori – ha aggiunto -. Il Duce identifica nel Terzo Reich un modello a cui ispirarsi e di cui diventerà il miglior alleato nel corso degli anni Trenta, ma lo stretto rapporto stabilito con la potente economia di guerra tedesca si sarebbe poi rovesciato in subalternità, ben prima della crisi del 1943”.

Il collasso del regime monarchico fascista, il 25 luglio di quell’anno, e la successiva occupazione tedesca del Centronord dopo l’8 settembre avrebbero trasformato l’Italia, sotto la finzione della rinascita del fascismo in forma repubblicana, in un “alleato occupato” da cui trarre braccia e risorse. “Ai lavoratori rimasti in Germania dopo la crisi si aggiunsero gli Internati Militari Italiani (IMI), gran parte dei quali immediatamente usati come manodopera coatta, i deportati politici e quei deportati ebrei non immediatamente uccisi, nonché altri
100.000 italiani prelevati in gran parte a forza dall’Italia occupata, per un totale di circa novecentomila”, ha detto lo storico Luciano Zani durante l’incontro all’Archivio Storico del Quirinale dell’11 dicembre 2024 alla presenza della Sovrintendente Marina Giannetto, di Andreas Kruger, Capo dell’Ufficio Centrale dell’Ambasciata della Repubblica Federale di Germania, e di Nicola Mattoscio, Presidente dell’ANRP. Alla presentazione hanno partecipato studiosi, esperti, storici, giornalisti e studenti delle scuole superiori che hanno apprezzato tantissimo la presentazione dei volumi e la mostra on line in cui sono confluite le ricerche sul tema che da anni viene promosso e incentivato dall’ANRP con il sostegno del Fondo italo-tedesco per il futuro attraverso l’Ambasciata tedesca di Roma.

La mostra, già visitata da oltre 200.000 persone, è disponibile all’indirizzo https://tantebracciaperilreich.eu/ in tre versioni (italiana, tedesca, inglese), a dimostrazione che internet e i social network sono una grande opportunità per la storia e per la Public History di qualità. Sono strumenti che amplificano i contenuti. Pensiamo che questa mostra attraverso il sito internet e la condivisione sulle chat e sui social network ha allargato il bacino degli utenti, ma occorrono notizie e fonti verificate e certificate e i contenuti di questa mostra rispondono pienamente a questa domanda e a quella che Ryszard Kapuscinski, tra gli inviati di guerra più apprezzati al mondo, si poneva quasi dieci anni fa in un libro dal titolo In viaggio con erodoto (2013). Il cronista polacco metteva nero su bianco le sue esperienze e poneva l’accento sull’importanza della narrazione storica per far conoscere al grande pubblico storie sconosciute o poco conosciute.

La Mostra e i suoi contenuti ci rendono prossimi a quel periodo, suscitano interrogativi, ci inducono ad avvicinarci alla storia dei lavoratori italiani in Germania e a quella degli Internati Militari Italiani che poi è la storia dei nostri nonni, dei nostri zii, dei nostri parenti.

Solo un esempio e una testimonianza: Ernie Pyke, inviato americano “embedded” al seguito dello sbarco alleato in Sicilia del 10 luglio 1943. Egli scrisse le sue corrispondenze dal fronte dell’isola siciliana dalla quale gli anglo-americani avviarono la campagna di liberazione dell’Italia. I suoi, come quelli di altri cronisti di guerra, non erano solo articoli di cronaca. Negli anni sarebbero diventate storie nella storia perché avrebbero dato voce a chi non aveva voce.  La Mostra “Tante braccia per il Reich” è anche questo. Un’operazione culturale di public history di qualità molto importante per coinvolgere soprattutto l’opinione pubblica a un tema poco conosciuto se non, addirittura, dimenticare.

Vincenzo Grienti