Mio nonno Toni, maestro di vita
Avvolti dalla cupa nube degli orrori delle guerre e di ogni precarietà della vita, è bello pensare a schiarite luminose che animano la speranza nel rispetto della dignità dell’esistenza umana. Ci sono cose che fanno grandi anche le persone più semplici, quelle come noi che non vivono sotto i riflettori delle news eclatanti.
Mio nonno Toni, è una di queste. Uomo povero, però di quelli per i quali si dice “scarpe grosse, cervello fino”. Uomo dalla “schiena dritta”, che fa onore alla vita.
Quando nonno Toni aveva 10 anni, Giuseppe Ungaretti dal fronte scriveva dal fronte:
Si sta come / d’autunno
sugli alberi / le foglie
Un breve gioco di parole per raccontare una filosofia. Un’unica similitudine: soldati/foglie. La guerra, si sa, va a braccetto con la morte. Sempre.
Soldati sono i giovani ragazzi-soldati fragilmente attaccati all’albero della vita,
“Soldati” è la condizione degli “uomini”, della loro vita. È l’esperienza terribile, eppur sapienziale, della precarietà della vita e della sua inevitabile finitudine.
La finitudine, compagna di vita quotidiana, è maestra di vita. Per tutti. Almeno così dovrebbe essere. Ahimé. Lo si ricordava di più un tempo: “Memento mori”, ricordati che devi morire. Oggi ci spaventa. Eppure è l’unica certezza della vita. E la guerra ce lo ricorda violentemente.
Al mio paese ancora oggi si usa dire “Oggi in figura, domani in sepoltura” … oggi va bene, domani potrei non esserci più. Questa è realtà. Da questo non si scappa.
L’orizzonte di incertezza e finitudine, imprendibile quanto imprevedibile, potrebbe trasformarsi in un monito o meglio ancora, uno stimolo per come impostare la vita.
C’è un componimento poetico diventato canto. Paragona la nostra vita, a una foglia, a dei giunchi … che sempre hanno a che fare con il vento.
IL DONO DEL VENTO: testo e musica di Davide Van De Sfroos
“Dove andrai a cadere foglia bruna
dove ti porteranno il vento e la fortuna”
“Dondolando sopra il mio ramo, non ci ho ancora pensato
e anche se poi io ci penso, non potrò averlo saputo;
per il momento io danzo fino a quando mi dovrò staccare
e dovunque io vada a cadere dirò che ho volato”.
I giunchi oscillan nel vento che viene dal monte
i giunchi oscillan nel vento che viene dal mare
i giunchi oscillano e oscillano che altro non possono fare
E qualcuno di loro ha maledetto il suo ballo
qualcuno ha perfino pregato di esser tagliato
ma in molti accettano il dono di farsi cullare
in molti accettano il dono di farsi cullare.
Noi – ciascuno di noi – è dondolato o sbattuto dal vento degli eventi, degli incontri, delle esperienze. A volte è un vento pesante che mette a dura prova. Come i giunchi qualcuno non riesce a portare il peso del vivere e desidera che qualcuno lo spezzi, lo recida. Altri – la maggioranza – accetta di farsi cullare. Facciamoci cullare… Mio nonno Toni e con lui tanti suoi compagni di avventura, hanno scelto questo. Lasciarsi cullare dal vento dei valori e ideali che fanno grande la vita.
Ed è bello tutto questo: lasciarsi cullare. Non lasciarsi schiacciare dalla paura della finitudine della vita, ma viverla! Lasciare che ci sia un vento che ti faccia ondulare trasformando la tua vita in un’esperienza di giocosa danza. Anche dentro le pieghe dell’orrore, perché il cuore e la mente, sono inviolabili.
Per i credenti è la misteriosa e silente forza dello Spirito.
Per tutti sono i sentimenti nobili che ogni guerra tenta di annientare, uno per tutti il rispetto per l’uomo. Per ogni uomo.
Mio nonno Toni – dicevo – era nato nel 1908 in una contrada, che porta il suo cognome che poi è anche il mio, di un piccolo paese di montagna, in terra vicentina: Conco.
È posto tra la pianura padana e le Prealpi venete. Terra di montagna. Questo è un particolare importante per capire quanto racconto di lui.
Mio nonno era contadino – come tutti in montagna – viveva poveramente e tutta la sua famiglia – genitori compresi – era emigrata in terra francese. Appena sposato con la sua Nina – Fiorina all’anagrafe – ha cercato fortuna in Belgio, dove è nato mio padre. Le miniere non facevano per lui e richiamato dalle sorelle, anche lui raggiunse il sud della Francia, dove sono nate altre due figlie.
Storia di emigrazione. Come per molti. Ieri, oggi, domani. Inevitabile, da quando la storia è storia. Ieri come oggi.
Quella terra che non era la sua, non faceva per lui e, appena possibile, decise di ritornare tra le sue native montagne.
Da piccolo – come tutti – era un abituale frequentatore della chiesa, era diventato bravo nella conoscenza della Dottrina cristiana, partecipò anche ad una gara-concorso sul catechismo in diocesi, a Padova.
Ma qualche anno dopo successe una cosa strana.

Quando l’Italia ha dichiarato guerra all’Etiopia, l’esercito è stato in piazza S. Pietro a Roma dove – a detta di mio nonno – hanno ricevuto la benedizione papale. Nulla di più verosimile in quel periodo. Beh, a mio nonno quella cosa non andò giù, me lo ripeteva spesso. Non era possibile che chi andava ad ammazzare altre persone, potesse essere anche benedetto da Dio!
Mio nonno abbandonò la frequentazione della chiesa. Oggi potremmo dire… un obiettore ante-litteram.
Nel tempo della seconda guerra mondiale, poi, si ritrovò a battagliare nella compagine rossa dei partigiani, divenendo anche capo cellula del gruppo del suo paese.
Di umiliazioni ne subì molte. Solo dopo tanti anni ho capito e ora sappiamo e conosciamo. I protagonisti, nonno compreso, non parlavano facilmente di quel periodo.
Una pagina di storia bruttissima e dolorosissima. Famiglie divise e colpite da odio e violenze, spesso gratuite, ingiustificate e brutali. Ma tant’è la guerra è così.
Una persona del mio paese che al tempo dei fatti era una ragazza, mi raccontava che spiando dalle finestre dell’osteria del paese, aveva visto suo papà e mio nonno, subire un violento interrogatorio dal gerarca del tempo e dai suoi scagnozzi.
Gli rimase impresso che mio nonno ricevette alcune percosse e ad uno schiaffo violento, gli volarono via gli occhiali, (senza i quali non poteva vedere) e che prontamente un uomo, che vestiva una divisa tutta nera, con il piede glieli schiacciò. Privando così mio nonno dell’autonomia visiva. Sanguinante, fu costretto a farsi accompagnare a casa da altre persone. Elsa, questa storia la raccontava con tanto dolore ed era come se i fatti fossero successi il giorno prima, come se il tempo si fosse fermato.
Non mi meraviglio di tutto questo, purtroppo lo sappiamo che la guerra conduce l’uomo alla sua disumanizzazione. Alla brutalità.
Ma voglio arrivare a quanto successe ormai verso la fine di quella tristissima e orribile pagina di storia della nostra bella Italia. Una bellezza stuprata da piccole e grandi violenze, umiliazioni, soprusi e fratricidi. La bellezza di un popolo laborioso, semplice, amicale e benevolo, si è ritrovata a versare lacrime e ad aprire ferite, ancora oggi sanguinanti. Divisive.
Verso la fine di quel periodo di orrore avvenne che i partigiani del mio paese, in un agguato, riuscirono a far prigioniero uno dei gerarchi fascisti, che si era macchiato di sangue e brutalità inferte anche ai suoi compaesani. Così raccontavano.
Apro una parentesi: quelle brutalità furono provocate da ambedue le fazioni sia pur con motivazioni differenti e spinti comunque da forti idealità. Chiusa la parentesi.
Quell’uomo – a detta dei partigiani – avrebbe dovuto pagare caro i suoi crimini. Pagare con la vita. Lo presero e lo condussero alla loro base sulla montagna. Lì in quel momento mio nonno non c’era.

Lo mandarono a chiamare per sentire cosa avrebbe deciso di fare. Forse qualcuno era certo che si sarebbe trattato non solo di emettere un verdetto di morte – che davano per scontato – ma sul come farlo morire.
Questo racconto non lo seppi mai da mio nonno. Me lo raccontò un suo compagno d’armi solo dopo la morte del nonno. Mio nonno, come molti – ripeto – non parlava di quel periodo.
Quando mio nonno arrivo alla montagna gli andarono incontro festeggiando e sparando colpi di fucile in aria.
Raccontarono tutto a mio nonno, capo cellula, che ascoltò in silenzio. Alla fine parlò. Le sue parole furono queste: “gli avete dato da mangiare?”!!!
Non so se serve aggiungere altre parole. Io di fronte a questo mi fermo. Mi inchino con un groppo in gola e ringrazio il buon Dio, che ha permesso a mio nonno di non lasciarsi schiacciare dagli eventi e mantenere viva l’umanità che gli apparteneva!
Il vento della dignità, del rispetto dell’altro, chiunque esso sia, ha prevalso.
Anche dentro l’orrore della guerra, si può restare uomini!
Il soffio dello spirito della Pace, si fa largo dentro ad ogni situazione. Basta accoglierlo, lasciarsi cullare e alimentare, allora la vita diventa meritevole esperienza che vale la pena vivere.
E se la vita è come una foglia … io danzo fino a quando mi dovrò staccare
e dovunque io vada a cadere dirò che ho volato.
Buon volo a tutti.
Fabrizio Bagnara
Sacerdote e cultore di storia