L’aiutante di battaglia Giovanni Belgrado
Furono migliaia e migliaia i Calabresi che dopo l’unità d’Italia dovettero lasciare la terra dei padri per tentare una nuova vita nelle lontane Americhe, dagli Stati Uniti al Canada, dall’Argentina al Brasile, dall’Uruguay al Venezuela. Si trattò, come è stato spesso ricordato dagli storici dell’emigrazione, di un vero e proprio esodo di massa, un vero e proprio spopolamento del Meridione d’Italia, di quel Sud che il buon Giuseppe Garibaldi aveva liberato, ma con ben altri sentimenti. I Calabresi raggiunsero, quindi, anche l’Argentina, e lo fecero in tanti e a più riprese, soprattutto dopo il 1870, allorquando, terminata la guerra contro il Paraguay, il Paese latino-americano varò un serio programma di colonizzazione delle fertilissime terre della Pampa, ove l’agricoltura e l’allevamento del bestiame avrebbe, di lì a poco, determinato la fortuna economica di quella straordinaria Nazione. Secondo vari studi e dati statistici, la Comunità Calabrese in Argentina fu una delle più consistenti, tanto da aver superato, nel corso di qualche decennio e comunque attorno alla fine dell’Ottocento, le storiche Comunità Liguri, Piemontesi e Lombarde, le prime che erano giunte lungo le rive del Rio de la Plata a partire dai primi anni ’30, ovviamente dell’Ottocento. Ebbene, tra le tante famiglie che furono costrette a lasciare la Calabria, inseguite dalla miseria e, talvolta, da ingiustizie e disparità sociali, vi fu anche quella di Vincenzo Belgrado, un abile muratore e di Giuseppa Violante, casalinga, entrambi originari di Reggio Calabria, genitori dell’Eroe delle Fiamme Gialle al quale dedichiamo oggi questo modesto contribuito storico.
Da Buenos Aires a Reggio Calabria (1898 – 1917).
Giovanni Belgrado nacque a Buenos Aires, l’affascinante Capitale della Repubblica Argentina il 23 aprile del 1898, in un contesto storico nel quale nella lontana Italia si stavano vivendo le tristi giornate della repressione poliziesca e militare a fronte dei tumulti per il rincaro del grano e, quindi, del prezzo del pane. Non sappiamo se egli sia stato il primo dei figli di Vincenzo, oppure se già prima di lui la famiglia fosse già stata allietata da altre giovani vite. Parimenti sappiamo poco della sua gioventù, che Giovanni visse nella sua Patria natia sino al settembre-ottobre del 1917, come approfondiremo a breve. Compiuti gli studi elementari sino alla 5^ classe, molto probabilmente frequentati presso le Scuole Italiane di Buenos Aires, Giovanni Belgrado fu ben presto coinvolto nel lavoro del padre. Nell’estate del 1917, in un momento particolarmente difficile per quella Patria lontana, l’Italia, che, molto probabilmente il giovane non aveva mai visitato, Giovanni aveva da poco compiuto 19 anni, un’età che in tempi normali ne faceva ancora un minorenne, ma che in quel frangente storico, purtroppo, avrebbe portato al fronte il “fior fiore” della gioventù italiana, molti dei quali non avrebbero più fatto ritorno a casa. Fu così che il Regio Distretto Militare di Reggio Calabria, ove il ragazzo era stato iscritto, sin dalla nascita, nelle apposite “liste di leva” gli fece recapitare, tramite il Regio Consolato Generale di Buenos Aires, la tradizionale “cartolina precetto”, con la quale si obbligava il Belgrado di far ritorno in Italia, onde sostenere la prescritta visita medica per l’arruolamento. Non sappiamo veramente come il giovane abbia fatto a raggiungere la Madrepatria, considerando le allora gravi difficoltà che si registravano nell’attraversamento degli Oceani, purtroppo alla mercé dei sottomarini tedeschi. Sta di fatto che il 22 ottobre 1917, a due giorni dalla disfatta delle armi italiane a Caporetto, Giovanni Belgrado si presentò regolarmente presso il Regio Distretto di Reggio Calabria, la mai dimenticata città d’origine dei genitori, che peraltro ancora doveva riprendersi dopo il terribile terremoto del 28 dicembre 1908. Arruolato quale soldato di leva della 1^ categoria della classe 1898, Giovanni ebbe appena tre giorni di tempo per far visita ai nonni e agli altri parenti rimasti a vivere a Reggio. Il 25 di ottobre il giovane dovette, infatti, raggiungere la dirimpettaia città di Messina, sede del Deposito del 76° Reggimento Fanteria della “Brigata Napoli”, reparto al quale era stato assegnato. Dopo qualche settimana di addestramento, il soldato Belgrado s’avventurò, a bordo di una tradotta militare, verso il Nord Italia, ove il Reggimento si trovava ancora, dopo il triste epilogo di Caporetto. La storia della Brigata ci ricorda, infatti, che la sera del 24 ottobre l’unità di Fanteria era passata alle dipendenze della 3^ Divisione e che il giorno seguente, assieme ai Fanti della “Brigata Elba”, aveva occupato le linee del passo Zagradan. Dopo essere stati quasi interamente travolti dal nemico in marcia, i resti dei due Reggimenti della “Napoli” (75° e 76°) ripiegarono, raggiungendo così, il 28 ottobre, il Tagliamento, dalle parti di Pinzano. Attraversato il fiume il 1° novembre, la truppa raggiunge Mestrino (nel Padovano) il successivo 9 di novembre. Si riunì, infine, nei pressi di Parma il 23 novembre, in attesa di un riordino. E fu proprio a Parma che il Fante Giovanni Belgrado fu assegnato, a far data dal 20 novembre, al VII° Reparto d’Assalto, i gloriosi “Arditi”, il quale era stato da poco costituito nell’ambito di una Compagnia della 56^ Divisione, costituita in maggioranza da Bersaglieri ed assegnata, quindi, al deposito del 13° Reggimento Bersaglieri di Livorno. Ai cimenti di guerra cui il soldato italo-argentino fu destinato, s’unirono anche le varie peregrinazioni, di reparto in reparto. il 23 dicembre dello stesso ’17 lo troviamo, infatti, membro del Battaglione Complementare della Brigata di Fanteria “Piacenza”, che in quel contesto si trovava in riposo a Povegliano – Arcade. Di lì a qualche giorno, esattamente il 27 novembre, l’unità si spostò nella zona Paderno – Ponzano – San Pelagio, ove rimase sino alla fine del gennaio del ’18. Nel frattempo il nostro Fante di Buenos Aires fu assegnato al 112° Reggimento, sempre della stessa “Piacenza”.
Il 27 gennaio, la Brigata fu rilevata da truppe inglesi, passando nuovamente a riposo, sino al 15 marzo, allorquando le fu ordinato di tornare sulla linea del Montello. Scatenata, in giugno, l’ennesima offensiva austroungarica (la nota “battaglia del Solstizio”), la Brigata combatté con onore nella zona di Nervesa, Fornace, Villa Berti, ostacolando le Divisioni austro-ungariche che erano riuscite ad oltrepassare il Piave. Verso la fine del mese, stabilizzatasi la situazione, la “Piacenza” passò nuovamente a riposo. Nei mesi seguenti la Brigata occupò il settore del fronte nei pressi di Spresiano, alternandosi con la Brigata “Aquila”. In ottobre, nel corso della battaglia di Vittorio Veneto, la “Piacenza” ebbe come obiettivo Conegliano. Il 29 ottobre, dopo vari tentativi gli eroici Fanti del 111° e 112° Fanteria riuscirono a passare il Piave ed il 30 ad entrare in Vittorio Veneto. Alla firma dell’armistizio la Brigata “Piacenza” si trovava schierata nei pressi della stretta di Serravalle. L’armistizio e la fine dei combattimenti non consentirono, tuttavia, al soldato Giovanni Belgrado di tornare a Buenos Aires, come egli certamente sperava di fare. Il suo rapporto con il Regio Esercito non era ancora terminato, essendo allora contemplato in due anni. Il 25 novembre ’18 lo troviamo, infatti, assegnato all’87° Reparto d’Assalto di Marcia, ove rimase sino al 28 gennaio 1919, data nella quale dovette raggiungere il Deposito del 76° Fanteria, quindi di nuovo la città di Messina. L’8 giugno ’19, infine, il giovane italo-argentino fu assegnato al 10° Bersaglieri, allora di stanza nella città di Palermo, ove avrebbe dovuto completare il periodo temporale per l’assolvimento completo degli obblighi di leva[1].
Tra le amate “Fiamme Gialle” (1919 – 1939).
E fu proprio nel Capoluogo siciliano, dovendo ancora assolvere agli obblighi di leva ma, soprattutto, considerata ormai la difficoltà pratica di tornare in Argentina (il traffico con le Americhe riprese lentamente sul finire dello stesso ’19) che il nostro protagonista maturò l’idea di arruolarsi volontario tra le fila della Regia Guardia di Finanza, il Corpo che aveva visto combattere, con onore e gloria, lungo quelle stesse sponde del Piave che egli, da Fante, aveva così strenuamente difeso. Giovanni Belgrado, congedato dal Regio Esercito a fine ottobre del 1919, attese la chiamata presso la Legione delle Fiamme Gialle di Palermo, la quale pervenne solo nel dicembre, quando il giovane aveva poco più di ventuno anni. Egli fu dunque arruolato nella stessa Palermo il 15 di dicembre, in qualità di Guardia di Finanza del c.d. “ramo mare”, contingente ove avrebbe svolto una straordinaria carriera, come vedremo in seguito.
Destinato al Battaglione Allievi di Verona – Distaccamento Mare di Peschiera sul Garda, Giovanni frequentò il corso di formazione sino al 1° marzo 1920, data nella quale fu destinato alla Legione territoriale di Milano, assegnato alla Brigata “Naviglio” di Oria, operante lungo le coste Comasche del Lago di Lugano, prima tappa di un’infinità di trasferimenti che il militare avrebbe dovuto sostenere nel corso di una lunga carriera. Il 30 dicembre dello stesso anno, egli fu, infatti, spedito alla Brigata di Novate Mezzola Lago, dipendente dalla Compagnia di Morbegno, mentre il 18 marzo del ’22 fu la volta di Bellagio, sul lago di Como, ove il giovane di origini calabresi avrebbe incontrato la donna della sua vita, la signorina Zoila Sancassani, anche lei originaria dell’Argentina, essendo nata a San Francisco (Buenos Aires) il 27 giugno 1904 da genitori provenienti proprio da Bellagio. La “tresca amorosa” con una ragazza del posto fu scoperta dai superiori, innescando, così come prevedeva il Regolamento del Corpo, il trasferimento per motivi disciplinari. Giovanni dovette così raggiungere la Brigata di Lezzeno, ove giunse nel gennaio del 1923. Promosso Appuntato il 14 giugno dello stesso anno, grazie ai precedenti di guerra e ai suoi innumerevoli risultati di servizio, rimase in zona ancora per qualche anno. Il 13 gennaio del ’25, Giovanni Belgrado fu trasferito alla Brigata di Corriggio, nei pressi di Cannobio, ove rimase sino al 1° ottobre del 1926, data nella quale fu ammesso a frequentare la Scuola Sottufficiali, che allora aveva sede presso la Reggia di Caserta. Terminato il primo ciclo di formazione, il 5 gennaio 1927 l’allievo sottufficiale dovette raggiungere, per il completamento dell’addestramento professionale, la lontanissima Pola, in Istria, ove nel frattempo era stata fondata, dal Capitano Vittorio Giovanni Rossi, la gloriosa Scuola Nautica delle Fiamme Gialle, ancora oggi “fiore all’occhiello” della Guardia di Finanza. Promosso negli esami finali l’8 giugno ‘27, Giovanni cucì i fiammanti galloni di Sotto Brigadiere del “ramo mare” sulla sua amata uniforme, la stessa sulla quale già facevano bella mostra i nastrini della Croce al Merito di Guerra, delle Campagne di guerra 1917 e 1918, della Medaglia interalleata della vittoria e di quella a ricordo dell’unità d’Italia, conseguite grazie alla sua partecipazione al 1° conflitto mondiale. Terminato il corso addestrativo, con il conferimento della qualifica di “A.C” (Abilitato al Comando), il 3 luglio ’27 il neo Sottufficiale fu destinato alla Brigata “Ancoraggio” di Venezia, ove, come al solito, avrebbe operato solo per pochi mesi. Il 18 gennaio del 1928 lo troviamo, infatti, presso la Brigata Lago di Cannobio, sul Lago Maggiore, per fortuna molto più vicino alla sua amata Zoila. I due innamorati, pur non avendo la possibilità di contrarre matrimonio, decisero, tuttavia, di mettere al mondo dei figli, tanto che già il 25 gennaio dell’anno seguente vedeva la luce, molto probabilmente a Bellagio, il primo, al quale fu dato il nome di Ennio Enrico, seguito da Giovanna, nata l’8 maggio del 1931. A complicare la vita del Sottufficiale, che, nel frattempo, il 23 dicembre del 1930 era stato promosso al grado di Brigadiere, intervenne l’ennesimo trasferimento di reparto, questa volta presso la Stazione Navale di Pola, a chilometri e chilometri di distanza da Bellagio. L’autorizzazione a contrarre matrimonio giunse dal Comando Generale del Corpo solo il 21 giugno del 1933 e, quindi, celebrato il successivo 23 settembre. Ciò consentì finalmente alla famiglia di potersi riunire alla luce del sole, per non separarsi mai più, o almeno così sperava il nostro protagonista. La famiglia Belgrado, che il 30 giugno 1934 si arricchì ulteriormente grazie all’ultima nata, Vanda, avrebbe seguito il bravo sottufficiale anche in Albania, esattamente a Durazzo, ove Giovanni fu destinato, il 16 giugno 1939, destinato in forza presso la locale Squadriglia Navale, al comando della Motovedetta “Marcomeni”.
Di nuovo in guerra al comando della Motovedetta “Marcomeni” (1940 – 1945).
La pace familiare e la serenità in generale durarono poco meno di un anno. Il 1° maggio del 1940, a pochi giorni dall’entrata in guerra dell’Italia (10 giugno ’40), Giovanni Belgrado fu “mobilitato” e come tale riconfermato al Comando della Motovedetta “Marcomeni” (mobilitata con la sigla “AS. 52”), contestualmente messa a disposizione della Regia Marina Militare, così come prevedeva la Legge di ordinamento del Corpo, destinata nel contempo alla base navale di Bari. Cinque giorni dopo l’uomo ottenne gli ambiti gradi di Maresciallo ordinario, un vero traguardo per le carriere d’allora. Il successivo 5 luglio la “Marcomeni” fece ritorno alla della base di Valona, per poi essere assegnata presso l’isolotto di Saseno. Nella rada di Valona l’unità avrebbe prestato servizio di vigilanza foranea antisommergibile. Che il Maresciallo Belgrado fosse un uomo valoroso lo avevamo compreso sin dalle prime battute di questo articolo, ricordando la sua militanza tra gli “Arditi”, durante la “Grande Guerra”. Ebbene il suo coraggio, connotato da notevole perizia e abilità marinaresca, fu ben presto dimostrato anche di lì a qualche mese, esattamente il 12 novembre dello stesso ’40, allorquando con i suoi pochi Finanzieri si distinse durante il salvataggio di numerosi naufraghi (il personale di un natante affondato da bombe nemiche) al largo dell’isolotto di Saseno, prontamente recuperati dalla gloriosa “Marcomeni”. In quella medesima circostanza l’unità catturò in mare tre aviatori inglesi di un velivolo abbattuto[2]. L’azione eroica valse al Sottufficiale un “Elogio” da parte del Comando Marittimo dell’Albania ma anche la citazione all’Ordine del Giorno (il n. 40 del 9 dicembre 1940). E fu a Porto Edda, la vecchia Santi Quaranta (a sud dell’Albania), che, fra lo stesso mese di novembre del 1940 e l’aprile del 1941, rifulse nuovamente quel valore militare che aveva contraddistinto il nostro uomo. La “Marcomeni” cooperò, dal 2 al 13 dicembre, allo sgombero di Santi Quaranta <<imposto dalla pressione nemica. L’unità eseguì una serie di missioni di vigilanza ravvicinata e di scorta ai natanti in uscita da Santi Quaranta, incrociando tra tale località, Capo Kephali e l’ancoraggio di Porto Palermo, dove entrò per raccogliere un gruppo di motovedette ed avviarli a Santi Quaranta. Durante le soste agli ormeggi si dovette inviare a terra una ronda armata per coadiuvare i Carabinieri nel mantenimento dell’ordine. Nel pomeriggio del 3 dicembre, mentre scortava il piroscafo “Naventa” nei pressi di Capo Kephali la “Marcomeni” fu attaccata da tre aerei, riuscì ad abbatterne uno e costrinse gli altri a sganciare le bombe in mare>>[3]. Come riferisce il Fioravanzo: <<Negli attacchi del 14 e del 17 marzo 1941 ha rispettivamente contribuito al salvataggio dei naufraghi della nave ospedale Po e della torpediniera Andromeda, affondate nelle acque di Valona da aerei siluranti>>[4]. La stessa unità, con la motovedetta “Marras” e alcuni M.A.S. della Regia Marina eseguì, nell’aprile successivo, azioni di bombardamento contro la costa dell’Albania meridionale (strada costiera Porto Palermo – Himar), riducendo anche al silenzio una batteria che aveva aperto il fuoco contro le nostre unità, e partecipò, sempre assieme alla “Marras”, allo sbarco a Santi Quaranta, il 19 aprile, riconquistando la località abbandonata alcune settimane prima. Tutte le motovedette di base a Valona furono poi utilizzate per la scorta ai trasporti delle truppe della Divisione “Acqui” destinate a occupare le Isole Ionie[5]. Al Maresciallo Belgrado verrà conferita una medaglia di bronzo al Valor Militare con la seguente motivazione: <<Al comando di una piccola unità in acque nemiche e insidiate, trasportava e sbarcava un reparto d’assalto destinato ad operare di sorpresa nelle retrovie nemiche. Appena iniziata la reazione avversaria, interveniva con l’unico pezzo di bordo, concorrendo efficacemente alla riuscita dell’operazione>>[6]. Ed ancora nell’aprile del ’41, ormai quarantatreenne e col pensiero sempre rivolto alla sua amata famiglia, il Maresciallo Belgrado, perseverando nella sua missione di Comandante di uomini, si meritò anche la promozione “per merito di guerra” al grado di “Aiutante di Battaglia”, con la seguente motivazione: <<Comandante di motovedetta, durante il conflitto italo-greco prendeva parte a numerose azioni di guerra, assolvendo sempre i suoi incarichi con calma, coraggio e spirito aggressivo e portando sensibile contributo alla buona riuscita. Combattente di forte tempra, sottufficiale di eccellenti qualità morali, intellettuali, professionali e militari. Valona, aprile 1941>>[7]. Trasferita successivamente a Durazzo il 25 aprile, vi rimase sino al 28 giugno successivo, prestando sempre servizio antisommergibile, per poi rientrare a Saseno. Qualche giorno dopo si trasferì a Brindisi, ove rimase in riparazione fino all’8 agosto successivo. Il Maresciallo Belgrado e la “Marcomeni” lasciarono le acque di Valona il 13 agosto 1941, dovendo raggiungere il 2° Gruppo Antisommergibili di stanza al Pireo, nei pressi di Atene, a centinaia e centinaia di chilometri di distanza da Durazzo. Durante il suo periodo di operatività in Grecia l’unità operò, spesso anche di scorta alle navi della Regia Marina, lungo le coste di Salonicco e Mudros, a La Canea, a Suda e a Milos, per poi ritornare al Pireo, nel marzo del 1943. Vari furono gli episodi di valore dei quali si resero protagonisti la “Marcomeni” e il suo eroico Comandante. Il Fioravanzo ci ricorda a tal proposito che il 15 giugno del 1942 la Motovedetta uscì dal Pireo per ricercare i naufraghi del Dragamine “R.D. 7” della Regia Marina, affondato nel Golfo di Atene, mentre il 17 settembre successivo si adoperò per la ricerca di alcuni naufraghi della Torpediniera “Calatafimi”[8]. È verosimile ritenere che fu proprio a seguito dello spostamento dell’unità in Grecia che il Maresciallo Belgrado decise di trasferire la famiglia nella più tranquilla località di Bellagio, ove i ragazzi avrebbero potuto contare sulla famiglia Sancassani, una parte della quale era tornata, nel frattempo, dall’Argentina. E bene fece, soprattutto se consideriamo l’epilogo della vicenda bellica, culminata purtroppo con la proclamazione dell’armistizio. Avrebbe rivisto i suoi cari prima dell’ecatombe nel marzo del 1943, allorquando Giovanni riuscì a ottenere una licenza di convalescenza di 20 giorni, con destinazione per l’appunto la località di Bellagio. Il 9 settembre 1943, come ricorda il Fioravanzo: <<…stando al Pireo, è stata consegnata ai tedeschi per ordine delle Autorità territoriali italiane. Sembra che sia stata utilizzata dai tedeschi, ma se ne ignora la sorte definitiva>>[9]. L’Aiutante di Battaglia Giovanni Belgrado seguì le tristi vicende dell’8 settembre del 1943, allorquando, assieme a migliaia di militari italiani, varcò i cancelli dei famigerati lager tedeschi, in qualità di internato. Vi rimarrà segregato sino al maggio del 1945, quando fu liberato dagli Alleati.
Gli ultimi anni (1945 – 1976).
L’Aiutante di Battaglia Giovanni Belgrado, intrepido combattente di due guerre mondiali, intrepida Fiamma Gialla nei cimenti del servizio operativo, sicuramente provato nella carne, ma non certo nello spirito, varcò la frontiera italiana al Brennero il 14 settembre del 1945, presentandosi, di lì a qualche giorno, presso il Comando del Circolo della Regia Guardia di Finanza di Menaggio, il reparto più vicino a Bellagio, ove ebbe la fortuna di riabbracciare moglie e figli. In attesa delle decisioni dei Comandi superiori, il maturo Sottufficiale fu destinato alla Squadriglia Navale di Cannobio, ove giunse il 12 dicembre dello stesso anno, dopo aver finalmente goduto di un lungo periodo di ferie, ben due mesi. L’8 febbraio 1946 fu, invece, la data nella quale l’uomo dovette raggiungere la Brigata “porto” di Savona, ove dopo qualche mese avrebbe, infine, assunto il comando della locale Squadriglia Navale. Collocato a riposo il 1° ottobre del 1947, il Sottufficiale originario di Buenos Aires fu tuttavia trattenuto in servizio ancora per qualche anno, considerata la notevole deficienza di personale sofferta in quel contesto anche dalla Guardia di Finanza. Durante la permanenza a Savona il nostro protagonista non smise affatto di vestire i panni di vero “uomo d’arme e d’azione”, tanto da distinguersi in numerose operazioni anti contrabbando, pervenendo anche al sequestro di tonnellate di sigarette, operazioni per le quali ricevette delle ricompense da parte del Comando Generale del Corpo. L’Aiutante di Battaglia Giovanni Belgrano lasciò le Fiamme Gialle “per raggiunti limiti d’età” il 23 aprile del 1953, data nella quale compì esattamente cinquantacinque anni di vita. Fu per lui molto triste il dover dismettere l’amata uniforme di panno turchino, sulla quale, nel frattempo, aveva cucito i nastrini del recente conflitto. Lasciata la bellissima Savona, la famiglia Belgrado fece ritorno a Bellagio, ove prese alloggio al civico n.3 di Via Oliverio. L’occasione fu propizia per iscriversi presso la locale Sezione dei Finanzieri in Congedo, sorta anni prima. L’Aiutante di Battaglia Belgrado si spense a Bellagio il 16 marzo del 1976, pianto dai figli e nipoti, ma anche dai tanti amici con i quali aveva trascorso in riva al lago gli ultimi anni della sua straordinaria vita terrena. Non abbiamo affatto idea se Giovanni Belgrado e la sua famiglia ebbero o meno la possibilità di tornare in Argentina, ove erano rimasti a vivere alcuni esponenti delle rispettive famiglie. Possiamo solo immaginare che, almeno i due coniugi che vi erano nati non smisero mai di pensare a quella seconda Patria che avevano lasciato anni prima, ognuno per motivi diversi, affrontando purtroppo, come nel caso dello stesso Giovanni, le durissime esperienze delle guerre mondiali, ma soprattutto di quei lager in Germania, che tante sofferenze avevano procurato anche ad un uomo di cotanta tempra, coraggio e determinazione, come speriamo di aver saputo raccontare con il presente contributo.
Ten. Col. Gerardo Severino
Direttore del Museo Storico della Guardia di Finanza
[1] Cfr. “Foglio Matricolare e Caratteristico” dell’Aiutante di Battaglia BELGRADO Giovanni, matr. 18217/C.E.M.M, in Archivio Museo Storico Guardia di Finanza, fondo “Matricola Sottufficiali e Truppa”.
[2] Cfr. Giuseppe Fioravanzo, Fiamme Gialle sul Mare. Storia del naviglio della Guardia di Finanza durante il conflitto 1940 – 1945, Roma, Edizione Ufficio Storico Marina Militare e Comando Generale della Guardia di Finanza, 1955, p. 156.
[3] Cfr. Pierpaolo Meccariello, Finanza di Mare dalle scorridore ai pattugliatori, Roma, Editalia, 1994, p. 113.
[4] Cfr. G. Fioravanzo, op. cit., p. 156.
[5] Su tali azioni lo stesso Maresciallo Belgrado stilò un’apposita e dettagliata relazione storica, riportata dal Fioravanzo alle pagine 162 e 163 del libro prima citato.
[6] Cfr. Regia Guardia di Finanza, <<Bollettino Ufficiale del Personale>>, anno 1942, p. 30. La ricompensa fu resa pubblica anche grazie al settimanale <<Il Finanziere>>, che la riportò in prima pagina sul nb. 8 del 23 febbraio 1942.
[7] Cfr. Comando Generale R. Guardia di Finanza, <<Foglio d’Ordini n. 37>> del 18 giugno 1942, p. 2. La notizia fu ovviamente riportata nella rubrica “I nostri valorosi”, in <<Il Finanziere>>, n. 26 del 29 giugno 1942, p. 1.
[8] Cfr. G. Fioravanzo, op. cit., p. 234.
[9] Ivi, p. 181.