Giorni di Storia

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6 gennaio. Sulle tracce delle reliquie dei Re magi tra storia e leggenda.

I re magi tra storia e leggenda restano un simbolo suggestivo della ricerca appassionata della verità, dell’eterno pellegrinare dell’uomo, della contemplazione adorante, della coraggiosa testimonianza di fronte al potere e della mutua relazione tra scienza e fede. Di loro l’ultima notizia certa è che, dopo aver trovato Gesù bambino, ritornarono alle loro terre, cioè in oriente. Solo il Vangelo di Matteo, infatti, parla dell’episodio in cui una volta “Nato Gesù in Betleem di Giuda, al tempo di Re Erode”, ecco che “dei Magi arrivarono dall’Oriente a Gerusalemme”, e chiesero del “Re dei Giudei nato da poco”  perché, dissero “noi abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo’’. Nonostante la fragilità di questo dato, i magi acquistano nell’orizzonte popolare della cristianità una molteplicità di significati tale da incontrare, nella storia degli ultimi due millenni, l’arte, la letteratura, l’araldica, la politica la religiosità, la gastronomia, il folklore, la liturgia, il cinema.

Basta percorrere l’itinerario seguito da Ranaldo di Dassel, vescovo di Colonia e cancelliere dell’imperatore Federico Barbarossa, per capire quanto la figura dei re magi sia ancorata alle radici cristiane e culturali dell’Europa. Nonostante le ipotesi e le congetture sul viaggio di Ranaldo di Dassell, si è affermata l’idea che il percorso compiuto abbia toccato dapprima Pavia, poi Vercelli, da cui Ranaldo scisse una lettera in cui si accenna alla traslazione, poi attraverso la Val di Susa attraversò la Savoia e, dopo una tappa a Chambery e una sosta a Vienne – dove il vescovo di Colonia partecipò ad un locale concilio – raggiunse la Borgogna per dirigersi verso le terre alsaziane e attraversando il Reno arrivare a Colonia. Il reliquiario fu poi danneggiato nel corso della seconda guerra mondiale e restaurato nel 1973, anno in cui l’arcivescovo di Colonia decise di restituire un frammento dei magi alla chiesa milanese di Sant’Eustorgio.

Dalla teologia imperiale di Federico Barbarossa alla feste medicee per l’Epifania, dalle devozioni dei pellegrini alle sacre rappresentazioni, dalle adorazioni nate dal genio dei grandi artisti alle tradizioni popolari ancora presenti in Europa, i magi e gli elementi restanti della vicenda, tutt’altro che secondari, quali la stella, il corteo, gli abiti, la regalità, i doni, la provenienza geografica, concorrono alla figurazione dell’interrogativo più profondo dell’uomo di ogni tempo: la scoperta del Trascendente quale compiutezza del senso dell’esistere. Per la tradizione esegetica cristiana, i magi sono essenzialmente la primitia gentium, i primi fra i pagani ad aver riconosciuto e adorato il Signore. L’oro, l’incenso e la mirra portati da essi a Gesù – tre tipi di dono, che stanno alla base forse del numero dei magi stessi, più tardi fissato dalla tradizione – potrebbero rinviare agli arabi, ai sabei oppure ai “re delle isole” citati nel Salmo 72: si tratta di prodotti del commercio provenienti dalla così detta “via dell’Incenso” che dall’Oceano Indiano risaliva la penisola arabica fino al Mediterraneo. Storia e leggenda a parte,  i magi restano un simbolo dell’incontro tra Occidente e Oriente. Proporre la figura di questi tre saggi ai giovani e ai meno giovani è un modo per accostare alla “tradizione”. E’ grazie al confronto con essa che la costruzione della propria identità diventa impresa possibile. In tempi di globalizzazione e di multiculturalità, infatti, solo chi sa attingere con sapienza al proprio passato è capace di riconoscere la propria originalità e di farsi sponda credibile ed efficace di dialogo.

Ed oggi più che mai di tutto abbiamo bisogno fuorché di generazioni senza radici prive di identità e per questo omologabili alle mode o appiattite sul tempo presente tanto da non guardare alla propria Storia fino al punto di rischiare di compromettere il loro futuro.